Ostuni, direttore rsa ai domiciliari: ecco come avrebbe raggirato due fragili ospiti

Di Marina Poci per il numero 395 de Il7 Magazine
Con il supporto della madre Giovanna Morelli, 64 anni, e del fratello Vincenzo, di 36, avrebbe approfittato della vulnerabilità psichica di Teresa e Angela C., madre e figlia con conclamato deficit cognitivo, per carpire la loro fiducia e appropriarsi del loro patrimonio immobiliare e finanziario, arrivando persino ad asportare dalle loro abitazioni arredi ed elettrodomestici e a sottrarre loro beni personali di particolare valore affettivo, come il corredo e le fedi nuziali di Teresa, nonché a privarle del telefono cellulare per limitare i contatti con i famigliari: sono queste le pesantissime accuse da cui deve difendersi il 32enne ostunese Gianvito D’Aversa, già dirigente della cooperativa sociale Minerva, ente gestore della residenza sanitaria assistenziale Villa Nazareth della Città Bianca, attualmente ristretto agli arresti domiciliari a seguito di ordinanza di custodia cautelare emessa dalla Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi su richiesta dei sostituti procuratori della Repubblica Sonia Nuzzo e Giovanni Marino nell’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza messapica.
D’Aversa, che ad Ostuni è molto conosciuto anche per via del suo ruolo di componente giuridico-amministrativo-economico del Parco Regionale delle Dune Costiere, nel corso dell’interrogatorio preventivo avvenuto prima dell’applicazione della misura custodiale, ha respinto ogni addebito: nei suoi confronti si procede per calunnia, circonvenzione di incapace, due episodi di appropriazione indebita (uno dei quali contestato in concorso con la madre), autoriciclaggio, un episodio di riciclaggio (contestato in concorso con il fratello, mentre di un altro risponde soltanto la madre), furto (in concorso con madre e fratello) e omessa rendicontazione della gestione delle finanze delle due persone offese al giudice civile nel procedimento in cui si era fatto nominare amministratore di sostegno delle due signore.
Accuse tutte da provare nel prosieguo del procedimento penale (è appena il caso di ribadire che per D’Aversa, come per gli altri indagati, vale la presunzione di non colpevolezza sino all’ultimo grado di giudizio), eppure sufficienti per la Gip Gilli a ritenere sussistenti i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari, presupposti che la legge richiede per l’emissione di misure restrittive della libertà personale.
Singolare appare il modo in cui si è giunti alla formalizzazione delle ipotesi di reato contro il principale indagato e i suoi famigliari: l’attuale inchiesta, infatti, ha tratto origine da un indagine avviata a seguito della presentazione, da parte di Gianvito D’Aversa, di due esposti contro una cugina di Teresa e Angela C. e suo marito nell’agosto del 2023. Negli atti D’Aversa accusava i due di circonvenzione di incapace, sostenendo che avrebbero indotto Teresa e Angela a firmare un atto con lo scopo di intestare ai cugini la gestione del loro patrimonio. Senonché gli inquirenti hanno accertato, anche – ma non soltanto – attraverso gli interrogatori dei denunciati, che erano state proprio Teresa e Angela C. a chiedere l’intervento dei cugini per recuperare i loro beni immobili e mobili, ormai acquisiti al patrimonio personale del D’Aversa e dei suoi sodali (madre e figlia, peraltro, tra i beni dei quali intendevano rientrare in possesso, avevano menzionato anche i telefoni cellulari, che sarebbero stati sottratti proprio con lo scopo di isolarle del tutto dal contesto familiare e renderle dipendenti dal D’Aversa).
Il fascicolo contro i due cugini delle donne fu archiviato, ma la vicenda sottesa alle accuse contenute negli esposti ha continuato ad essere indagata, sino a giungere all’apertura di un fascicolo a carico, sino a questo momento, dei due fratelli D’Aversa e della loro madre.
Particolarmente grave appare la vicenda correlata alla stipula, in piena emergenza pandemica (dicembre 2020), del contratto di mantenimento con il quale le signore Teresa e Angela C. cedettero la nuda proprietà della loro abitazione ostunese di residenza (poi diventata un b&b) in cambio dell’assistenza morale e materiale che D’Aversa Gianvito avrebbe dovuto prestare loro: una serie di testimoni escussi a sommarie informazioni dagli inquirenti, avrebbero infatti dichiarato come l’obbligazione assunta dall’indagato sia rimasta sostanzialmente inadempiuta. Stando ai termini contrattuali, D’Aversa avrebbe dovuto fare compagnia alle due donne, far loro visita quotidianamente e accompagnarle nei luoghi da loro indicati, eventualmente garantendo anche compagnia notturna, rendersi reperibile per ogni loro esigenza, far vivere le stesse per tutta la loro vita nell’immobile ceduto, provvedere a vitto, alloggio, prestazioni sanitarie e acquisto di farmaci. Il tutto anche con l’ausilio di una terza persona pagata dalle C. e garantendo personale infermieristico a domicilio. Ebbene, secondo la prospettazione accusatoria, nulla di tutto quanto convenuto nell’atto sarebbe avvenuto. Anzi, D’Aversa avrebbe trasferito Teresa e Angela C. nella rsa contro la loro volontà, provvedendo nel contempo, con ulteriore atto notarile vergato in pari data del contratto di mantenimento, a farsi nominare dalle due donne loro procuratore generale per poter compiere indisturbato tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione sul patrimonio mobiliare, immobiliare e finanziario delle vittime. A distanza di pochi mesi, D’Aversa avrebbe poi indotto Teresa e Angela C. a redigere sotto propria dettatura due dichiarazioni identiche dalle quali si evinceva che, qualora non fossero più state in grado di tutelare i propri interessi per ragioni legate all’avanzare dell’età o per l’insorgenza di patologie invalidanti, Gianvito, o in alternativa Vincenzo, D’Aversa, sarebbero stati autorizzati a decidere in quale residenza di assistenza e cura farle ricoverare, nonché a gestire il loro patrimonio. Alla luce delle due dichiarazioni, il cui linguaggio – secondo la Gip, che ha accolto la tesi sostenuta dalla Procura della Repubblica di Brindisi – non apparirebbe compatibile con il livello culturale e lo sviluppo psico-cognitivo delle due donne, del tutto ingiustificate sarebbero le operazioni di disinvestimento e successivo investimento delle somme nella disponibilità di Teresa e Angela C. (pari a circa 344mila euro, una parte dei quali rinvenienti da un fondo di investimento intestato alle due donne e riscattato in anticipo).
Gianvito D’Aversa, dunque, non solo avrebbe sottratto denaro e beni mobili e immobili approfittando dello stato di fragilità determinato in Teresa C. dal decadimento cognitivo dovuto a demenza senile e nella figlia Angela da una disabilità accertata sin dalla nascita, ma avrebbe anche reinvestito i profitti illeciti in operazioni bancarie e finanziarie per occultare la provenienza di tali fondi: condotte che non sarebbero state ragionevolmente motivate nel corso dell’interrogatorio preventivo e, anzi, dimostrerebbero una pianificazione e una volontà di eludere la giustizia che esige, a parere della Gip Gilli, l’applicazione della misura restrittiva degli arresti domiciliari per il pericolo di reiterazione delle stesse condotte e di inquinamento delle prove. Per non tacere del fatto che, proprio per tutelare il proprio agire, D’Aversa avrebbe cercato di attribuire le condotte di cui egli stesso si sarebbe reso responsabile, ai cugini di Teresa e Angela C., con il deposito dei due esposti che si sono poi rivelati calunniosi: dopodiché, una volta realizzato che nel corso dell’indagine scaturita dagli esposti stavano mano a mano emergendo i suoi comportamenti illeciti, avrebbe iniziato una sistematica attività di dispersione dei profitti indebitamente percepiti, arrivando persino a corrispondere 20mila euro a uno dei testimoni presenti ai due rogiti (il contratto di mantenimento e la procura generale).
Allo stato, non si ha notizia delle mosse della difesa di D’Aversa, affidata agli avvocati Mario Guagliani e Fabrizio Monopoli: i due legali, che in una nota hanno precisato la totale estraneità ai fatti del loro assistito (il quale “avrà modo di difendersi nella corretta sede naturale, atteso che attualmente la Procura della Repubblica ha ancora in corso indagini”), potrebbero chiedere la modifica o la revoca della misura alla Gip che l’ha emessa o rivolgersi direttamente al Tribunale del Riesame di Lecce. Nel frattempo, a prendere le distanze dalle condotte di D’Aversa è stata la Cooperativa Minerva, ente gestore della rsa Villa Nazareth, che ha precisato che né la cooperativa, né la rsa, né il Consiglio di Amministrazione (dal quale D’Aversa si è dimesso “non appena venuto a conoscenza dell’indagine, ben prima che fossero adottate misure cautelari nei suoi confronti”) sono in alcun modo coinvolti nei fatti oggetto di indagine, puntualizzando che la struttura “non è stata il contesto in cui sarebbero state commesse le condotte ipotizzate, né esiste alcuna correlazione tra l’attività della residenza socio-sanitaria e le accuse mosse al dott. D’Aversa, che riguardano esclusivamente i suoi rapporti personali e familiari con quelle che vengono individuate come parti offese”.