di Gianmarco Di Napoli
Un coniglio in gabbia come segnale convenuto per la cessione della cocaina e gli spacciatori costretti a ingoiare le bustine di droga per evitare i controlli: la rete di pusher che si muoveva tra Mesagne, Brindisi e Ostuni, sgominata in un blitz della polizia, tentava in tutti i modi di evitare i controlli, in modo da distribuire la sostanza stupefacente persino in pieno lockdown.
Le ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite dagli investigatori del commissariato di Mesagne (che hanno condotte le indagini coordinate dal dirigente Giuseppe Massaro), con la collaborazione della squadra mobile di Brindisi, del commissariato di Ostuni, del reparto prevenzione crimine della polizia di Stato di Lecce e Napoli, del Reparto Cinofili della polizia di frontiera di Brindisi e del IX reparto Volo della polizia di Stato di Bari.
In carcere sono finiti: Mauro Salvatore Girardo alias “lu poppitu” 53 anni di Mesagne, residente a Levego (Belluno), Damiano Gagliardi alias “scasciamachini” 51 anni di Mesagne, Paride Luciano Molfetta alias “chiapparinu” 48 anni di Mesagne, Vito Zullo 47 anni di Mesagne, Luca Rammazzo 32 anni di Mesagne, Angelo Antonio Molfetta alias “purpittoni” 49 anni di Manduria ma residente a Mesagne.
Ai domiciliari, invece: Antonio Carmelo Della Porta alias “trambuestu” 54 anni di Mesagne, Giovanni Loparco 49 anni di Mesagne, Gianfranco Coluccia 46 anni di Mesagne, Angelo Falcone 34 anni di Mesagne, Angelo Apolito 48 anni di Ostuni, Cosimo Francesco Palazzo del 49 anni di Ostuni, Fernando Francesco Rogoli 67 anni di Mesagne, Michele De Luca 54 anni di Ostuni assistente Capo della Polizia Penitenziaria attualmente in servizio presso la casa Circondario di Taranto, Elisabetta De Pace 45 anni di Brindisi.
Le indagini partono dall’aggressione di Mauro Girardo, detto “lu poppitu”, avvenuta la sera del 26 settembre 2020 nei pressi della Porta Piccola di Mesagne. Girardo si guarda bene dal denunciare l’accaduto ma la polizia – attraverso la visione dei dvd con le registrazioni delle telecamere che sorvegliano la zona, individuano i cinque autori del pestaggio, tutti personaggi già noti alle forze dell’ordine. Tra questi c’è anche il fratello di un pentito della Sacra corona unita. Vengono così piazzati alcuni rilevatori satellitari Gps sulle auto di alcuni di loro tra cui anche quella di Girardo.
Si scopre così che quest’ultimo, ogni giorno dal primo pomeriggio alla sera, rimaneva in sosta in via Martiri della Libertà, angolo con vico della Caraglia, una stretta via della vecchia Mesagne che per raggiungerla in auto bisogna attraversare tutto il centro storico mentre a piedi occorre percorrere una scalinata che si imbocca dalla centralissima via Federico II Svevo. Un punto strategico scelto da Girardo per spacciare la droga: la scala consentiva al pusher di notare subito l’arrivo eventuale di forze dell’ordine e ai tossicomani di raggiungerlo a piedi facilmente. Intercettando il suo telefono, i poliziotti hanno sentito parlare chiaramente dello spaccio di cocaina del quale i pusher parlavano liberamente, senza timore di essere intercettati.
Uno dei personaggi centrali dell’inchiesta è Paride Molfetta, detto “lu chiapparinu”, mesagnese trapiantato a Brindisi dove lavora per una cooperativa che si occupa di servizi di pulizia e che abita in un grande condominio di via Cappuccini, insieme alla moglie, Elisabetta De Pace. Quando Molfetta inizia ad essere intercettato si trova già agli arresti domiciliari, circostanza che non gli impedisce di gestire tranquillamente l’attività di spaccio di cocaina, con la complicità della moglie. Molfetta gestisce una ventina di acquirenti, alcuni dei quali si rifornivano a scopo personale, altri per rivendere a loro volta la sostanza stupefacente.
Attraverso Molfetta gli investigatori riescono a individuare e identificare Damiano Gagliardi il quale risulta essere l’unico approvvigionatore di Molfetta. Si presentava puntualmente ogni mercoledì e sempre alla stessa ora: tra le 12.45 e le 13, consegnandogli circa 150 grammi alla settimana.
“Lu chiapparinu” era uno estremamente cauto: dopo l’arresto aveva alzato il livello d’attenzione, adottando tutta una serie di accortezze. Chiedeva ai suoi acquirenti di controllare bene, prima di entrare nella sua abitazione, che non vi fossero “sbirri” per strada, spesso facendoli accedere dai garage sotterranei da dove si poteva arrivare direttamente nell’androne del palazzo senza nemmeno passare dal portone d’ingresso. Inoltre aveva imposto anche di inviare un breve messaggio di testo una volta arrivati a destinazione per rassicurarlo che tutto fosse andato bene.
Ad alcuni, quelli che acquistavano quantitativi maggiori di droga, aveva addirittura imposto di ingerire le dosi di cocaina che egli stesso aveva preventivamente preparato con del nastro. Questo il contenuto di un’intercettazione con un acquirente: “Ora te lo metto in un’altra bustina con lo scotch nero, te la metti in bocca e la ingoi. Poi la caghi. Giova’ mi devi ascoltare, sa? Mi devi ascoltare, che qua le cose non stanno bene… che poi sai che succede… qua stanno fermando. Devono arrivare a quattro/cinque persone… devono fare l’istanza al giudice… me ne devono portare… mi tolgono i domiciliari e me ne devono portare… te lo sto dicendo io”.
Molfetta riceveva da Gagliardi, ogni mercoledì, almeno 150 grammi di cocaina che esauriva entro il martedì successivo. Questo lo sapevano bene tutti i suoi clienti che aspettavano che gli inviasse il messaggio convenuto per recarsi a casa sua. E il messaggio era la foto di un coniglietto in gabbia.
Damiano Gagliardi, fratello di Pino, boss ergastolano della Sacra corona unita, appare come l’unico fornitore di Molfetta. Al punto da metterlo in difficoltà quando una partita di cocaina si è bagnata, probabilmente durante il trasporto in mare oppure quando era nascosta nei pressi di un tombino: “”E come faccio io? Questi non li posso lasciare in croce, io”, si lamenta Molfetta pensando ai suoi clienti. Grazie alle telecamere piazzate e alle intercettazioni ambientali, la polizia documenta più volte Gagliardi in via Cappuccini con la sua Peugeot Bipper per consegnare la droga. Si sente chiaramente il rumore del cellophane in cui è contenuta la sostanza stupefacente e quello dell’armadio della stanza da letto dietro il quale la droga viene nascosta. Droga che poi verrà puntualmente trovata e sequestrata dalla polizia durante un controllo che viene fatto passare per casuale per non compromettere le indagini.
A sua volta Gagliardi utilizzava come deposito momentaneo della cocaina un capannone di via Castorini, nella zona industriale di Mesagne.
Gli interrogatori di garanzia degli arrestati sono iniziati davanti al giudice per le indagini preliminare Maurizio Saso che ha firmato le ordinanze cautelari.