
Di Marina Poci per il numero 400 de Il7 Magazine
“La prego, niente “Eccellenza”, è sufficiente “Prefetto”: così esordisce al telefono il Prefetto di Brindisi Luigi Carnevale, quando, in occasione della morte di Papa Francesco, gli chiediamo di spendere qualche parola sulla sua esperienza prima come vice (dall’ottobre 2013 al settembre 2015) e poi come dirigente (dal 23 luglio 2018 al 5 dicembre 2022) dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza “Vaticano”. Una semplificazione delle forme che in effetti ricorda molto la semplicità del Papa che ha servito e del quale, in quella che più che un’intervista è una chiacchierata, racconta con piacere la grandezza spirituale dell’uomo di Chiesa, sotto gli occhi del mondo, e lo spessore umano, percepito personalmente attraverso i piccoli gesti di vicinanza alla gente comune dei quali Bergoglio si è reso protagonista.
Il ritratto che Carnevale ci consegna è quello di un Pontefice che amava “sfuggire” ai controlli degli addetti alla sua incolumità per vivere pienamente il rapporto con la città di Roma e i suoi abitanti, intemperante al rigido protocollo di sicurezza tanto da chiedere, con ferma gentilezza, di snellire le procedure e ridurre i mezzi impiegati, capace di entrare in empatia con gli ultimi del mondo e considerarli autenticamente fratelli.
Nel suo lavoro di responsabile dei servizi di tutela del Pontefice sul territorio italiano e dei servizi di vigilanza in Piazza San Pietro e dei controlli di sicurezza per l’accesso alla Basilica Papale, il Prefetto Carnevale è stato per anni qualche passo dietro a Papa Francesco: c’era lui, con pochi altri uomini, quando, il 27 marzo 2020, Jorge Mario Bergoglio, un lampo bianco stretto tra il crocifisso ligneo di San Marcello al Corso e l’icona della Madonna Salus populi romani custodita in Santa Maria Maggiore, attraversò la piazza deserta per impartire la benedizione Urbi et Orbi e invocare la fine della pandemia da Covid-19. C’era lui ogni volta che il Papa si spostava sul territorio della diocesi e, fermo ai semafori per le strade della Capitale, salutava i motociclisti e i passanti e faceva loro cenno di avvicinarsi alla Papamobile per benedirli. C’era lui a Lampedusa quando, davanti allo strazio dei migranti morti in mare e sepolti nel Mediterraneo, Bergoglio tuonò contro la “globalizzazione dell’indifferenza”. Luigi Carnevale c’era ogni volta che il Papa incontrava gli ammalati, le famiglie disagiate, i senza tetto: “Il Santo Padre era in grado di placare tensioni, sofferenze e bisogni con una carezza, un abbraccio, una stretta di mano. Vederlo interagire con loro mi ha dato l’esatta misura di tutte le istanze a cui il mondo gli chiedeva di corrispondere. Posso dire di non averlo mai visto stanco di testimoniare il Vangelo: non ha mai derogato al suo ruolo, nemmeno nei momenti più difficili”.
Quello di Carnevale è un racconto che stilla, insieme all’ammirazione e alla gratitudine, il sincero dolore della perdita. L’impressione, da parte di chi per la prima volta ha l’opportunità di ascoltarlo parlare in un’occasione non strettamente pubblica, è che “Luigi” e “Francesco”, al di là del ruolo che li ha avvicinati e per anni li ha legati in un rapporto professionale strettissimo, si siano intesi su un terreno comune fatto di umanità e umorismo, generosità e senso profondo della missione. Un terreno comune a testimonianza del quale, prima della sua nomina a Prefetto di Brindisi, alla presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni arrivò una lettera con un consiglio fraterno, scritta da qualcuno che aveva a cuore “il bene comune, dei cittadini e della cosa pubblica”, qualcuno che parlò del dottor Carnevale come di un funzionario “distintosi per nobiltà e grandezza d’animo, nonché per professionalità e discrezione” e che definì “prezioso” il servizio reso dall’attuale Prefetto di Brindisi alla sua persona e alla Santa Sede. Quella lettera, che in appena due capoversi delineò l’altissimo profilo dell’uomo e del poliziotto, scritta al computer e firmata a mano in corsivo semplicemente con il nome scelto per esercitare il mandato di Pietro, per Luigi Carnevale è un lascito dal valore inestimabile che i suoi figli potranno conservare quando lui non ci sarà più: “Sa’, non si diventa ricchi facendo il mio mestiere. I miei figli non erediteranno chissà quali conti in banca, ma potranno contare sul ricordo di un padre che in vita ha potuto godere della stima di Papa Francesco. Quando, a trentanove anni (incomprensibilmente, per i medici che mi avevano in cura) mi salvai da un infarto, un cardiologo, calabrese come me, mi disse che certamente Dio mi aveva destinato a qualcosa di grande e di importante. Non poteva spiegarsi altrimenti come mai avesse voluto tenermi in vita. A quel tempo avevo due figli piccoli, un bambino di sette anni e una bambina di due, e lì per lì pensai che quel qualcosa di grande avesse a che fare con il mio ruolo di padre. Soltanto molti anni dopo, quando sono stato chiamato a occuparmi della sicurezza del Papa, ho compreso che era quella la missione importante per la quale anche la morte ha potuto aspettare prima di prendere il sopravvento su di me. Quando fui informato della lettera che aveva inviato alla presidente del Consiglio, gli scrissi e lo ringraziai facendo riferimento proprio a quell’episodio”.
Se ci permette, lo consideriamo un lascito importante anche noi brindisini: è un grande regalo sapere che si occupa della nostra sicurezza, dopo avere atteso alla sicurezza del Papa.
“Diciamo che sono fortunato io ad essere tornato dopo tanti anni in questo territorio che, sebbene in un ruolo diverso, non mi sarei mai aspettato di trovare così maturato e migliorato. Finalmente in questi luoghi, non più abbrutiti da manifestazioni criminali quotidiane e dal degrado morale, si respira un’aria diversa. Mi sento fortunato di poter contribuire a rendere, questa terra, terra di legalità e di bellezza. Una responsabilità che condivido con tanti, gli amministratori locali, le forze dell’ordine, le istituzioni, che ho trovato più sane e più forti, desiderose di portare avanti il percorso di rinascita di questa provincia, e i cittadini stessi, la cui partecipazione continua a colpirmi moltissimo. Questa è la dimostrazione che l’humus del territorio era lontano dalle logiche criminali, dall’omertà, dall’assoggettamento, tanto da non averne permesso il radicarsi. Benché vi siano, ovviamente, alcuni rigurgiti”.
Torniamo al suo arrivo in Vaticano.
“Da vice dirigente, sono arrivato in Vaticano pochi mesi dopo l’elezione di Bergoglio a Pontefice. Ho vissuto sin dall’inizio l’impatto notevole della sua figura spirituale sul mondo e, per quello che mi riguarda più strettamente, sull’apparato di sicurezza. Immediatamente ha preteso, e con un certo vigore, un ridimensionamento delle misure previste in occasione dei suoi spostamenti. Tanto per cominciare, ha chiesto che si facesse a meno degli elicotteri e che si evitasse di bloccare le strade per troppo tempo prima del passaggio dell’auto blindata del Pontefice. In occasione del viaggio a Lampedusa, mentre si stava recando all’aeroporto di Ciampino, percepì l’irritazione degli automobilisti nei confronti delle vetture che formavano il suo “corteo” di accompagnamento. Ci chiamò immediatamente per dirci che non gradiva che la gente venisse sottoposta a questi disagi. E, soprattutto, immaginando reazioni di un certo tipo, non gradiva che le persone bestemmiassero per colpa sua!”.
Sarà stato un lavoraccio, per lei, riorganizzare in senso così snello la macchina della sicurezza.
“È stato panico vero, soprattutto nelle prime settimane. Ci impose di fermarci ai semafori, come tutti, nella convinzione che il Papa dovesse dare il buon esempio. Tante volte, spesso a tarda sera, venivo chiamato dai colleghi della Gendarmeria, allarmati perché aveva voglia di uscire da solo. “Non ci vuole”, mi dicevano, “cerca di intercettarlo, stagli dietro”. Ovviamente ero organizzato a muovermi in qualunque momento, sia in macchina che in scooter”.
Insomma, quando il Santo Padre scappava dalle guardie svizzere per andare dall’ottico o nel negozio di articoli sacri a comprare la casula nuova, appresso c’era lei.
“Sì: posso dire, con grande affetto, di averlo rincorso per mezza Roma. Una volta i colleghi mi avvisarono che era nei pressi della mia abitazione. Scesi in fretta e furia, gli andai incontro con lo scooter e nel frattempo avvisai qualcuno dei miei uomini, pregandoli di raggiungerci. Stava andando a fare visita a una signora anziana, ammalata credo, e non aveva ritenuto necessario disturbare la sicurezza”.
Un bel problema per chi di quella sicurezza era responsabile.
“È stata dura, soprattutto da vice. Quando poi, qualche anno dopo, sono tornato da dirigente, ho cercato – nei limiti del possibile – di impormi. Pensi che nei primi tempi ci chiese di andare in giro di sera senza lampeggianti per non dare nell’occhio. Cosa che non era affatto sicura né per chi si imbatteva in noi né per gli agenti di turno. A volte uscivamo sul raccordo con dei cortei che sembravano quelli dei rapinatori che, con le macchine a luci spente, vanno all’assalto dei furgoni blindati sulle autostrade!”.
Mi vengono in mente le batterie dei contrabbandieri sul litorale brindisino nei primi anni Novanta, per citarle un fenomeno che, come capo della Squadra Mobile di Brindisi, le è stato familiare…
“Esattamente, così ci sentivamo! Piano piano ho cercato di fargli capire che potevamo mettere in pericolo qualcuno, o lui stesso. Grazie a Dio mi ha dato retta e abbiamo raggiunto un compromesso: meno mezzi, ma luci accese. Erano gli anni in cui le minacce dell’ISIS, con i video di bandiere islamiche su piazza San Pietro che circolavano sul web, erano quotidiane. Per cui non potevamo permetterci il minimo errore. Io filmavo ogni uscita con il cellulare, nel caso malaugurato in cui fosse successo qualcosa e fosse stato necessario ricostruire particolari circostanze”.
Il ricordo più emozionante e quello più doloroso degli anni accanto al Pontefice.
“Quello più emozionante è sicuramente legato ai festeggiamenti per il settantacinquesimo anno dell’istituzione dell’Ispettorato “Vaticano”: chiesi alla banda della Polizia di Stato di suonare un famoso tango argentino, “Por una cabeza”, per accogliere il Pontefice. Lui ringraziò i musicisti dicendo che era stato bello per lui entrare in Sala Nervi “con la nostalgia dell’autunno di Buenos Aires”. Lo vedemmo commosso e ci commuovemmo a nostra volta. Il momento più doloroso, ma altrettanto emozionante, è legato alla camminata solitaria in piazza San Pietro durante la pandemia. Fu un momento di altissimo raccoglimento, indimenticabile per quello che mi riguarda”.
Ai suoi colleghi impegnati in questi giorni a curare l’ordine pubblico e la sicurezza delle migliaia di persone che visiteranno la camera ardente e assisteranno ai funerali del Santo Padre cosa sente di dire?
“Sono professionisti eccezionali, non hanno bisogno dei miei consigli. Chiunque venga destinato a ruoli di rilievo nella Capitale è persona di comprovata esperienza e di grandi capacità. Li ho sentiti in questi giorni e ho augurato loro buon lavoro, niente altro: non ci sono dubbi sulla loro professionalità”.
Se dovesse ricordarlo a chi non l’ha mai conosciuto, come definirebbe Papa Francesco?
“Misericordioso. Credo che la misericordia sia stato il tratto più caratteristico del suo Pontificato. “Miserando atque eligendo”: l’ha scelto come motto personale e l’ha fatto inserire nel suo stemma non a caso. È stato guardato da Dio con amore e ha guardato i fratelli con altrettanto amore”.