Di Marina Poci per Il7 Magazine
Poco più di ottant’anni fa. fu capitale d’Italia per alcuni mesi, quando, all’indomani dell’Armistizio, il re Vittorio Emanuele III di Savoia (con un atto che non può certamente definirsi eroico) letteralmente abbandonò Roma per trasferirvi la sede del Regno e del Governo. Il prossimo 13 giugno sarà capitale del mondo per qualche ora: è stata ufficializzata da parte dell’esecutivo Meloni la decisione che si terrà nel Castello Svevo di Brindisi, sede del Comando della Brigata San Marco della Marina Militare, la cena inaugurale del G7 di Savelletri (Fasano), offerta dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella ai capi di Stato e di Governo che parteciperanno al vertice dei sette Paesi più ricchi del mondo.
Per i corridoi che dal 10 settembre 1943 al 10 febbraio 1944 videro il dipanarsi delle concitate – e per certi versi confuse – vicende conclusive di un Regno che affrontava il momento più drammatico della sua storia, passeggeranno, oltre alla presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni e a Mattarella stesso, i presidenti Joe Biden per gli Stati Uniti d’America ed Emmanuel Macron per la Francia, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, i primi ministri Justin Trudeau per il Canada, Rishi Sunak per il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e Fumio Kishida per il Giappone, oltre alle massime cariche dell’Unione Europea (il presidente del Consiglio Charles Michel e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen).
Sbaragliata la concorrenza di Bari (che forse, malgrado il lungo sopralluogo della delegazione americana, non è mai stata realmente in partita) e Barletta (il cui maniero svevo-angioino sembrava avere più possibilità, eppure alla fine è stato ritenuto non idoneo per ragioni di sicurezza legate prevalentemente agli spostamenti), il Castello di Brindisi è apparso la scelta più opportuna, sebbene nei giorni precedenti alla comunicazione della notizia nessuna indiscrezione sia trapelata riguardo a eventuali riunioni tecnico-organizzative tenutesi sul posto per valutarne l’adeguatezza allo scopo (in termini di sicurezza e di logistica).
Nato per iniziativa francese nel 1975, con il nobile fine di favorire il confronto tra le nazioni più sviluppate, il cui peso politico, economico, industriale e militare è ritenuto di centrale importanza su scala globale, il forum intergovernativo composto dai sette maggiori Stati economicamente avanzati del pianeta è diventato, nel corso degli anni, un evento che, se ben strutturato e sponsorizzato, è in grado di determinare una eccezionale ricaduta d’immagine sui territori ospitanti.
La cena di gala, in particolar modo, primo impatto dei leader mondiali con la realtà organizzativa del Paese di presidenza, rappresenta una irrinunciabile vetrina in cui l’autorità delle personalità attese e il rigore formale dei tavoli tecnici e delle riunioni tematiche si stemperano con il glamour e le tradizioni locali.
Chi non ricorda la raffinatissima serata offerta dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro nella Sala del Trono della Reggia di Caserta in occasione del G7 napoletano del 1994, quando una strabiliata Hillary Rodham Clinton, alla vista della scintillante fontana di Diana e Atteone, superbamente illuminata, esclamò “Oh, wonderful!” (trad: “meraviglioso”)?
Sarà per questo che i social, all’annuncio del castello di Brindisi come sede prescelta, si sono scatenati: “Gli farete assaggiare il crudo di mare?”, si chiede qualcuno, mentre qualcun altro gli fa eco con “Fategli ballare la pizzica” e gli irriducibili della sicurezza stradale non perdono occasione per invocare “ggiustati li stradi armenu”.
Decisione ancora troppo recente per poter azzardare ipotesi sulla organizzazione della serata ma, stando alle precedenti esperienze, è lecito pensare che una cena che valorizzi i prodotti tipici del territorio, naturalmente affidata ad uno chef di fama, sarà preceduta o seguita da un momento di intrattenimento, con ogni probabilità musicale, di durata non troppo estesa (considerando che alcuni dei leader saranno costretti a lunghi viaggi per arrivare a Brindisi e che il giorno successivo il vertice entrerà nel vivo delle attività con i primi eventi istituzionali in programma).
Programma che, pur non essendo ancora stato definito nei dettagli, dovrà tenere conto delle ultime emergenze belliche derivanti dall’attacco a Israele da parte dell’Iran e dovrà attenersi alle priorità messe in agenda dal Governo Meloni: “la difesa del sistema internazionale basato sulla forza del diritto”; “il rapporto con le Nazioni in via di sviluppo e le economie emergenti” con la costruzione di un “modello di partenariato vantaggioso per tutti, lontano da logiche paternalistiche o predatorie”; le “questioni migratorie”; “il nesso clima-energia e la sicurezza alimentare”; “l’intelligenza artificiale”.
Il G7, si legge sul sito internet ufficiale del summit, “è unito da valori e principi comuni e ricopre un ruolo insostituibile nella difesa della libertà e della democrazia e nella gestione delle sfide globali”: concetto che fa il paio con quanto è stato detto dagli storici a proposito di ciò che accadde a Brindisi nel breve lasso di tempo in cui restò capitale del Regno. Fu nella Puglia di Brindisi capitale che si riorganizzò la Resistenza e si rafforzò, nel Congresso di Bari, il Comitato di Liberazione Nazionale. E fu nella Puglia di Brindisi capitale che tornarono attivi sindacati e partiti, sino ad allora soffocati dalla morsa del regime, e che la libera stampa ricominciò ad esercitare quella funzione di cane da guardia del potere che per decenni le era stata sottratta (“Mi sono trasferito in questo libero lembo dell’Italia peninsulare, nella speranza di evitare più gravi offese a Roma”, disse il re in un proclama a Radio Bari).
“Fucina di democrazia”, fu definita Brindisi, giacché fu proprio nelle stanze del Castello Svevo, dove si insediò anche parte del Comando alleato, che il generale Badoglio lesse la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania, primo atto di quella cesura con la tirannide mussoliniana che si sarebbe compiutamente realizzata nella XII disposizione transitoria e finale della Carta Costituzionale del ’46, in cui si vieta la riorganizzazione, “in qualsiasi forma” (…), del disciolto partito fascista.
Quello stesso castello che per cinque mesi esatti fu residenza dei Savoia ed embrione dell’Italia libera che di lì a poco sarebbe emersa dalle macerie della dittatura, segnerà l’inizio della presidenza italiana del vertice del G7 in uno dei momenti più complicati della politica mondiale.
Non può esservi orgoglio più grande per un territorio che ambisca a tornare protagonista della storia, come in quel lontano 10 settembre 1943, quando, più o meno consapevolmente e forse persino a prescindere dalla iniziale volontà di tutti coloro che alla fine vi parteciparono, a Brindisi iniziò ad essere scritto il racconto nuovo dell’Italia nascente.
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