Medea, Alcesti e le altre: quattro donne determinanti nel processo Cairo-Spada

di GIANMARCO DI NAPOLI

Due uomini ammazzati, altri due accusati del loro omicidio. Ma ci sono tre donne al centro del processo (e anche una quarta, più defilata), ognuna a suo modo determinante per giungere alla richiesta finale del pubblico ministero Milto De Nozza: ergastolo per Cosimo Morleo, ergastolo per il fratello Enrico, rispettivamente come mandante ed esecutore materiale degli omicidi di Salvatore Cairo e Sergio Spada, due imprenditori di casalinghi uccisi barbaramente più di vent’anni fa.
Due di queste donne il magistrato della DDA di Lecce le ha paragonate, facendo riferimento alla mitologia greca, a Medea e ad Alcesti. Medea è la figura mitologica che per vendetta uccide i propri figli: De Nozza la rivede nella moglie di Enrico Morleo, il 58enne accusato di aver ucciso Cairo, averne fatto a pezzi il corpo e sparire i resti in un pozzo (queste ultime due circostanze ammesse dallo stesso imputato che fece ritrovare i resti dello scomparso nel dicembre dello scorso anno).
La moglie di Morleo assume un ruolo centrale nella vicenda quando, dopo la pubblicazione di un articolo de “Il7 Magazine” che faceva per la prima volta riferimento a una possibile unica mano dietro gli omicidi di Cairo e Spada, la polizia colloca nella stanza da letto della coppia una microspia per carpire le reazioni a quella notizia. Dalle trascrizioni di quelle conversazioni, secondo il pm, non solo si evince in maniera chiara la responsabilità di Enrico e Cosimo Morleo in entrambi gli omicidi, ma sarebbe evidente la consapevolezza della donna di ciò che ha fatto il marito e del suo ruolo di consigliera in un momento di sua grande confusione per tentare di evitargli l’arresto e il carcere a vita.
Nel corso di una interminabile notte di conversazione tra marito e moglie, sembra sia lei a tentare di guidare Enrico verso una soluzione che gli consenta di evitare l’ergastolo, avendo egli “solo” eseguito ciò che il fratello Cosimo gli aveva chiesto e di fatto quasi non conoscendo neppure le due vittime. Ed è sempre lei che gli consiglia di rivolgersi al fratello più grande, Pino, il vero capofamiglia, per cercare di venir fuori da una situazione che percepiscono essere drammatica. L’uscita dell’articolo che ipotizza un’unica regia dietro i due omicidi, avvenuti a oltre un anno di distanza l’uno dall’altro, e la consapevolezza che il fratello Massimiliano sia divenuto un collaboratore di giustzia, riaprono una porta temporale che era chiusa da vent’anni e loro pensavano ormai sbarrata per sempre.
La moglie di Morleo, ha sottolineato De Nozza nella sua requisitoria, è la sua compagna di vita da prima che venissero uccisi Cairo e Spada, quindi è perfettamente consapevole di ciò che il marito ha fatto e in parte ha confessato (aver fatto a pezzi il cadavere ancora caldo di un uomo, averlo bruciato e fatto sparire in un pozzo per oltre vent’anni).
Per accreditare ulteriormente questo suo ruolo consapevole, al termine della requisitoria, il pubblico ministero ha fatto proiettare in aula una videochiamata “intercettata” tra Enrico, già detenuto in carcere per il duplice omicidio, e la donna nella quale quest’ultima lo avvisa sillabando con la bocca, senza parlare, nell’illusione di non farsi sentire, di stare attento alla possibilità che anche il fratello Cosimo potesse pentirsi, inguaiandolo definitivamente.
La seconda donna che ha un ruolo centrale, secondo il pm, nella svolta alle indagini sui due omicidi è la moglie di quello che all’epoca dei fatti era un ragazzo di 19 anni: faceva l’operaio nella rivendita di legna all’interno della quale Massimiliano Morleo ha raccontato che venne ucciso Cairo. Quando venne ascoltato dalla polizia, oltre vent’anni fa, mentì sostenendo che Cairo, caricate le batterie di pentole da vendere dal magazzino di Cosimo Morleo, era andato via con la sua Volvo. In realtà da quell’azienda della zona industriale era uscito letteralmente fatto a pezzi. Quando il pm De Nozza e il capo del suo team investigativo, il vicequestore Vincenzo Zingaro, decidono di riconvocarlo dopo vent’anni, nella consapevolezza che egli possa mentire un’altra volta, anche qui collocano una serie di microspie per ascoltare le conversazioni. E in effetti nel corso del primo interrogatorio, l’uomo ripete la stessa versione di vent’anni prima. Ed è a questo punto che entra in gioco la moglie, che De Nozza ha paragonato a un altro personaggio mitologico, Alcesti, l’eroina che si offre di morire al posto del marito, il simbolo della sposa disposta per amore a rinunciare alla sua stessa vita. Viene convocata anche lei in questura insieme a lui, ed è all’oscuro di tutto. A differenza della moglie di Morleo lei all’epoca non era sposata e neanche conosceva il suo futuro compagno.
E dopo l’interrogatorio in questura, quando sono intercettati, gli chiede conto di quello che è successo, di cosa ha visto, di ciò che gli ha tenuto nascosto. In altre parole vuole sapere chi sia davvero l’uomo che ha sposato e lo mette con le spalle al muro. Una volta che conosce la verità, cioé che lui ha visto Enrico Morleo con un coltello in mano davanti, in piedi davanti al cadavere di Cairo, poco prima di fare a pezzi il corpo, lo spinge a tornare in questura e a raccontare tutto quello che sa.
La terza donna centrale in questa storia terribile è la vedova di Sergio Spada. Qualche giorno dopo l’omicidio del marito ebbe la lucidità di descrivere con precisione un uomo che si aggirava nei pressi della loro abitazione, al rione Casale, la sera in cui poi Spada venne rapito mentre stava entrando nel cancello e ucciso pochi minuti dopo in una stazione di servizio lungo la circonvallazione.
Paola Annicchiarico fu molto precisa nella descrizione al punto che venne realizzato un identikit e in quei giorni convulsi, guardando gli album fotografici della polizia, pensò di aver identificato lo sconosciuto tra le schede segnaletiche. Era un noto pregiudicato brindisino. Ma quando gli venne mostrato dal vivo disse con certezza che non poteva essere lui.
Anche in questo caso la partita si è riaperta quando Massimiliano Morleo ha tirato in ballo il fratello Enrico, fino ad allora mai entrato nel novero dei sospettati. Così gli inquirenti hanno richiamato la vedova di Spada chiedendole se fosse nelle condizioni di ricordare la fisionomia di quell’uomo del quale aveva fatto realizzare l’identikit. E le mostrarono una foto segnaletica di Morleo dell’epoca.
Lei lo ha riconosciuto senza ombra di dubbio. Una certezza che si è radicata quando, durante i sopralluoghi effettuati insieme all’imputato nel giorno in cui fece ritrovare i resti di Cairo, ha avuto la possibilità per ore di vederlo a pochi metri di distanza. E ha chiesto e ottenuto di ribadirlo in aula, ascoltata per la seconda volta nel processo in assise.
Una donna di grande forza, che non si arresa, nonostante per due decenni il caso sembrava ormai chiuso per sempre.
In realtà su questo processo che si avvia a conclusione (la sentenza dovrebbe arrivare al massimo nel prossimo mese di gennaio) c’è l’ombra di una quarta donna. L’anziana madre dei Morleo, autentico sergente di ferro dei dieci figli, buona parte dei quali protagonisti della vita criminale cittadina nell’ultimo mezzo secolo: nonostante i suoi 94 anni non si è arresa ed è stata presente in aula nelle prime udienze del processo. Secondo la tesi accusatoria, la famiglia Morleo, probabilmente per volere della madre, ma su indicazione del figlio maggiore Pino, avrebbe chiesto a Enrico Morleo di autoaccusarsi dei due omicidi per evitare di coinvolgere Cosimo. Nell’economia famigliare – ha spiegato il pm – meglio avere un solo figlio ergastolano che due. Un sacrificio che Enrico non avrebbe accettato, contravvenendo alle indicazioni persino della madre.
Al termine della requisitoria, De Nozza ha invocato, oltre al carcere a vita per entrambi gli imputati, anche l’isolamento diurno per tre anni (il massimo previsto) per Cosimo Morleo, che ha definito una “figura mastodontica”, un anno invece per Enrico.
Nelle prossime settimane toccherà alle parti civili e soprattutto alle difese cui spetterà il compito di smontare l’articolato prospetto accusatorio. La sentenza dovrebbe arrivare nel mese di gennaio.
I due imputati hanno seguito in teleconferenza la requisitoria del pm: Cosimo Morleo dal carcere di Voghera, non smettendo mai di stringere tra le mani quel rosario che aveva già ostentato in aula. Enrico in quello di Caltanisetta: al termine della discussione, ancora una volta, ha ribadito di non aver ucciso nessuno e si è lamentato del fatto che gli sia stato negato il confronto con il fratello Massimiliano.