Legari è stato ammazzato, preso il presunto killer: ora la famiglia vuole il corpo

Di Marina Poci per il numero 386 de Il7 Magazine
“Continuate ad indagare, non smettete di cercarlo”: fu questo il messaggio che Nunzia Legari lanciò, dalle pagine del nostro giornale, a magistratura e Carabinieri un anno esatto dopo la scomparsa di suo fratello Salvatore, imprenditore edile di 54 anni originario di San Pancrazio Salentino, da anni trasferitosi in Emilia Romagna, di cui si erano perse le tracce il 13 luglio 2023 a Lesignana, frazione di Modena, in una casetta in località Quattro Ville di proprietà dell’idraulico caldaista 38enne Alex Oliva. Salvatore si era recato lì per riscuotere il compenso (una somma di denaro ammontante a circa 16mila euro) per i lavori di efficientamento energetico che Oliva gli aveva commissionato, svolti nelle settimane precedenti, e per recuperare gli attrezzi edili che vi aveva lasciato. Lo scorso 14 gennaio, a un anno e mezzo da quell’assolato pomeriggio di metà estate in cui il telefono dell’imprenditore salentino smise di squillare, sono stati proprio i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Modena, con i quali le sorelle hanno sempre mantenuto i contatti, ad avvertire la famiglia che all’alba era stata eseguita una ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Oliva, accusato dell’omicidio di Legari e dell’occultamento del suo cadavere, mai ritrovato. Una notizia insieme temuta e attesa perché, mentre spegne la speranza di riabbracciare Salvatore, accende quella di potergli dare una sepoltura degna, qualora, come tutti sperano, nel corso dell’interrogatorio di convalida Oliva riveli finalmente dove si trova il corpo dell’imprenditore.
In questo senso si espresse tra le lacrime la mamma di Salvatore nell’unica intervista concessa (quella all’inviato di “Chi l’ha visto?” Gian Vito Cafaro), già immaginando l’epilogo peggiore anche in tempi in cui, forse, era ancora lecito sperare nel meglio: “Se non fossi così malata, andrei a riprendermelo io stessa. Non importa come, basta che torni a casa”. Ed è l’unico pensiero che, nel silenzio (anche social) di tutti gli altri famigliari, seguito all’esecuzione dell’ordinanza, ci affida la nipote di Legari, Denise Di Mauro: “Sono ancora molto scossa, preferisco non esprimere opinioni. Posso soltanto dirvi che, naturalmente, la nostra prima preoccupazione è stata quella di preservare i nonni, avvertendoli prima che la notizia iniziasse a circolare in televisione, e che la speranza di tutti noi è che la persona arrestata confessi e ci metta nelle condizioni di recuperare i resti di mio zio. Per il resto, la giustizia farà il suo corso. Nel modo, mi auguro, più veloce possibile”.
I resti di Salvatore Legari sono stati cercati, invano, in più di un’occasione: la convinzione degli investigatori è sempre stata quella che tra l’imprenditore e il suo committente sia insorto un violento diverbio quando Legari si recò presso l’abitazione di Oliva per esigere il pagamento per i lavori effettuati. Diverbio che sarebbe poi sfociato dell’aggressione e nel conseguente omicidio. Per questo il primo posto in cui i Carabinieri, i Vigili del Fuoco e la Protezione Civile, seguendo il fiuto dei cani molecolari, cercarono il corpo, già nel settembre del 2023, fu il terreno interno all’abitazione in cui Oliva vive con moglie e figli. Ricerche furono svolte anche nell’area circostante, disseminata di pozzi, cascine, canali, tutti luoghi in cui potenzialmente sarebbe stato agevole disfarsi di un cadavere. Infine, diversi sopralluoghi, sempre con l’ausilio delle unità cinofile, furono effettuati nei pressi del fiume Secchia, in agro di Sassuolo, nelle vicinanze del posto in cui, ben dieci giorni dopo la scomparsa, fu ritrovato il furgone Citroen Jumpy bianco a bordo del quale Salvatore si spostava per lavoro. Furgone che, a quanto si apprende dall’ordinanza applicativa della misura personale restrittiva, fu condotto lì da Oliva stesso dopo l’omicidio: con piglio da criminale consumato, per depistare le indagini e sviare i sospetti da sé, il 38enne modenese, dopo averlo ucciso, indossò la maglietta di Legari e si mise alla guida del Jumpy per spostarlo a Sassuolo, dove lo parcheggiò sulla pubblica via, in divieto di sosta (infrazione che costò al povero imprenditore, ormai morto, persino una contravvenzione elevatagli dalla Polizia Locale). È stata la perizia foto-antropometrica disposta dal pubblico ministero procedente a svelare che la sagoma del conducente del furgone, catturata da molti sistemi di videosorveglianza, pubblici e privati, durante il tragitto sino a Sassuolo, non è compatibile con la fisicità di Salvatore Legari, ma risulta del tutto sovrapponibile a quella di Oliva. Una ricostruzione avvalorata anche dall’analisi del traffico telefonico dello smartphone della vittima, mai ritrovato e con ogni probabilità occultato unitamente al corpo. Quel 13 luglio, il telefono di Salvatore agganciò sino alle 19,31 la cella sita alle spalle dell’abitazione dell’indagato (squillando a vuoto a partire dalle 16,19), mentre dalla serata del 13 luglio sino alle 10 del giorno successivo, quando si spense definitivamente, agganciò la cella di Sassuolo, corrispondente all’area del centro abitato nei pressi del fiume Secchia.
Ad appena due ore dopo l’allontanamento da casa risale il primo dei messaggi della convivente a cui Legari non diede riscontro. A questo ne seguirono altri, oltre ad una serie di telefonate, anch’esse rimaste senza risposta. L’ultima chiamata della compagna avvenne pochi minuti dopo le 20: qualcuno, quasi sicuramente Oliva, riagganciò, inviando dopo pochi secondi – in un ulteriore tentativo di depistaggio – un messaggio che sembrerebbe essere preimpostato (“sto tornando”), di quelli che il sistema invia automaticamente quando viene respinta una chiamata. Dopodiché la donna, allarmata per il mancato rientro, avverti la famiglia del compagno (le sorelle e i due figli, poco più che ventenni, che Legari ebbe dal precedente matrimonio) e il mattino dopo si recò presso la Caserma dei Carabinieri di Modena per sporgere denuncia. A completare il pesante quadro indiziario che ha determinato la Procura della Repubblica alla richiesta di misura cautelare c’è poi la questione che riguarda l’impianto di videosorveglianza interno all’abitazione di Oliva: con ogni probabilità l’hard disk, potenzialmente in grado di svelare particolari utili alle indagini, fu sostituito pochi giorni dopo l’omicidio, circostanza sulla quale il presunto assassino cercò di indurre a mentire i tecnici e gli elettricisti che ne avevano curato l’installazione. All’epoca, in realtà, il presunto assassino non risultava nemmeno iscritto nel registro degli indagati, considerato che, nelle prime fasi dell’inchiesta, la Procura della Repubblica di Modena ha indagato contro ignoti per sequestro di persona (ipotesi di reato a cui poi, qualche tempo dopo, si è aggiunta l’estorsione).
Alex Oliva, in ogni caso, non sarebbe nuovo a episodi di violenza causati da movente di natura economica: per evitare il pagamento di un debito, nel 2022 avrebbe aggredito a pugni un altro imprenditore, che poi lo denunciò. A suo carico risulta infatti una condanna, insieme al padre 75enne, a sei mesi di carcere (pena sospesa) per lesioni personali.
Una personalità problematica, dai tratti violenti e incline all’uso della forza fisica, dunque, emersa anche durante una puntata della trasmissione di Rai Tre Chi l’ha visto?, in cui fu mostrato un filmato nel quale l’indagato, incalzato dall’inviato Vittorio Romano con domande relative a Legari, esplose in un accesso d’ira, rivolgendosi con frasi volgari al giornalista e urlandogli contro minacce inequivocabili: “Fuori di casa, adesso vado a prendere il fucile” e ancora “Se vi ritrovo qua, la macchina ve la prendo e la infilo dentro un fosso”.
Premesse che certamente non sono sufficienti a ritenerlo colpevole, ma che senza dubbio irrobustiscono un quadro indiziario già piuttosto consistente. Resta da capire, ora, quale sarà l’atteggiamento di Oliva nel corso dell’interrogatorio di convalida. Ammetterà le sue responsabilità l’uomo che nell’ultimo anno e mezzo si è sempre difeso proclamandosi innocente e asserendo di essere soltanto colui che ha “avuto la sfiga” di vedere per ultimo “uno che poi è sparito”?