«Avete sequestrato con ingiusta violenza la mia azienda, ma non potrete mai sequestrare il mio sapere e il mio mestiere, e per questo risorgerò presto dalle mie ceneri come l’Araba Fenice più grande e più forte di prima». A scriverlo su Facebook è Antonino Ciavarello, marito di Maria Concetta Riina, figlia del padrino corleone se Totò Riina, che dalla sua pagina lancia strali contro magistrati, investigatori e giornalisti. «Arriverà il giudizio di Dio anche per voi che avete permesso e autorizzato violenza verso gente innocente – scrive -, per voi che avete eseguito e per voi che state ripetendo a pappagallo quello che la regia vi ha scritto. Quel che avete fatto lo riceverete da Dio moltiplicato 9 volte, voi e i vostri figli fino alla settima generazione. Gloria a Dio!». Lo scorso 19 luglio i carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Palermo hanno posto i sigilli al ‘tesorò del ‘capo dei capì. Un sequestro, aveva spiegato il comandante del Ros, Giuseppe Governale, incontrando i giornalisti, che colpisce «l’immagine del capo di Cosa nostra, che è certamente depotenziato sul piano fisico, ma gli accertamenti hanno confermato che è il capo indiscusso con il carisma di sempre e il ruolo, dietro le quinte, della moglie Nina Bagarella». Beni per un valore complessivo di circa un milione e mezzo di euro sottratti alla famiglia Riina, ma nei 38 conti correnti gli investigatori avrebbero trovato solo pochi spiccioli.
«Ancora una volta mi hanno distrutto la vita e lasciato con il c… a terra – scrive ancora il genero di Riina – senza il becco di un quattrino. Hanno sequestrato finanche i libretti a deposito dei bambini con su i regalini dei compleanni per un totale di meno di 500 euro, il mio conto corrente con meno di 1000 euro e una postepay con 750 euro e un conto carta di mia moglie con meno di 300 euro. Si sono impossessati di tutto quello che ho guadagnato col sudore e tanti sacrifici negli ultimi 5 anni e la cosa che fa più rabbia è che il complotto è palese».
Ciavarello se la prende con i magistrati, che hanno disposto il sequestro della sua ditta che opera nel settore dei ricambi di auto a San Pancrazio Salentino (Brindisi), rei, a suo dire, di volerlo «infangare» e di «distruggere 5 anni di duro lavoro sacrifici e privazioni per far crescere la ditta». Per Ciavarello gli investigatori «si sono pure confusi e/o imbrogliati e hanno fatto carte false». «Un abbaglio», che ha fatto finire l’uomo «per l’ennesima volta sui giornali mondiali descritto come il peggiore dei malviventi. La cosa più eclatante – conclude – è l’aver appreso la notizia del sequestro on line prima che il sequestro avveniva». Intanto, il prossimo 15 novembre Riina e la sua famiglia sono stati convocati davanti al giudice della sezione Misure di prevenzione.