I suoi video osè inviati ad amici e parenti: una 28enne fa arrestare il suo aguzzino

di Roberta Grassi per il7 Magazine

Varcare quella soglia è stato il passo più difficile da compiere. Dietro le spalle un incubo, nelle stanze della questura la speranza di liberarsene. Altre donne, prima di lei, si erano arrese. Sopraffatte dalla vergogna, c’era chi aveva deciso di farla finita per non aver retto il peso. Il peso del giudizio di una società non ancora pronta ad ammettere che ogni donna ha il sacrosanto diritto di gestire come le pare la propria sessualità.
Il coraggio di una 28enne della provincia di Brindisi ha consentito di interrompere il ricatto e di giungere, a quanto sembra, al lieto fine. Ha portato all’arresto del presunto autore di condotte di “revenge porn”, diffusione di video a contenuto erotico al fine di ottenere qualcosa in cambio. E potrebbe condurre anche ad individuare i complici dell’indagato, un 35enne di Salice Salentino, che non può aver fatto tutto da solo secondo gli investigatori. Ha inoltrato filmati di rapporti intimi, ma poi questi contenuti sono stati a loro volta utilizzati. Ed è bene che si sappia che anche chi contribuisce all’inoltro è complice e penalmente perseguibile.
E’ stato un caso che la vicenda si sia sviluppata nel mese di novembre, proprio nelle settimane che precedono la giornata mondiale per l’eliminazione di ogni forma di violenza contro le donne.
Il 2 novembre una ragazza si rivolge agli agenti della Squadra mobile. E racconta tutto, fra le lacrime. Sui social ha conosciuto un uomo dalla faccia pulita. Carino, niente che lasciasse presagire particolari problemi.
La convince ad accendere la webcam, mentre instaura via internet una relazione “a distanza”. Ma pur sempre intima. A quanto pare, registra. I due, poi si incontrano. Quello che accade è prevedibile, normale. Ma viene filmato. Al rifiuto, poi, di trasformare i momenti di occasionale condivisione in una relazione stabile, scoppia l’inferno.
I video circolano. Finiscono sui telefonini di amici, conoscenti, perfino parenti. I frame sarebbero perfino stati affissi (a quanto riferito) tanto nel paese d’origine della vittima, quanto nel luogo in cui si è trasferita per lavoro. Nel nord’Italia.
Minacce, per dirla in una sola parola. Una pesante intromissione nella sfera privata che è presto divenuta molestia. Gli uomini e le donne della Squadra mobile, diretti dal vicequestore Rita Sverdigliozzi, hanno indagato rapidamente. L’inchiesta è stata coordinata da una donna, Livia Orlando, l’ordinanza di custodia cautelare disposta pure da una giudice, Tea Verderosa.
Il 23 novembre per il 35enne di Salice sono scattati gli arresti domiciliari. Bisognava fare in fretta, a parere degli inquirenti. Per non inquinare le indagini, per porre fine all’angoscia della denunciante.
In quella circostanza la polizia ha sequestrato tutto. Sul materiale è stata disposta una perizia che servirà a cristallizzare gli indizi già raccolti, ma anche a individuare i complici.
E’ infatti emerso che l’uomo utilizzava profili fake, ma con gli strumenti informatici attuali è facilmente smascherabile ogni tentativo di depistaggio. La trasmissione del materiale ha probabilmente coinvolto altre persone, che potrebbero finire nei guai.
La giovane brindisina si è affidata al sostegno di un centro antiviolenza. Ha bisogno di supporto psicologico. La assiste l’avvocato Vincenzo Leo. Il 25 novembre, proprio giorno dedicato alla lotta contro ogni forma di violenza di genere, l’indagato è stato ascoltato nel corso dell’interrogatorio di garanzia.
Risponde di stalking, maltrattamenti e revenge porn, reato introdotto il 9 agosto 2019 con l’entrata in vigore del “Codice Rosso”.
Dai dati raccolti dalla Direzione centrale della polizia criminale, dei quattro delitti di nuova introduzione, quello che ha fatto registrare più trasgressioni, (1.741 dal 9 agosto 2019 all’8 agosto 2020), spesso sfociate in condotte violente nei confronti delle vittime, è la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare o del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa o la misura precautelare dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare.
Quanto alla diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, appunto il “revenge porn”, dei 718 reati denunciati, l’81 per cento ha riguardato vittime di sesso femminile, per l’83 per cento maggiorenni e per l’89 per cento italiane, episodi distribuiti nell’anno con un andamento altalenante e un picco nel mese di maggio con 86 casi.
Sono moltissimi gli strumenti di sostegno. La campagna permanente di prevenzione “Questo non è amore” della polizia, finalizzata a fornire informazioni alle donne in situazioni di rischio. La app YouPol, piattaforma su cui si possono segnalare pericoli, situazioni di abuso, direttamente dallo smartphone.
Stesso strumento su cui spesso viaggiano i soprusi. E’ emerso infatti che un milione di utenti italiani pratica regolarmente violenza contro le donne sul programma di messaggeria “Telegram”, il meno tracciabile. Un report, “Lo stato dell’arte Revenge” di PermessoNegato, dà conto dell’esistenza di 89 gruppi e canali italiani attivi nella condivisione di pornografia non consensuale. Il più seguito ha 997mila utenti iscritti. Il numero totale degli “adepti” supera i 6 milioni. Il materiale che viene diffuso è sempre lo stesso: immagini riprese consensualmente ma che dovevano restare private, video girati con telecamere nascoste.
Se Telegram sembra non voler collaborare con le autorità, Facebook invece ha lanciato un programma pilota sulle immagini intime condivise senza autorizzazione: si può inviare una copia in modo sicuro e protetto per far sì che il social ne impedisca la divulgazione anche sulle piattaforme Messenger e Instagram. Una goccia in un mare di sofferenza che parte dall’assunto che per combattere la piaga, ci vuole consapevolezza collettiva. E si deve, sempre, denunciare.