Omicidi Cairo-Spada: quel pianto liberatorio in aula dopo un’attesa lunga novemila giorni

L’editoriale del direttore Gianmarco Di Napoli per il numero 382 de Il7 Magazine
È un pianto lungo quasi novemila giorni e novemila notti. Tanti ne sono trascorsi da quando Elvira e Paola sono rimaste vedove, Mattia e Marco orfani, Anna, Sebastiano e Raffaele senza un fratello. Il loro non è un pianto di gioia, ma una catarsi emotiva che porta in sé emozioni soffocate per oltre vent’anni: il sollievo per la giustizia finalmente ricevuta, ma anche il dolore per una ferita che non si è mai rimarginata e che in quasi due anni di processo ha ripreso a sanguinare più e più volte.
Nel momento in cui il presidente della Corte d’Assise di Brindisi, Maurizio Saso, legge la sentenza di condanna al carcere a vita, i due imputati Cosimo ed Enrico Morleo l’ascoltano confinati in una stanzetta collegata via web dal carcere in cui sono detenuti, uno in Lombardia, l’altro in Friuli. I loro famigliari occupano come in ogni udienza, da quando il processo è iniziato, l’ultima fila dell’aula. La loro è stata una presenza discreta, carica di dignità. Mai una parola fuori posto, neanche dopo la sentenza. Sono andati via in silenzio. Anche per loro è stato un momento durissimo.
La camera di consiglio è durata meno di cinque ore. Ergastolo per l’omicidio di Salvatore Cairo, ergastolo per l’omicidio di Sergio Spada: questa la decisione della Corte. Ma, accogliendo in toto le richieste del pm Milto De Nozza, le responsabilità dei due fratelli vengono differenziate dalla pena accessoria dell’isolamento diurno: tre anni (il massimo) per Cosimo Morleo, considerato il regista nonché il mandante, dei due omicidi. Un anno per Enrico, quello che il suo stesso legale Giacinto Epifani ha definito “il macellaio” perché ha fatto a pezzi il corpo di Cairo, individuato come assassino spietato ma anche totalmente soggiogato dalle volontà del fratello.
Anche se il risarcimento alle famiglie delle vittime sarà quantificato poi in un processo civile, la provvisionali disposte dalla Corte d’Assise sono comunque sostanziose: trecentomila euro a testa alle due vedove, trecentomila euro ciascuno per i due figli di Spada, centomila euro per i due fratelli di Cairo e per il fratello di Spada.
In attesa delle motivazioni, che saranno depositate entro tre mesi, e anche se la sentenza è unica, il processo racchiude due vicende completamente autonome che non hanno alcun collegamento tra loro se non l’identità dei presunti mandante ed esecutore materiale dei due delitti. Diversi i periodi (oltre un anno di distanza l’uno dall’altro), differenti i moventi (più una rappresaglia personale quello ipotizzato per l’omicidio Cairo, una dinamica concorrenziale quello di Spada). Se la teoria accusatoria dovesse essere giusta (e questo sarà determinato solo dalla sentenza di terzo grado) l’unico legame logico potrebbe essere quello secondo cui, incoraggiato dal fatto che l’eliminazione di Cairo era stata un’operazione fino a quel momento perfetta (nessuna traccia del corpo, nessun indagato, nessuna pista che potesse ricondurre a loro), Cosimo Morleo avesse scelto di utilizzare lo stesso trattamento per Spada, anche se sollecitato da motivazioni diverse.
E alla luce di quanto successo, e della sentenza, si può affermare che se quella sera Spada non avesse avuto la freddezza di fermarsi nella stazione di servizio IP, nonostante avesse una pistola puntata alla testa, e di mettere nelle condizioni il suo assassino di ucciderlo lì, mandando all’aria tutti i piani che, secondo l’accusa, prevedevano un’altra lupara bianca, così come era accaduto con Cairo, probabilmente non non si sarebbe mai saputo più nulla né dell’uno né dell’altro.
La sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Brindisi è definitiva sotto un unico aspetto: laddove vengono disposti il dissequestro e la restituzione a Elvira Stano, Sebastiano e Anna Cairo, del reperto n. 614/24 del registro dei corpi di reato. Si tratta di ciò che resta di Salvatore Cairo, le poche ossa recuperate dai vigili del fuoco in fondo al pozzo e scampate all’opera di macelleria di Enrico Morleo che fece a pezzi il cadavere con una motosega e poi lo bruciò, prima di gettarne i resti nella cisterna.
La Corte ha concesso il nullaosta al seppellimento e la famiglia probabilmente vorrà salutare Salvatore con tutto l’affetto e l’amore che meritava, facendo sì che finalmente egli possa risposare serenamente, anche nella memoria di chi, da 23 anni, attende di poter avere almeno una lapide davanti a cui piangere.