Medici & truffe alle assicurazioni: sulla pelle di chi soffre davvero

di Gianmarco Di Napoli

All’inizio c’erano i cosiddetti “parafangari”, quelli che organizzavano le truffe alle assicurazioni simulando finti incidenti stradali, con soli danni alle auto, per i quali venivano chiesti risarcimenti alle compagnie assicurative. Per realizzare il cosiddetto “poncio” erano sufficienti quattro persone: i due conducenti protagonisti del finto scontro, che poi si spartivano i soldi, un carrozziere pronto anche a fornire pezzi già incidentati per rendere credibile la sceneggiata, e un avvocato disposto a istruire la pratica fasulla. Quest’ultimo, appunto, era detto “parafangaro”, una definizione dispregiativa per indicare comunque truffe di basso livello che consentivano agli autori di mettersi in tasca poche centinaia di euro a testa.
Ora però l’asticella si è alzata notevolmente. Se ne era avuto già sentore quando a marzo, a Francavilla Fontana, vennero arrestati l’ex vicesindaco Luigi Galiano e altre undici persone: tra i 60 episodi di truffa ipotizzati dagli investigatori, una parte riguardavano ancora esclusivamente il risarcimento dei danni ai mezzi, ma in alcuni casi erano inseriti anche quelli alle persone. Con la complicità di alcuni sanitari.
Quasi una banda di sprovveduti rispetto a quanto ipotizza la procura sia avvenuto a Brindisi, dove quella che viene definita una “associazione criminale”, capeggiata da un avvocato, si avvaleva di medici specialisti che – dietro lauto compenso – rendevano credibili e inattacabili le richieste di risarcimento presentate dalle cosiddette “teste di legno”, ossia dei cittadini (molti dei quali noti pregiudicati) che si prestavano a diventare attori delle truffe.
Non vogliamo qui addentrarci nella vicenda giudiziaria, già gravissima stando alla ricostruzione contenuta nelle informazioni di garanzia notificate ai 65 indagati. Di quella si occuperà la magistratura sulla scorta del lavoro investigativo condotto dai carabinieri e su cui avranno un valore determinante i documenti sequestrati nel corso delle perquisizioni. Spetterà comunque alla procura fare giustizia laddove vengano confermati gli estremi di reato e alle compagnie assicurative rivalersi eventualmente per il denaro indebitamente sborsato.
La gravità estrema della vicenda, che la rende un unicum, è un’altra: secondo gli inquirenti il ruolo centrale nelle truffe era ricoperto da medici in servizio in strutture pubbliche. Nella breve sintesi dell’indagine racchiusa nelle quindici pagine dell’avviso di garanzia si spiega la posizione di alcuni medici mentre bisognerà attendere che la parte restante dell’inchiesta sia resa pubblica per comprendere le responsabilità degli altri.
Si descrive in particolare la figura di un ortopedico in servizio presso il Pronto soccorso dell’ospedale Perrino il quale, secondo i magistrati, comunicava all’avvocato «capo» della banda i giorni in cui era di turno, in particolare quelli del fine settimana in cui c’erano meno medici e dunque avrebbe potuto muoversi più liberamente, per far presentare le finte vittime di incidenti stradali. Ora pensare al Pronto soccorso dell’ospedale Perrino di Brindisi, il luogo probabilmente più in difficoltà dell’intero sistema sanitario provinciale, in cui ci sono pochi medici e le attese sono lunghissime, al punto che proprio recentemente sono dovuti intervenire i carabinieri per riscontrare l’impossibilità di procedere all’assistenza ai pazienti. E immaginate che questo signore, questo dottore, convocava falsi feriti proprio nei fine settimana, quando c’erano meno colleghi ma il numero di pazienti è costante o anche maggiore, li faceva entrare in ambulatorio (magari anche saltando la fila) per redigere referti falsi mentre all’esterno, sulle barelle, c’era la fila di persone in attesa, realmente sofferenti, che venivano messe in condizione di aspettare ancora.
E immaginate che, sempre secondo la procura di Brindisi, c’era al piano superiore – in radiologia – una signora, una dottoressa, che si sarebbe prestata (“dietro compensi ancora più lauti”, vista l’importanza del suo contributo) a sottoporre i falsi pazienti a ecografie, tac e risonanze, togliendo spazio a chi invece attendeva il suo turno avendo davvero la necessità di diagnosi precise. E redigendo referti fasulli.
E immaginate i medici legali, quelli che si occupano per conto delle compagnie assicurative di quantificare i danni subiti negli incidenti dalle persone, che non solo certificavano l’esistenza di conseguenze fisiche e psichiche, ma tentavano di strappare il maggior numero di punti possibile in modo da far aumentare il rimborso del danno dalle compagnie. E viene il sospetto che per compensare quella generosa sfilza di patologie invalidanti certificate a chi non le aveva, quegli stessi medici siano stati poi molto più “avari” nei confronti di chi invece era stato davvero coinvolto in incidenti stradali, portandosi dietro magari per tutta la vita conseguenze di traumi che quegli stessi medici non volevano riconoscere per non aumentare eccessivamente le spese di quelle stesse compagnie che truffavano.
Riteniamo che parallelamente all’inchiesta giudiziaria e – è bene ribadirlo – se le accuse dovessero essere confermate, l’Ordine dei Medici debba assumere una posizione molto dura nei confronti di chi non solo non ha rispettato la legge, ma lo ha fatto venendo meno ai basilari princìpi sanciti dal giuramento di Ippocrate. Se queste persone, questi professionisti per altro retribuiti con denaro pubblico, hanno effettivamente messo in secondo piano la salute dei pazienti in pubbliche strutture, per la brama di denaro, va valutato se meritino di esercitare ancora quella professione così nobile.