Omicidi Cairo- Spada: le «strane» dichiarazioni di Cosimo Morleo aprono nuovi scenari

di GIANMARCO DI NAPOLI

Ci potrebbero essere altri colpi di scena. E’ questa la sensazione che si respira a sole due udienze dalla fine della fase dibattimentale del processo per gli omicidi di Salvatore Cairo e Sergio Spada, i due imprenditori di casalinghi ammazzati a Brindisi tra il maggio 2000 e il novembre 2001. Una prima, grande, svolta – imprevedibile – era arrivata nel dicembre scorso quando Enrico Morleo, accusato di essere l’esecutore materiale dei delitti su mandato del fratello Cosimo, ha deciso di indicare il pozzo della zona industriale in cui, 24 anni fa, fece sparire i resti di Salvatore Cairo, dopo averne bruciato il cadavere e averlo fatto a pezzi con una motosega. Attenzione: Enrico Morleo sostiene di non aver ammazzato lui Cairo, ma di averne «solo» fatto sparire il corpo dopo averlo trovato nell’azienda in cui lavorava, temendo – così ha dichiarato – che potesse essere coinvolto nell’omicidio a causa dei suoi precedenti.
Il fatto che si trattasse effettivamente dei resti di Cairo lo hanno confermato in aula i due periti nominati dalla Corte d’Assise, una genetista e un medico legale. La prova del Dna ricavato da alcune ossa meglio conservate e confrontato con quello prelevato dai fratelli di Salvatore Cairo, ha stabilito con certezza che quei poveri resti appartengono all’imprenditore ucciso. E il medico legale ha confermato anche che il cadavere venne sezionato e bruciato: tagli netti e segni di combustione sono visibili su resti in maniera incontrovertibile. Dunque Enrico Morleo su ciò che è avvenuto dopo la morte di Cairo ha raccontato la verità. Del resto la fase in cui si era messo all’opera per distruggere il corpo era stata vista dall’unico testimone, un dipendente dell’azienda di famiglia che dopo oltre vent’anni ha trovato il coraggio di raccontare tutto.
Ma non è così scontato che la scelta compiuta da Enrico Morleo di far trovare il corpo di Cairo, di fatto fornendo la prova reale dell’omicidio, ossia il ritrovamento del corpo (“per togliermi un peso dalla coscienza”, ha detto) sia stata condivisa dal fratello Cosimo che nel processo ha una posizione altrettanto grave: Enrico – secondo l’accusa – sarebbe stata la sua mano, ma lui la mente, accecato dalla volontà di eliminare due imprenditori che armati semplicemente delle loro capacità lavorative e del loro intuito erano diventati concorrenti sempre più ingombranti.
Potrà essere anche un caso, ma in processi così delicati in cui si rischia la condanna al carcere a vita, nulla generalmente è improvvisato e tutto ha un senso logico, rientra in precise strategie. Potrà essere un caso, si diceva, ma la scelta di Cosimo Morleo, all’inizio dell’udienza in cui sarebbe stata certificata dalle due perite l’identità dei resti ritrovati nel pozzo, di rilasciare dichiarazioni spontanee e di leggere quasi tre fogli, è sembrata essere un segnale. Va detto che Cosimo aveva avuto già ampiamente modo di argomentare la propria dichiarazione di innocenza nel lungo esame dell’imputato avvenuto in presenza, alcuni mesi fa, davanti alla Corte d’assise presieduta da Maurizio Saso. Dunque quelle dichiarazioni spontanee effettuate in teleconferenza, dal carcere di Voghera in cui è detenuto, e che avrebbero avuto eventualmente una più giusta collocazione nell’imminenza della sentenza, potrebbero segnare un’ulteriore presa di distanze di Cosimo da Enrico. Cosa ha detto? In sostanza ha ribadito che non aveva alcun motivo di volere la morte di Cairo e Spada, avendo egli interessi molto di più alto livello rispetto ai due imprenditori: «Voglio esprimere la mia angoscia per l’accusa del pubblico ministero che sarei stato il mandante dei due omicidi per mantenere il monopolio della vendita porta a porta delle padelle. Il monopolio non mi interessava affatto poiché il 90% del mio mercato era fuori Brindisi. In Sicilia, nel Lazio ed a Roma. Nessun problema con il mio amico e socio Salvatore Cairo e nemmeno con Sergio Spada perché vendevo un target di prodotto più alto. Un giorno incontrai Spada alla fiera di Milano e di sua spontanea volontà mi presentò il produttore del marchio Mcc. Lo ringraziai ma gli dissi che non aveva prodotti per i miei clienti forestieri».
Cosimo Morleo dunque conferma di non essere stato lui il mandante dei due omicidi ma non spende alcuna parola per il fratello Enrico che non nomina mai.
E’ possibile che nel corso del processo si sia creato un solco ancora più netto tra le posizioni dei due fratelli e le prossime due udienze potrebbero riservare, quando sarà il momento di chiedere l’acquisizione di nuovi elementi di prova prima della discussione, ulteriori importanti sviluppi.
Al momento la situazione è questa: le fonti dell’accusa sono in primis le dichiarazioni di Massimiliano Morleo, fratello dei due imputati, che per primo li ha indicati come mandante e autore dei due omicidi, facendo riaprire fascicoli ormai archiviati da decenni. Le dichiarazioni di Massimiliano sono uno dei punti-cardine delle accuse per Cosimo, relativamente all’omicidio di Sergio Spada. Quest’ultimo fu ucciso di sera in una stazione di servizio Ip sulla circonvallazione, nei pressi del quartiere Sant’Elia. Non essendo la benzina dotata di distributore automatico era completamente spenta. Quella sera – ha raccontato Massimiliano – Cosimo lo prelevò in auto e gli indicò passando davanti alla stazione di servizio il corpo di Spada, che era stato già ucciso. Questa ricostruzione sarebbe supportata dai tabulati telefonici che la squadra mobile, all’epoca diretta da Vincenzo Zingaro, aveva acquisito perché sin dal primo momento Cosimo Morleo era stato tra i principali sospettati. Quei tabulati indicherebbero che all’ora indicata, Cosimo ha agganciato celle compatibili con quella stazione di servizio, mentre la moglie cercava di chiamarlo con il suo telefonino. Quando invece Cairo fu ucciso, Morleo si trovava in Sicilia.
Ad accusare Cosimo ci sono anche decine di intercettazioni ambientali effettuate in casa di Enrico dalle quali si evincerebbe anche il tentativo di far addossare ad Enrico le responsabilità dei due delitti nel caso in cui fossero stati indagati. Intanto le difese hanno rinunciato a riascoltare in aula Massimiliano Morleo che pure avevano inserito nella lista dei testimoni a discarico.
Il fronte dunque potrebbe rompersi, con Cosimo ed Enrico distanti in questo momento anche fisicamente, visto che sono a 1.500 chilometri l’uno dall’altro (il primo nel carcere di Voghera, il secondo in quello di Palermo). Che carte si giocheranno i difensori nei “tempi supplementari” della possibile acquisizione di nuovi mezzi di prova? E gli imputati si affideranno alle arringhe dei loro legali e alle decisioni della Corte d’Assise o accadrà ancora qualcosa? Ne sapremo di più l’11 giugno, quando si torna in aula.