
Di Marina Poci per il numero 376 de Il7 Magazine
La malattia li ha fatti entrare in contatto, ma ciò che li ha legati è la musica: Giacomo Contaldo, giovane fisioterapista salentino in servizio presso l’ospedale Cardinal Panico di Tricase, nel tempo libero affermato chitarrista di pizzica salentina, e il 72enne brindisino Vincenzo Maccagnani, ex impiegato, ricoverato presso il centro di cure palliative Casa di Betania (che al nosocomio religioso afferisce), si sono conosciuti perché Vincenzo, in seguito all’aggravarsi della sua malattia, ha bisogno, in questa delicata fase della vita, dell’assistenza multidisciplinare che soltanto un hospice è in grado di offrire. Ma il loro rapporto non è rimasto confinato al piano strettamente sanitario: la comune passione per la chitarra li ha avvicinati e li ha fatti diventare sinceramente amici, al punto che, quando Vincenzo ha scritto parole e musica di una canzone, Giacomo si è offerto di arrangiare il pezzo e di prestargli la sua mano destra per consentirgli di suonarla. Così quel brano, malgrado la rapida evoluzione della patologia di Vincenzo, che ne limita fortemente i movimenti delle dita sulle corde dello strumento, è comunque arrivato in sala di incisione e a breve sarà disponibile per l’ascolto.
“Ho incontrato Vincenzo perché, da degente in Casa di Betania, sta seguendo un progetto riabilitativo individuale elaborato dalla fisiatra del centro, la dottoressa Manuela Sciuscio, che prevede un certo numero di ore di fisioterapia. Tra noi, sin dai primi giorni di conoscenza, si è instaurato immediatamente un feeling particolare. La musica ci ha uniti e posso dire senza dubbio che è diventato uno dei miei migliori amici”.
Maccagnani, particolarmente conosciuto a Brindisi per via dei quarant’anni trascorsi da impiegato all’Ufficio del Catasto, poi divenuto Agenzia delle Entrate, è stato anche un animatore della movida nel Basso Salento: polistrumentista e cantante molto noto in zona, vanta esperienze musicali di rilievo nazionale con il gruppo Opera, insieme al quale ha partecipato per due volte al Festival di Sanremo e una al Festivalbar, suonando la batteria. A dire la verità, ha cominciato a suonarla quando era poco più di una bambino: “La prima me la regalò mio padre senza che io nemmeno glielo chiedessi, avevo sette anni e lui ha intuito il mio talento vedendomi strimpellare sulle sedie di legno che avevamo in casa. Quando me la consegnò, mi disse: “Smetti di rovinarmi i mobili e inizia a fare su questo strumento quello che ti piace tanto fare sulle sedie”. Non ho mai dimenticato quel momento”.
Contaldo, oltre a studiare da fisioterapista, ha frequentato il Conservatorio di Lecce e quello di Bari, conseguendo la licenza inferiore: è un chitarrista appassionato di musica popolare, ma suona anche rock/pop, su diverse tipologie di chitarre, dalla classica all’elettrica, dalla battente alla 12 corde. Attualmente collabora con diversi gruppi: Alfieri Ensemble, Ariacorte, Accademia Folk, MCK, Dakkamà e Ariantica.
“Nei primi giorni di terapia Vincenzo mi ha detto di avere una canzone nel cassetto, a cui gli sarebbe piaciuto dare vita. Il brano, molto sentimentale, si intitola Le cose che non mi piacciono di te. Vincenzo si rivolge a una persona a cui elenca tutto ciò che non apprezza di lei. Ma alla fine la sorprende rivelandole che non c’è nulla che non gli piace. Tengo a dire che parole e melodia sono sue. Io mi sono limitato a prestargli la mano e ad arrangiare il pezzo coordinando i vari strumenti: chitarra, chitarra elettrica, violini, percussioni. Per suonare ci siamo abbracciati: io utilizzavo la mia mano destra e lui, oltre a metterci la voce, utilizzava la sua sinistra. Sulla stessa chitarra. È stata un’esperienza emotivamente fortissima”, spiega Contaldo.
“Giacomo è stato mio complice nel realizzare un sogno che pensavo ormai impossibile. Come tutte le cose più belle della vita, è capitata per caso: chiacchierando del più e del meno abbiamo iniziato a parlare di musica e lui si è offerto di aiutarmi. Ci siamo capiti in un attimo: io gli accennavo la melodia e lui contemporaneamente ci lavorava su. Sono costretto ad ammettere che è quasi più bravo come musicista che come fisioterapista!”, scherza Maccagnani.
Insomma, un incontro artistico che ha prodotto frutti musicali di grande bellezza, diffondendo ottimismo e speranza in un luogo nel quale il rischio di essere quotidianamente sopraffatti dal dolore, per pazienti e operatori, è sempre dietro l’angolo. Perché anche quando non è più possibile curare le malattie, non si deve mai smettere di prendersi cura delle persone: così diceva il dottore statunitense Patch Adams, ideatore della clownterapia, i cui principi di pratica medica, originariamente pensati per i bambini, vengono da anni applicati con successo nei più svariati contesti. A questo proposito, Contaldo racconta che tutto il personale di Casa di Betania si è messo a disposizione per realizzare il sogno musicale di Maccagnani. “Il coro che accompagna il brano è composto da nostri operatori sociosanitari, che si sono cimentati con il canto. Inoltre, grazie all’autorizzazione del coordinatore di Casa Betania, Antonio Negro, diverse settimane fa Vincenzo ha potuto lasciare l’ospedale per qualche ora per entrare in sala di incisione e vedere la sua canzone prendere forma. Anche questo fa parte del percorso di cura dei pazienti: sentirsi accolti dalle persone con cui si trascorrono le giornate, poter fare quello che si faceva prima, darsi un obiettivo, uno scopo, una speranza. E vedere i degenti vivere appieno, malgrado tutti i loro problemi di salute, aiuta molto anche noi che li assistiamo. Lavorare in un hospice non è semplice: bisogna essere empatici, ma non sino al punto di farsi trascinare dalla sofferenza dei pazienti. Quando ho informato Vincenzo che la nostra storia è finita sui giornali, è stato molto felice e si è addirittura commosso. “Hai visto? Sei diventato famoso un’altra volta!”, gli ho detto scherzando nel corso di una delle nostre sedute”, conclude Giacomo Contaldo.
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