La Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lecce Tea Verderosa ha condannato a 9 anni e 11 mesi di reclusione, nel processo svoltosi con rito abbreviato, il 24enne Giuseppe Proce, di Racale, accusato dei reati di tentato omicidio della sua ex fidanzata Giorgia Prete all’epoca dei fatti 21enne (aggravato dai motivi abbietti e dalla relazione affettiva), lesioni personali, violazione di domicilio, danneggiamento aggravato e minacce aggravate.
Secondo la prospettazione accusatoria, Giuseppe Proce, nella notte tra il 24 e il 25 giugno scorsi, si sarebbe presentato una prima volta a casa della ex soltanto per minacciarla (“questa sera ammazzo te e tua madre”) e vi sarebbe tornato poi, poco dopo, armato di due coltelli da cucina con lame di 21 e 19 centimetri, entrando dalla porta-finestra e riuscendo a fare irruzione nel salotto in cui la ragazza, insieme alla madre e al fratello, nel tentativo di scampare alla furia dell’ex, si era rifugiata.
A salvare la giovane, ferita in maniera grave ad un braccio e al collo, fu il fratello: la vittima, inizialmente trasportata al Pronto Soccorso dell’ospedale di Gallipoli, fu poi trasferita d’urgenza all’ospedale Cardinale Panico di Tricase per essere sottoposta ad un delicato intervento chirurgico grazie al quale fu scongiurato il pericolo di amputazione del braccio. La madre della giovane fu colpita con un pugno al volto e riportò una prognosi di 40 giorni.
Proce fu definito dal Gip “un soggetto irascibile, privo di autocontrollo e incline alla violenza, visto che, per futili motivi di gelosia, sulla base di generiche confidenze fattegli da un amico e senza chiedere spiegazioni alla diretta interessata, non ha esitato ad aggredire Giorgia Prete con due coltelli in maniera violenta e proditoria, dopo aver fatto irruzione due volte nella abitazione di lei e dopo aver aggredito anche la madre e il fratello della stessa”.
Nel corso del processo è stata svolta una perizia psichiatrica che confermò la capacità di intendere e di volere di Proce al momento del fatto e la sua capacità di stare in giudizio.
Marina Poci