Per circa un mese e mezzo i nostri fine settimana erano stati funestati, oltre che dalle misure di contenimento della pandemia, che pur non vietando le attività ricreative, cionondimeno le complica notevolmente, da venti impetuosi che hanno spazzato in lungo e largo la nostra costa, sì da impedire lo svolgimento delle attività subacquee.
Stando all’asciutto dalla prima domenica di gennaio, giorno in cui nel dopo immersione, mi concessi – orfano del tradizionale tuffo di capodanno, quest’anno abolito a causa dell’emergenza sanitaria in atto – anche una beneaugurante nuotata alla conca, il ritorno del bel tempo dopo giornate di autentica buriana, ci ha invogliato a tornare sott’acqua, pur consapevoli della ridotta visibilità che avremmo trovato a causa della sabbia e dei detriti in sospensione dopo che per giorni la costa era stata flagellata da onde alte anche più di due metri.
In sospeso, poi, era rimasto anche il recupero della statuetta della Natività che avevamo deposto il giorno dell’Immacolata in una grotticella a sei metri di profondità, dalle parti della Conca di Materdomini e che, proprio a causa del maltempo, non eravamo mai più andati a riprendere.
La temperatura del mare, a febbraio, è la più fredda dell’anno in quanto dopo essersi gradatamente e molto lentamente raffreddata in autunno ed all’inizio dell’inverno, non ha ancora ripreso a salire, per cui nessuna meraviglia quando abbiamo verificato sul computer da polso, che era fra gli undici ed i dodici gradi, più o meno il picco minimo che si riscontra nel basso Adriatico, altro che innalzamento delle temperature a causa del riscaldamento globale!
Sono con me in immersione, anche se giunti a bordo di auto diverse in osservanza delle disposizioni anti covid-19, i miei compagni di mille immersioni, Fabio, Fabrizio ed Antonello.
Assemblata l’attrezzatura ed entrati in acqua da una caletta, non c’è bisogno nemmeno di dirci che giro dobbiamo fare in quanto ci capiamo al volo.
Così anche noto che si guardano tra loro i vari pescatori con la canna appostati sugli scogli, quasi a dire, sono arrivati gli “scassapatane” che faranno scappare via i pesci! Alcuni di loro, addirittura, prendono seggiolino, secchio ed attrezzi e si spostano di qualche decina di metri, nella speranza che non dobbiamo passare di lì sotto.
Il mare è calmo, la giornata è soleggiata per cui, tutto sommato, la visibilità sott’acqua è quasi accettabile per la stagione.
A dire il vero di pesce in giro ce n’era ben poco, mentre nei vari anfratti del costone di roccia che degrada fino a dieci metri di profondità sono tantissimi i pescetti che vi avevano trovato rifugio, evidentemente ancora intontiti dalla mareggiata che aveva imperversato fino al giorno prima.
Le onde non si erano limitate a portare scompiglio sulla costa, ma ci avevano anche restituito quintali e quintali di rifiuti di ogni genere, plastica soprattutto, che evidentemente le correnti avevano prima portato al largo: rispetto a quello che in quello stesso posto avevamo visto nel periodo di Natale c’era tanta robaccia in più, non solo sul fondale sabbioso, ma anche, purtroppo, fra gli scogli, sotto al pietrame ed in ogni fessura o pertugio che, solitamente, troviamo occupati da polpi, crostacei, scorfani e bavose: un vero oltraggio alla natura.
A rendermi, ancor più, di malumore è la scoperta che il presepe che avevamo ben fissato con filo di ferro ad una grossa pietra e posizionato in una grotticella, era stato sottratto da qualche idiota, il quale aveva spostato all’esterno il pietrone per poter con calma togliere il filo di ferro e impadronirsi della preziosa opera d’arte, da me acquistata ad euro 9,90 tre anni fa, a cui avevamo anche praticato dei buchi per poterla meglio fissare: immagino la faccia soddisfatta di questo gran signore nel rigirarsi tra le mani tale artistico manufatto! Anche se non bisognerebbe mai augurare il male a nessuno, per questo tizio, che spero tanto legga questo mio sfogo, mi sentirei di fare un’eccezione.
Man mano che aumenta la profondità dell’immersione, aumentano i rifiuti plastici che incontriamo ed aumenta ulteriormente il malumore dal momento che noto un altro tratto di scogliera che fino a Natale era sicuramente integro e ricoperto da bel coralligeno, scalpellato e distrutto dal datteraro di turno per almeno una decina di metri lineari.
Va precisato, visto che c’è ancora molta confusione al riguardo, che il dattero di mare non è tutelato in quanto specie in via di estinzione, ma perchè la sua raccolta in natura, vivendo all’interno delle rocce sottomarine, è talmente distruttiva per l’ambiente che la legge, anche penale, è dovuta intervenire per porre argine a questo scempio. Si trattava di una pratica assolutamente legale fino alla fine del secolo scorso quando l’Italia, prima ancora degli altri paesi europei, mise al bando la pesca del dattero di mare, estendendo il divieto e le relative sanzioni anche al commercio, alla detenzione e al consumo. Più che di attività di pesca è un vero e proprio prelievo forzoso per cui vengono utilizzati addirittura dei martelli pneumatici, al posto dei vecchi classici scalpelli, pinze per l’estrazione del mollusco, mazzette e picozze per frammentare la roccia; va detto che in alcuni e, fortunatamente, rari casi sono stati utilizzati anche gli esplosivi. E’ evidente che si tratta di una attività che danneggia irreversibilmente il litorale di natura calcarea e i fondali, compromettendo anche la sopravvivenza di diverse specie animali e vegetali e, in genere, di tutta la biodiversità marina. A questo proposito aggiungo che chi acquista, consuma, vende o serve ai tavoli del proprio locale il dattero di mare è colpevole di questo disastro ambientale esattamente come chi materialmente spacca le scogliere per prelevarlo.
Tornando, dopo questa breve parentesi, alla nostra immersione, proprio lì vicino fino ad un paio di anni addietro vi era anche una piccola colonia di cavallucci marini, di cui uno di un bel giallo canarino, che fu sfrattata senza preavviso proprio dall’opera di uno di questi pescatori di frodo che devastò, a suon di scalpellate, alla spasmodica ricerca del frutto di mare proibito, la parete rocciosa dove questi curiosi animaletti abitavano ed è da allora che, nonostante le decine di immersioni fatte sul posto, sia di giorno che di notte, sia di estate che di inverno, non si vede più un Ippocampo in questa zona del litorale brindisino. Tant’è che, se voglio avere la certezza di incontrarne qualcuno, mi tocca spostarmi sullo Ionio dove, anche in aree portuali ed in mezzo alla plastica, queste piccole creaturine, riescono a sopravvivere meglio che sul versante adriatico.
Arrivati all’altezza della vecchia condotta in disuso che faceva sboccare a mare le acque reflue provenienti dall’aeroporto, l’altra brutta sorpresa: proprio dove la scorsa estate vi erano dei vecchi copertoni che, con tanta fatica, avevamo recuperato nel corso di una campagna di pulizia del fondale, vi erano altri copertoni giacenti sul fondo, intervallati da una vecchia e contorta rete da pesca, tenuta parzialmente in sospensione dai galleggianti. E’ evidente, a questo punto, che qualcuno usa il battuto in cemento che copre la condotta che attraversa la scogliera per venire a buttare a mare vecchi copertoni di cui si vuole disfare.
Decidiamo sul momento che non è il caso di provare a spostare quegli ingombranti rifiuti per riportarli in superficie in quanto, oltre a non essere sufficientemente attrezzati, non abbiamo nessuno in superficie a darci una mano per cui, conoscendo a memoria il posto, ci torneremo a primavera inoltrata, in occasione di qualche giornata dedicata alla pulizia di spiagge e fondali, anche per poter conferire immediatamente questi rifiuti ingombranti alla ditta autorizzata che, per conto del Comune di Brindisi, provvederà al suo stoccaggio.
Non vorrei essere ripetitivo ma l’abbandono incontrollato in mare di rifiuti di ogni genere – plastica su tutti, ma non solo plastica – è un’offesa che si arreca non solo alle creature che popolano il mare (i cetacei e le tartarughe marine sono solamente le vittime più illustri di questo delirio umano) ma anche alla nostra salute dal momento che ogni elemento inquinante entra inesorabilmente nelle complesse reti ecologiche, entra nelle catene alimentari in cui l’uomo è all’apice e nei nostri stessi organismi, diviene parte integrante dell’ecosistema di cui anche noi facciamo parte.
A questo va aggiunto che una spiaggia sporca, un litorale invaso dalla plastica, un mare inquinato, sono anche poco decorosi ed un brutto biglietto da visita per qualsiasi città costiera, per cui ogni cittadino dovrebbe sentirsi parte lesa e fare sentire forte e chiara la sua voce quando si trova al cospetto di uno di questi sporcaccioni che, agendo senza scrupoli, usano il mare come se fosse una discarica.
A questo proposito voglio ricordare che ognuno di noi, nel suo piccolo può far qualcosa non già per salvare il mondo, ma sicuramente per porre un piccolo argine all’invasione di plastica che sta deturpando terra e mare, non solo, ovviamente, non disperdendoli nell’ambiente ma, a monte, evitando, per quanto possibile, sia l’acquisto di oggetti usa e getta in plastica come buste, bottiglie, bicchieri, posate, rasoi, ma anche evitando l’acquisto di prodotti con imballaggi in plastica. Chi, poi, volesse essere perfetto dal punto di vista della tutela ambientale dovrebbe anche controllare che negli ingredienti dei prodotti utilizzati per l’igiene quotidiana non siano presenti polimeri come il polipropilene o il polietilene, responsabili della dispersione delle ormai famose microplastiche che hanno invaso gli ambienti marini finendo nel nostro stesso circuito alimentare, e magari, anche evitare l’acquisto di capi d’abbigliamento in materiale sintetico. Inoltre, bisognerebbe entrare nell’ordine di idee che anche raccogliere dal mare un solo rifiuto plastico non solo ha una utilità, ma potrebbe anche salvare la vita a un animale marino.
Essendo questi i miei pensieri, non riesco ad astrarmi dal contesto per concentrarmi unicamente sulle creature marine che incontro sulla via del ritorno: nuvolette di castagnole, gruppetti di donzelle, qualche tordo pavone, un polpo ormai prossimo all’accoppiamento, le immancabili salpe che brucano la vegetazione che ha colonizzato le parti più luminose della scogliera, una quantità enorme di piccoli gamberetti trasparenti che attirano piccoli predatori e, quando siamo già in prossimità dell’ingresso al canalone che ci porta al punto di partenza, una giovane corvina argentea e gialla, che, subito, si nasconde nella sua tana, senza nemmeno darmi il tempo di immortalarla in uno scatto.