In Italia siamo tutti qualcosa di Al Bano, icona per cinque generazioni

di GIANMARCO DI NAPOLI

“A Cellino tutti siamo qualcosa di Al Bano”. Il dottor Oronzo Carrisi, alias Checco Zalone, nel famoso sketch al Festival di Sanremo, perculando il suo caro amico, ha detto una grande verità, ma parziale. Non solo a Cellino, ma in Italia tutti siamo qualcosa di Al Bano.
Nella sua iconica ma immutata trasversalità, come un’infinita alterazione cromatica di una serigrafia di Andy Warhol, Albano Carrisi ha una tinta e una sfumatura variabili che hanno saputo adattarsi al mutare di cinque generazioni, rimanendo però egli sempre identico a se stesso.
E’ questa la sua straordinaria unicità, per cui il personaggio Al Bano è riuscito a superare persino il magnifico cantante, allo stesso modo con cui i suoi do di petto scavallano le barriere ordinarie del limite umano e sconfinano laddove solo pochi terrestri sono mai riusciti a volare.

Un contadino cocciuto che non ha mai cambiato il suo look, inforcando gli stessi occhiali da quando le sue canzoni viaggiavano a 45 giri con l’etichetta azzurra della RCA nei mangiadischi rossi e nei juke-box, a oggi che rimbalzano nella rete a 45 giga sui supporti digitali, a lui totalmente sconosciuti.
Un solo cambiamento si è concesso in 60 anni di carriera: un cappello panama bianco che porta sempre sulla testa per ricordare papà Carmelo, quello che quando nacque era al fronte in Albania e scrisse la lettera alla moglie: “Chiamiamolo Albano”. Era proprio come oggi il 20 maggio, ma di 80 anni fa.
E lei, donna Jolanda, che scelse di dormire al freddo per provare la stessa sofferenza del marito, sino a quando non fosse tornato dalla guerra, lo chiamò così: Albano Carrisi, nato a Cellino San Marco, provincia di Brindisi.

Già, la guerra. La più grande vittoria di Al Bano non è musicale, né televisiva, né cinematografica. Negli ultimi anni era ospite fisso di Putin, essendo amatissimo in tutta l’ex Unione Sovietica, forse il cantante più famoso di sempre. Al Cremlino era di casa e ai russi, si sa, non mancano i rubli per far volare i cachet. Proprio per questa sua presenza fissa a Mosca, nel 2019, l’Ucraina l’aveva inserito al numero 48 nella lista nera dei 147 artisti nemici di Zelensky.
Quando Putin ha invaso l’Ucraina, sicuramente tappeti rossi sarebbero stati distesi al Cremlino se il loro mitico Al Bano avesse sostenuto la guerra russa.
Ma lui ha scritto una lettera al dittatore: “Finché sei in tempo, fermati. Stop alla guerra”. Poi nella sua tenuta ha dato ospitalità a una famiglia di profughi ucraini fuggiti dall’invasione. Già, il nemico di Zelensky.

L’unicità, la testardaggine e il cuore di Albano Carrisi, oggi fresco ottantenne cui il mondo fa gli auguri, sono tutti qui.

E forse l’immagine che meglio lo rappresenta è questa: da solo in un aeroporto di Fiumicino completamente deserto durante il Covid, pronto a prendere ancora il volo per un altro concerto. Ma con un aereo che non sarà mai in grado di andare più in alto del suo do di petto.