
Avevo già una mezza intenzione di occuparmi di archeologia subacquea e non già e non solo perché siamo di nuovo in estate ed i suggerimenti per gli appassionati di immersioni subacquee possono essere delle simpatiche letture sotto gli ombrelloni, ma anche perché il prossimo 5 luglio e per un anno intero, presso l’aeroporto di Brindisi sarà allestita una interessantissima mostra dal titolo “Nel mare dell’intimità” l’archeologia subacquea racconta il Salento.
È accaduto, invece, che in contemporanea, da due diversi amici, come me appassionati di cose di mare e di Brindisi, mi giungessero due notizie contrapposte, una positiva e l’altra, decisamente negativa.
La nota positiva è stata quella relativa alla campagna di scavi subacquei in essere davanti al lido Oktagona, in zona Punta Penne ad opera della Guardia Costiera e che ancora era tenuta segreta, probabilmente allo scopo di limitare al massimo la possibilità che degli improvvisati tombaroli potessero andare a fare man bassa dei reperti ancora in mare; quella decisamente negativa, è stata che a poche centinaia di metri dalla zona dove stava operando la Guardia Costiera, ed esattamente alla Punta del Serrone, il luogo principe dei ritrovamenti archeologici subacquei non solo a Brindisi, ma nell’intera fascia Adriatica, ignoti pescatori di frodo, utilizzando probabilmente sottocosta il vietatissimo sistema della pesca a strascico, avevano travolto e spezzato in più parti la famosa statua in carparo di padre Pio, che circa un ventennio fa era stata posizionata su un fondale di 16 metri costituito da una lingua di sabbia posta fra due costoni rocciosi, luogo e statua particolarmente cara a tutti i subacquei pugliesi e non solo a loro, dal momento che questa immersione è segnalata in tutte le principali guide subacquee nazionali.
Il basamento ed i piedi sono ancora ben ancorati al fondale, il tronco del frate di Pietrelcina giace sul fondo, ancora imbrigliato nella malefica rete, mentre della testa del Santo non vi è alcuna traccia.
Speriamo che la Guardia Costiera, tanto impegnata nella meritoria opera di recupero dei reperti archeologici, trovi anche il tempo di contrastare il fenomeno della pesca illegale e, magari, riesca anche a risalire ai responsabili del danneggiamento, forse irreparabile, della statua di padre Pio.
Tornando ai ritrovamenti di Punta Penne, i reperti archeologici che giacevano semisommersi nella sabbia a nemmeno cinque metri di profondità, sono stati, fino ad ora, portati in superficie come da rapporto della Guardia Costiera sono un paio di dozzine di frammenti ceramici più o meno grandi di anfore di varia forma, risalenti al periodo romano, oltre che un reperto navale risalente ad un periodo probabilmente successivo.
Per avere più chiaro il quadro della situazione e per poter capire la reale importanza di questa scoperta, abbiamo fatto una chiacchierata con un vero esperto della materia, Danny Vitale, presidente del gruppo Archeo di Brindisi, da sempre in prima linea quando si tratta di difendere il nostro patrimonio archeologico.
Danny, premesso che da vecchio subacqueo conoscevo personalmente da anni, per non dire da decenni, quello come altri “giacimenti” di cocci di anfore, qual è il tuo pensiero sulla importanza di questa scoperta che porta in superficie ciò che da un paio di migliaia di anni giaceva nei nostri fondali, custodito dalla sabbia e dal mare?
“A mio avviso è un bene che la notizia del rinvenimento di reperti antichi faccia notizia ma di certo, come giustamente fai presente da subacqueo che da anni ti immergi nel mare di Brindisi, non è una scoperta inaspettata. La nostra città, le nostre coste sono un vero e proprio scrigno, un giacimento di reperti in attesa di essere portati alla luce. Le scoperte subacquee nei nostri fondali si susseguono dagli anni 60 (grazie all’impegno della direttrice del museo Archeologico Benita Sciarra e alla collaborazione con vari istituti italiani)”.
Te la senti di fare un breve excursus della storia della Brindisi più antica, legata al mare?
“Come è noto, in vari periodi storici, per via della sua posizione strategica, Brindisi è stata un passaggio forzato per commercianti, militari e merci. I nostri fondali ci hanno restituito reperti che risalgono a vari periodi storici.
Lungo la nostra costa sorgevano abitati sin dall’età del bronzo: Torre Guaceto, Apani, Punta le Terrare. Quest’ultima può essere considerata la prima Brindisi storica: infatti si tratta di un accampamento capannicolo dell’età del bronzo, (circa 3.200 anni fa) che sorgeva nel porto medio vicino a costa Morena. I suoi abitanti erano dediti alla pastorizia, all’agricoltura, alla caccia alla pesca, alla produzione di ceramica e intrattenevano importanti scambi commerciali con le popolazioni egee, infatti fra i vari resti sono stai rinvenuti resti di ceramica micenea. I rinvenimenti evidenziano un’attiva rete di scambi che coinvolse entrambe le sponde del mediterraneo meridionale.
Brindisi è sempre stata una rotta super frequentata nei due sensi: nella prima fase, quella pre-romana, dall’Oriente attraverso Brindisi si raggiungeva l’Occidente; Nella fase romana, non solo Imperiale, ma già in età repubblicana sin inverte il senso e attraverso Brindisi è l’Occidente che raggiunge l’Oriente. Per la nostra città le cose non cambiano perché rimane sempre un punto focale di passaggio in questi periodi in cui, comunque, la navigazione era molto pericolosa e non avveniva come adesso ma avveniva costa-costa ed è risaputo che una delle tratte più sicure era da Durazzo a Brindisi, perché si riuscivano a seguire bene le correnti.
In periodo romano si raggiunge il massimo dello splendore e non è un caso che è a questo periodo che si possono far risalire la maggior parte dei reperti rinvenuti nel nostro mare e gran parte di essi sono custoditi all’interno del Museo Archeologico dove c’è addirittura una sala interamente dedicata alla ricostruzione di un’antica nave ed al cui interno sono state posizionate varie tipologie di anfore
Ricordo che le anfore si classificano in vari modi a seconda della forma; in occasione dei ritrovamenti di questi giorni nei pressi di Punta Penne ho sentito qualcuno che parlava di anfore egiziane, di anfore fenicie, ma ciò non vuol dire assolutamente che quelle, in particolare provenivano realmente dall’Egitto o dai Fenici, ma semplicemente che rispettano la tipologia tecnica di quel tipo di anfora, per forma e dimensione, ma, probabilmente erano anche esse di periodo romano; ovviamente si può essere più precisi solo studiando a fondo i reperti in questione, per ora sarebbe prematura qualsiasi conclusione al riguardo”.
Ci vuoi parlare, più in particolare di qualche ritrovamento subacqueo specifico, più importante?
Lungo le nostre coste ci sono vari relitti ritrovati lungo le nostre coste e risalenti, sempre, al periodo romano, non solo a Brindisi, ma anche a Torre Santa Sabina, in alcuni casi si sono ritrovati anche i fasciami delle antiche navi, ma i reperti più ricorrenti sono proprio le anfore in genere con un tappo di chiusura e la forma tipica per inserirle all’interno della stiva delle navi per evitarne gli spostamenti. Le anfore non contenevano solo liquidi come vino ed olio, ma anche dei solidi.
A Brindisi è nota una antica fornace a Giancola, nella quale venivano prodotte delle anfore che portavano incise sulle anse dei bolli con i nomi dei produttori. Questo ci ha permesso di costruire tutte quante le rotte di questi manufatti che si spostavano nel Mediterraneo. Per entrare più nello specifico poco al largo di Acque Chiare sono stati rinvenuti dei carichi di laterizi, mattoncini rossi, segno evidente che le navi che si spostavano lungo queste rotte trasportavano anche materiale per l’edilizia. Stiamo parlando più o meno del periodo che va dal secondo secolo avanti Cristo, cioè in pieno periodo Repubblicano, al primo secolo dopo Cristo, cioè agli albori dell’Impero Romano.
Dalle anfore rinvenute lungo le coste brindisine emergono anche chiare testimonianze di commerci con l’Africa.
Anche relativamente al periodo medioevale vi sono relitti fra cui uno, posizionato proprio all’ingresso del porto e che fu causa anche dell’impaludamento del porto.
All’ingresso del Canale Pigonati è stato rinvenuto il relitto di una nave, carica di pietre, affondata volontariamente per occludere l’accesso al porto alla flotta veneziana che era venuta per invadere la città.
Proprio all’interno del nostro porto è stata rinvenuta la cosiddetta epigrafe del navigante ed è molto affascinante quello che c’è scritto: racconta delle peripezie di un mercante che, dopo aver vissuto viaggi, naufragi, rovesci e peripezie varie si diceva soddisfatto di essere venuto a morire a Brindisi, ringraziando i passanti che venivano a leggere la sua epigrafe”.
Stai lasciando appositamente per ultima proprio la più grande scoperta archeologica sottomarina mai avvenuta dalle nostre parti, proprio a due passi dal punto dove ora sono state rinvenute le anfore?
“Bè si: il fiore all’occhiello dei rinvenimenti archeologici nel mare di Brindisi sono quelli di Punta del Serrone: si tratta, come è noto, di una serie di statue, provenienti dall’Egeo e dalla Grecia, frammentate intenzionalmente per essere trasportate a Brindisi, od in altra fonderia lungo la nostra rotta per fonderle e costruire, forse in periodo medioevale, anche se non vi alcuna certezza di ciò, per costruire con il bronzo che se ne sarebbe ricavato, armi e campane.
All’interno del Museo Archeologico, una sala è dedicata proprio ai Bronzi di Brindisi, come sono universalmente conosciuti questi reperti, recuperati nel 1992, e considerati molto rari proprio per l’usanza medioevale di fondere tutto ciò che di bronzo proveniva dall’antichità. Ovviamente non si tratta dei Bronzi di Riace che sono unici al mondo e spettacolari in quanto assolutamente integri e non ridotti a frammenti, ma anche quelli di Brindisi rivestono una certa importanza e rarità: oltre ai tantissimi frammenti, in particolare, è stato possibile ricostruire due statue: il Principe Ellenistico, la raffigurazione di un console romano, forse Lucio Emilio Paolo, ed è un pezzo molto pregiato che viene richiesto in mostra da tantissimi enti: basti pensare che è stato esposto dapprima a Firenze, presso Palazzo Strozzi, nella mostra “Potere e Pathos”, successivamente a Los Angeles, presso il Paul Getty Museum, ed in ultimo alla National Gallery di Washington; altro pezzo pregiato è il Politechion, la statua bronzea di un bambino di 13 anni, ci sono anche altri reperti importanti ma, ovviamente, non è il caso di scendere troppo nel dettaglio”.
Vuoi concludere, tornando ai reperti scoperti in questi giorni?
“Venendo ai ritrovamenti in essere a Punta Penne, non è un evento che ci sorprende più di tanto, ma si tratta di ulteriori testimonianze, senz’altro utili per ricostruire la storia dei commerci di Brindisi.
E’ cosa nota che i nostri fondali nascondono moltissimi reperti antichi, soprattutto anfore: negli anni passati non solo chi faceva archeologia, ma anche chi faceva il subacqueo o il pescatore, ne trovava tantissime: molte sono andate disperse, molte, per fortuna, sono ora custodite all’interno del Museo di piazza Duomo”.