Di Marina Poci per Il7 Magazine
Stava manovrando un carroponte, quando la bobina con l’anima in ferro che trasportava gli è caduta addosso, provocandogli un trauma toracico da schiacciamento che in pochi minuti gli è stato fatale: è morto così, nella tarda mattinata del 13 marzo, Gianfranco Conte, 37enne di Tuturano che l’indomani avrebbe festeggiato il compleanno, marito di Erika e papà di due bambine di undici e sette anni che non vedrà mai crescere. Era operaio nello stabilimento brindisino della Jindal Films Europe, la multinazionale a prevalente capitale indiano che qualche anno fa partecipò al bando per l’acquisizione dell’Ilva e che si occupa della lavorazione di materiali polimerici per la produzione di packaging in polietilene e polipropilene. Secondo le prime informazioni trapelate, Conte aveva lavorato per alcuni anni con una ditta metalmeccanica dell’indotto di Jindal e da un paio d’anni era stato assunto direttamente dall’azienda. Chissà, magari considerava questa assunzione un’occasione per migliorare la sua posizione, nell’ottica di una stabilizzazione che avrebbe potuto offrirgli migliori garanzie pensionistiche. Invece, alle 12,30 di un giorno qualsiasi di un marzo più pazzo del solito, il cuore di Gianfranco Conte si è fermato, schiacciato dal peso di ferro e plastica di un lavoro che ne ha stroncato il futuro.
I colleghi di lavoro lo hanno soccorso immediatamente, il personale del 118 è intervenuto in tempi brevissimi e al Pronto Soccorso dell’ospedale Perrino di Brindisi i sanitari erano già stati preallertati dell’arrivo di un trauma dagli esiti potenzialmente imprevedibili. Ma le lesioni interne erano troppo gravi: non è sopravvissuto, Gianfranco, lasciando nel dolore più profondo una famiglia il cui desiderio di verità e giustizia è adesso il desiderio di un’intera comunità, attonita davanti a una tragedia che molti, sgomenti, ritengono “inspiegabile” e altri, infuriati, azzardano a definire “evitabile”.
“Ecatombe”, “bollettino di guerra”, “strage”, “mattanza”: a pochi minuti dalla ufficialità della notizia che Conte non è sopravvissuto al gravissimo trauma riportato nell’incidente, ai messaggi commossi che ricordano l’uomo ed esprimono vicinanza a chi è toccato più da vicino dalla sua perdita, si uniscono quelli che raccontano una città provata dal secondo incidente sul lavoro in pochi giorni e che conservano la memoria dolorosa di un altro incidente, nello stesso stabilimento, dalle conseguenze fortunatamente non fatali.
Soltanto il primo marzo ha perso la vita il brindisino Giuseppe Petraglia, “l’operaio-calciatore”, come l’ha definito qualcuno sui social, perché giocava come centrocampista nella Virtus Calcio Mesagne, squadra che milita nel campionato di seconda categoria. Petraglia è morto precipitando da un tetto alto circa undici metri, mentre si trovava in un opificio della zona industriale di Brindisi di proprietà della “Cdm trasporti”, dove stava eseguendo lavori di manutenzione per conto della “Multiservice srl”, per la quale lavorava da pochi giorni. A quell’altezza ci era arrivato trasportato da un cestello per gru: dopodiché, una zona del tetto sul quale stava operando, quella ricoperta da lamiere, non ha retto il suo peso, crollando e facendolo stramazzare al suolo. È morto sul colpo, l’operaio-calciatore, lasciando anche lui moglie e due figli, che adesso sperano nel lavoro degli inquirenti, della magistratura e degli ispettori dello Spesal (il Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro), a cui spetta il compito di dare delle risposte a questa famiglia devastata che vuol sapere se la morte del loro caro sia da addebitare a una qualche violazione delle norme a tutela della sicurezza sugli ambienti di lavoro. E prima ancora, il 29 agosto del 2023, nello stesso stabilimento in cui il 13 marzo ha perso la vita Gianfranco Conte, un operaio sessantenne era rimasto con una mano incastrata in un macchinario per la produzione di polipropilene. Era riuscito fortunosamente a interromperne il funzionamento e a chiedere aiuto, giusto in tempo da essere trasportato in codice rosso prima al Perrino e poi al Policlinico di Bari, per cercare di salvargli la mano.
Giuseppe e Gianfranco: sui tavoli della Procura della Repubblica di Brindisi due fascicoli sono aperti con l’ipotesi di reato di omicidio colposo. All’interno saranno raccolti gli esiti degli accertamenti tecnici irripetibili eventualmente disposti sui macchinari e delle ispezioni svolte sui luoghi, i risultati degli esami autoptici, i verbali delle sommarie informazioni e delle testimonianze dei colleghi che per primi sono accorsi in aiuto dei due sfortunati operai.
Intanto i sindacati fanno fronte comune contro quello che Antonio Macchia, segretario generale di CGIL Brindisi, suggerendo “una riflessione urgente e l’adozione di misure concrete per evitare ulteriori perdite di vite umane”, non esita a definire “un bilancio pesantissimo che non possiamo accettare passivamente”. In particolare, CGIL raccomanda “una revisione immediata delle politiche di sicurezza sul lavoro all’interno delle aziende, per assicurare che ogni lavoratore operi in un ambiente sicuro e protetto”, “una intensificazione dei controlli da parte delle autorità competenti, per garantire la piena applicazione delle normative vigenti in materia di sicurezza” e “un dialogo costruttivo tra sindacati, aziende, istituzioni e rappresentanti dei lavoratori, finalizzato a sviluppare strategie efficaci di prevenzione degli infortuni”, nella consapevolezza che “solo attraverso un impegno collettivo e condiviso possiamo sperare di invertire questa tendenza negativa e garantire che la sicurezza sul lavoro diventi una realtà concreta per tutti” e nell’auspicio che “la vita e la dignità dei lavoratori devono essere al primo posto nelle priorità di ogni azienda e di ogni politica pubblica”.
Dal canto suo, Ercole Saponaro, segretario generale di Confial Brindisi, già dipendente per 28 anni della stessa Jindal, ha espresso “sgomento, dolore, immenso sconforto per la perdita di un’altra giovane vita”, augurandosi “un esame di coscienza su tanti occhi bendati”, perché “questo dolore, la disperazione della famiglia, della moglie e figli, non possono rimanere nella solita gara di solidarietà, nelle solite sceneggiate di scioperi tardivi e di facciata”.
Gli fanno eco Gianni Ricci, segretario generale di UIL Puglia, e Fabrizio Caliolo, coordinatore territoriale di UIL Brindisi: “È finito il tempo del cordoglio e delle frasi di circostanza, è il momento delle misure forti, concrete. Questa strage va fermata”.
Già, una strage: perché, dall’inizio del 2024, le morti nei luoghi di lavoro in Puglia sono già dodici. Uomini e donne che un tempo erano detti “caduti del lavoro” e che nel corso degli anni sono diventati semplicemente “morti bianche”, laddove, come spiegò una volta sulle pagine del Corriere della sera il linguista Giorgio De Rienzo, “l’uso dell’aggettivo “bianco” allude all’assenza di una mano direttamente responsabile dell’incidente. Eppure, di quella mano, due famiglie, a Brindisi e a Tuturano, si aspettano di conoscere il peso specifico nelle tragedie che hanno sconvolto le loro vite.
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