di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine
Genitori che mettono da parte, faticosamente, diecimila euro per consentire al figlio che ritorna a Brindisi dal nord Italia, di aprire una bancarella di frutta e vivere dignitosamente. Il ragazzo che invece si gioca alle slot-machine non solo quel denaro, ma anche altre decine di migliaia di euro chieste in prestito alla malavita, perché il ludopata è convinto che tornando a giocare prima o poi riuscirà a recuperare i soldi persi. Annaspando inevitabilmente in una voragine di debiti che diventa ogni giorno sempre più profonda.
E la malavita che, puntuale, presenta il conto, determinata a riprendersi i soldi prestati con relativi interessi, a costo di minacciare non solo il figlio ma anche i genitori, portare via furgoni dell’azienda, pretendere assegni in bianco e persino la casa popolare di quelli. Così la vita di una famiglia, modesta ma dignitosa, con il padre che ogni mattina prima dell’alba sistema le sue cassette di frutta al mercato rionale, viene sconvolta.
L’operazione con cui gli investigatori del Nucleo di polizia Tributaria della guardia di finanza di Brindisi hanno interrotto l’incubo di quei genitori (mentre il figlio “malato” continuava a sbroccare contro il padre perché secondo lui non avrebbe dovuto denunciare) rappresenta per la prima volta la chiusura della “filiera” del gioco d’azzardo che non si limita solo alla triste storia di chi si riduce in miseria catturato dal sogno delle vincite alle macchinette mangiasoldi o nelle sale scommesse. Perché chi perde vuole rifarsi e gli unici disposti ad “aiutarlo” sono quelli che hanno interesse a riciclare il denaro sporco.
L’indagine della Finanza dimostra che la malavita è fuori dalla porta delle sale di scommesse, pronta a rifornire di monetine da infilare nelle slot. E che il denaro di provenienza illecita finisce per finanziare i giocatori d’azzardo, strozzandoli ulteriormente.
La parabola di Teodoro (lo chiamiamo così), 40 anni, inizia quando decide di rientrare da Torino dopo una parentesi lavorativa. I suoi genitori, felici di questa decisione, gli regalano 10 mila euro per avviare una rivendita di frutta e verdura, proprio come papà. Dopo qualche mese, però, dal padre Antonio (anche questo nome di fantasia) si presenta un fornitore lamentando che Teodoro ha contratto con lui un debito di 47 mila euro per merce non pagata. “Non ti preoccupare – lo rassicura il figlio – sto per incassare alcuni bonifici. Pagherò il debito”. Ma l’incubo sta solo per iniziare.
Non passa molto tempo che Teodoro è costretto a rivelare al padre i veri motivi di quei debiti: ha il vizio del gioco ed esistono molti creditori, non solo il fornitore all’ingrosso di frutta. L’uomo scopre poco dopo che il figlio aveva ottenuto un prestito di 70-80 mila euro dal titolare di un bar e che aveva assunto un pregiudicato, Alioscha Lazzoi, nella sua ditta per consentirgli di uscire da casa visto che era agli arresti domiciliari. Probabilmente un altro creditore, pensa.
Verso la fine di aprile 2017, Antonio viene raggiunto dal figlio – spaventatissimo – che gli dice di dover restituire con urgenza 2.000 euro a tale Nico Sgura, un tizio che si trova ai domiciliari e che lo ha già minacciato di morte.
Quando si entra in questi circuiti, la malavita ha l’abitudine di giocare alle tre carte: c’è sempre uno che si finge amico e disposto a mediare e a risolvere il problema, salvo contribuire ad alzare ancora più la posta e a stringere di più il cappio intorno al collo della vittima. In modo che non possa più sottrarsi. Rino De Matteis è il famoso “amico” che non vi preoccupate, risolvo tutto io: “Conosco Sgura, vieni con me che sistemiamo tutto”.
I termini dell’accordo non sono esattamente da beneficenza: la madre di Teodoro dovrà acquistare un’auto da un conoscente di De Matteis attraverso una serie di assegni e, per garanzia, deve sottoscrivere un documento con il quale il fruttivendolo si impegna a cedere la casa popolare in cui vive. Il padre si rifiuta, ma la moglie (spaventata per la sorte del figlio) sottoscrive dieci assegni in bianco, ciascuno dell’importo di 2.500 euro. Siccome l’auto che dovranno acquistare costa 40 mila euro, Teodoro convince la fidanzata a consegnargli altri quattro assegni da 2.500 euro ciascuno. De Matteis sveste presto i panni dell’amico e minaccia Antonio: “Se gli assegni risultano scoperti vado a prendere tuo figlio, ovunque si trovi, lo uccido e poi mi consegno da solo alla Questura”.
Tanti soldi, molte minacce, ma magari fossero serviti a chiudere il conto. Perché chi gioca non ha mai un unico creditore, non esiste un solo canale di approvvigionamento: quando il ludopata ha bisogno di avvicinarsi alle slot machine è disposto a qualsiasi giuramento pur di avere quei soldi in mano. E la malavita è sempre lì fuori, o seduta accanto, a rifornire il malato di “fiches”.
Antonio scopre che nella lista esiste anche tale Sandrino Coffa che ha prestato al figlio 5.000 euro. Garante, ancora Alioscha Lazzoi. Per questo motivo, la sera dell’8 giugno 2017, Teodoro viene massacrato di botte.
Antonio a questo punto si rende conto che per il figlio l’aria si è fatta troppo pesante: impegna le fedi nuziali e con il denaro ricevuto compra un biglietto per il treno. Quello parte e lascia al padre un foglietto con tutti i debiti contratti, indicando somma e nome dei creditori.
Dopo la partenza del figlio, al fruttivendolo tocca fronteggiare tutti i creditori, incattiviti proprio dal quella fuga improvvisa: Lazzoi gli ricorda che il figlio deve a lui e ai suoi amici 50.000 euro, il tizio del bar si presenta alla sua bancarella e con fare minaccioso gli dice che il debito con lui è di 30.000 euro, che sanno dove Teodoro è nascosto e che se vogliono lo vanno a prendere. Poi arriva Alessio Romano che rivuole 5.000 euro per conto di Sandrino Coffa. E siccome il padre non li ha e gli chiede tempo per recuperarli, quello si prende le chiavi del furgone e del camion intestati al figlio. Il furgone lo porta via e del camion, oltre alle chiavi, prende il libretto di circolazione e il foglio dell’assicurazione: “Con questo fingiamo un incidente e ci prendiamo i soldi della polizza”, annuncia Romando andandosene.
La bancarella del fruttivendolo è ormai divenuta il punto di ritrovo dei creditori, un incubo quotidiano: Nico Sgura gli chiede entro una settimana 16 mila euro sennò si presenterà presso la sua abitazione popolare con un “acquirente”, lasciandolo fuori di casa sino a quando non salderà il debito. Va solo ricordato che le case popolari sono di proprietà del Comune e questa minaccia conferma anche che la malavita gestisce l’occupazione di molti appartamenti assegnati, agendo a propria discrezione e a prescindere dalle graduatorie pubbliche.
Dopo qualche giorno si presenta di nuovo anche Lazzoi che preannuncia ad Antonio la visita di un tizio che stava per uscire dal carcere e che sarebbe andato a trovarlo in quanto suo figlio avrebbe dovuto versare ogni 16 del mese la somma di 1.500 euro a fronte di un debito di 12 mila.
Fino ad arrivare alla nuova minaccia, quella finale, da parte di Sgura, ancora davanti alla bancarella: “Se entro giovedì prossimo non abbiamo risolto niente, vado a prendere tuo figlio e gli faccio vendere un rene”.
A questo punto la via d’uscita è una soltanto. Antonio si reca negli uffici della guardia di finanza e racconta tutto dettagliatamente, fornendo agli investigatori nomi, cifre, numeri di telefono. Non ci vuole molto tempo ai finanzieri per avere prove inconfutabili dei mille ricatti, delle minacce, del tormento quotidiano cui il fruttivendolo e la moglie venivano sottoposti. Pedinano, fotografano, registrano.
Mettono sotto intercettazione anche i telefoni delle due vittime, Antonio e il figlio Teodoro. Quest’ultimo più che essere turbato dal fatto di aver rovinato la sua vita e quella dei suoi familiari, è preoccupato che il padre abbia fatto i nomi dei suoi aguzzini: “Giurami sulla nonna che non hai detto chi sono”, chiede disperato. In realtà i nomi sono stati fatti.
In carcere, su disposizione del gip Giuseppe Biondi, finiscono per questa vicenda Alessandro Coffa, 35 anni, di Brindisi; Nicolò Sgura, 29 anni di Brindisi; Teodoro detto Rino De Matteis, 27 anni, di Brindisi; Alioscha Lazzoi, di Tuturano, 29 anni. Ai domiciliari: Alessio Romano, 33 anni, di Brindisi; Roberto Leuci, 42 anni, di Brindisi. Obbligo di dimora a San Severo per Angelo Falcone, di 32 anni.
In che modo la malavita è entrata nel business delle slot machine per riciclare il denaro e finanziarie i giocatori? Il caso scoperchiato dalla guardia di finanza è un esempio di come nel tunnel della ludopatia, reso legale dalle leggi dello Stato, la criminalità abbia esteso i propri tentatacoli. E decine di famiglie rischiano di restare strozzate e cadere in un incubo senza uscita.