Fiume Grande: sotto l’acqua un paradiso di colori e di meraviglie della natura

Mesi fa, ai tempi in cui si cominciò con maggior insistenza a discutere sulla colmata da realizzare in corrispondenza della foce di Fiume Grande, per terminare la cementificazione di tutto il porto di Brindisi e privare di quest’ultimo sbocco naturale una delle più belle perle naturalistiche che la città di Brindisi ancora conserva, descrissi, in un particolareggiato reportage, le meraviglie naturalistiche che si incontrano facendo una semplice passeggiata lungo l’invaso di Fiume Grande e la sua foce a mare, in corrispondenza della ex centrale elettrica Brindisi Nord, punto terminale del Parco Regionale delle Saline di Punta della Contessa.
Allora, pur essendo in pieno inverno, incontrammo Aironi, Cormorani, Piovanelli, Anatre di diverse specie, coloratissimi Martin Pescatori e tanto altro ben di Dio che, munito di ali, svolazzava sereno in quest’ultimo lembo di Natura risparmiata dall’uomo.
Da allora mi è capitato spesso di tornare sul posto per accompagnare amici, parenti, conoscenti, colleghi, anche gente con cariche politiche ed istituzionali, che volevano sincerarsi con i propri occhi che, effettivamente, nel cuore della Zona Industriale di Brindisi ed in area portuale, vi fosse ancora un cuore naturale vivo e pulsante, oltre che degno di tutela.
L’altro giorno mi è capitato di accompagnare la “nostra” Lucia Portolano che sia per ragioni professionali, dovendo scrivere un nuovo articolo relativo alla querelle sul tombamento della foce di Fiume Grande, ma anche per interesse e curiosità personale sulle bellezze naturali, aveva necessità di chi la guidasse sul posto.
Visto dipinto sul suo volto l’entusiasmo nel gustarsi dal vivo, proprio in corrispondenza della foce, il volo degli Aironi e lo zampettio in acqua dei Cavalieri d’Italia – un trampoliere inconfondibile per la sua livrea bianco-nera, le zampe lunghissime rosso-lacca ed il becco lungo, che da qualche hanno nidificano regolarmente a Brindisi e sono una specie particolarmente protetta, per cui il degrado dell’habitat dove si riproduce costituisce la principale minaccia per la sua sopravvivenza – che si nutrivano setacciando i sedimenti limacciosi alla ricerca di crostacei, molluschi ed altri piccoli animali, ho deciso di “alzare la posta” e, dopo aver completato la visita attorno alla foce, risalire il corso dell’antico fiume, mettendo a dura prova le sospensioni e gli ammortizzatori della mia auto, fino ai laghetti costieri delle Saline di Punta della Contessa.
Dopo essersi gustato, come aperitivo, il volteggiare in aria di alcuni grossi falchi di palude, Lucia ha assistito, quasi sbigottita ed incredula e con gli occhi colmi di gioia come una bambina, alla danza dei fenicotteri che, in quattro diversi gruppi di una dozzina di esemplari ciascuno, erano nelle acque del più grande di questi laghi.
Ammaliati da questi grandi uccelli, specie quando il gruppo più vicino a noi si è alzato in volo per posizionarsi al centro del bacino, tutto il resto sembrava quasi insignificante, per cui, ritornando in città, non riuscivamo a parlare di altro.
Ma, dal momento, che il mio interesse per gli animali e la natura non riguarda solo l’avifauna ma, soprattutto, ciò che vive al di sotto del pelo dell’acqua, qualche settimana addietro non ho resistito alla tentazione di una breve immersione-traversata, in solitaria, accompagnato solo dalla mia fedele macchina fotografica digitale scafandrata – ormai quasi un pezzo di antiquariato – che da oltre 15 anni mi segue in queste avventure, per dare una prima occhiata al fondale, ben consapevole che sarebbe necessaria una più approfondita e sistematica ispezione sottomarina di tutto lo specchio d’acqua, da parte di esperti di biologia marina, per poter censire, in modo adeguato e con metodo scientifico, tutto quanto in esso vive
La giornata non era delle migliori, la luminosità era poca e la corrente del fiume alzava la sabbia limacciosa creando fastidiosa sospensione che limitava a non più di un paio di metri la visibilità.
Sceso in mare dall’altezza del caratteristico scoglio solitamente colonizzato dai cormorani, il fondale appariva misto roccioso-sabbioso e sugli scogli insistevano grosse colonie di vari organismi marini, su tutti le bellissime e trasparentissime Claveline dalla caratteristica forma di campanelle di cristallo lucido e trasparente e, in mezzo a loro, di tanto in tanto, si innalzava qualche spirografo; a centinaia anche il polichete Branchiomma bairdi, una specie aliena, importata nei nostri mari, dove si è acclimatata, attraverso l’acqua di sentina dei grossi carchi transoceanici che transitano nel porto industriale, in quanto si tratta di un anellide originario dei Caraibi. Ad un certo punto, quando giungo, evidentemente, in corrispondenza esatta della foce del fiume non canalizzata, il fondale è completamente limaccioso e la visibilità scende a meno di un metro, tanto che faccio fatica a distinguere dei grossi pesci che quasi mi vengono addosso prima di deviare la rotta, sicuramente sono spigole, anche di notevoli dimensioni e cefali, ma ho riconosciuto anche un paio di orate: tutti pesci che prediligono le foci dei fiumi dove l’acqua dolce si mescola a quella salata e pullula di vita, diventando un ottimo terreno di caccia per questi predatori.
A questo punto avviene l’incontro, almeno per me, più emozionante, dal momento che anche se di cavallucci marini ne ho visti e fotografati a bizzeffe nei mari di Taranto, incontrarne a Brindisi, dove è decisamente più raro, ha un sapore molto più particolare: un piccolo Ippocampo camuso che, non avendo dove nascondersi in mezzo alla sabbia limacciosa, non trova di meglio che adagiarsi immobile sul fondo nella speranza che questo grosso umano non fosse animato da cattive intenzioni: appena un paio di scatti e poi, la sospensione che involontariamente sollevo, lo nasconde definitivamente dalla mia vista, prima che possa tentare un nuovo scatto.
Superata questa lingua di sabbia la profondità si ricomincia a vedere qualche altra roccia colonizzata questa volta, oltre che dagli organismi già descritti, anche da qualche spugna e da alcuni esemplari di Briozoi Schizoporella di un bell’arancione tendente al rosso e dall’aspetto che lentamente può ricordare alcune forme di coralli, un grosso Anemone Cereus pedunculatus e, all’improvviso, un altro incontro piacevole: dove il fondale è di non più di tre metri, un gruppetto di Cratene peregrine, dei piccoli nudibranchi che vengono chiamati anche fatine del mare. Il che rende ancora più interessante questa piccola escursione sottomarina.
Tutta la fauna incontrata evidenzia la ricchezza di nutrienti alla foce di Fiume Grande, il che da il la all’ecosistema che permette la vita a creature più grandi fino ai molluschi ed ai pesci e, conseguentemente, anche agli uccelli marini ed agli altri animali che si nutrono di pesci e molluschi e rende, a mio avviso, ancora più importante e, probabilmente indispensabile, un serio studio affidato a biologi marini e ricercatori di scienze ambientali, per verificare, al di là di quelli che sono i rischi idrogeologici nel tombamento, sia pure parziale, della foce di un fiume, i danni che possono arrecarsi alla fauna marina e non solo ad essa attraverso un intervento così invasivo.