
Di Marina Poci per il numero 374 de Il7 Magazine
La notizia è stata diffusa con una nota congiunta a firma del neo assessore al Bilancio Fabiano Amati (ex Azione) e dei consiglieri regionali Maurizio Bruno (Partito Democratico) e Alessandro Leoci (CON): la ASL di Brindisi è stata autorizzata ad istituire l’unità operativa complessa di Radiologia Interventistica presso l’ospedale Perrino. “Finalmente ci siamo e colmiamo un clamoroso ritardo”, si annuncia nel comunicato, che si conclude con “Ora la parola passa alla ASL che con immediatezza (non più di qualche giorno) dovrà dare attuazione al provvedimento salva-vita”.
Un annuncio che certamente ha fatto correre il pensiero di molti ad almeno una vita che, purtroppo, non ha potuto essere salvata: quella del 39enne brindisino Antonio Picciolo, operaio e steward di eventi sportivi e musicali, sposato e padre di due bambini di 12 e 5 anni, morto all’ospedale Santissima Annunzia di Taranto il 9 gennaio per gli esiti di un’emorragia cerebrale che lo aveva colpito mentre era al lavoro a San Pietro Vernotico la sera del 6.
In quella occasione le persone che erano con Picciolo chiamarono il 118: i sanitari intervenuti, rilevando significativi sintomi neurologici, lo condussero d’urgenza al Perrino, dove arrivò cosciente, avvertì telefonicamente i famigliari e fece in tempo a scambiare qualche parola con alcuni di loro che lo avevano raggiunto in Pronto Soccorso. Fu sottoposto ad una tac cranica, il cui risultato rivelò la presenza di un’emorragia subaracnoidea molto estesa. Una patologia che rientra tra quelle cosiddette “tempo-dipendenti”, per le quali, cioè, è necessario che il trattamento avvenga il prima possibile rispetto all’insorgenza dei sintomi, pena l’inabilità permanente o, peggio, il decesso. Antonio Picciolo avrebbe avuto bisogno di un radiologo interventista, che però al Perrino manca dal 2021: una situazione nota a sindacalisti, sanitari e dirigenti che in questi anni si sono succeduti alla guida della ASL, ma apparsa drammaticamente chiara all’opinione pubblica, in tutta la sua devastante portata, soltanto con la morte dello steward brindisino, che dovette attendere la disponibilità ad accoglierlo dell’ospedale Santissima Annunziata e affrontare, nelle sue delicate condizioni, un trasporto di più di cinquanta chilometri. I radiologi dell’ospedale jonico non riuscirono a intervenire: Picciolo, che si era aggravato in modo irreversibile, morì tre giorni dopo nel reparto di Rianimazione.
Il primo a parlare delle criticità dell’unità operativa di Radiologia Interventistica al Perrino fu, nel gennaio di sette anni fa, il già segretario generale di CGIL Brindisi, Antonio Macchia, che, inascoltato, lanciò l’allarme sul fatto che il servizio era stato ridotto a sole dodici ore, dalle 8 alle 20, per carenza di medici, e che nelle ore non coperte i pazienti venivano trasferiti negli ospedali di Lecce e di Taranto. Nel corso degli anni anche quella copertura di dodici ore è venuta meno. Più recente è stata la denuncia del presidente dell’Ordine dei Medici della provincia di Brindisi, Arturo Oliva, che nell’agosto 2022 si era spinto addirittura a depositare un esposto in Procura per segnalare la totale inadeguatezza della Asl brindisina rispetto al trattamento delle patologie “tempo-dipendenti”, specialmente quelle di natura neurologia e traumatica. Il che appare paradossale se si pensa che l’angiografo del Perrino, come più volte denunciato dal neo assessore Amati, è uno strumento di ultima generazione, in grado di intervenire sui pazienti con maggiore precisione e con minore emissione di radiazioni. Ora l’autorizzazione a istituire la relativa unità operativa complessa dovrebbe, come si legge nella nota, rendere “maggiormente allettante il concorso in via d’espletamento”, anche se sul punto, allo stato, non vi sono ancora notizie.
In questi anni di sospensione del servizio, molti pazienti critici, in base a un protocollo interaziendale di collaborazione, sono stati costretti a urgenti viaggi della speranza tra Lecce e Taranto, l’ultimo dei quali risale a poche settimane fa, quando una giovane puerpera, con un’emorragia post parto in atto, è stata trasferita al Vito Fazzi per poter essere sottoposta alla necessaria procedura di embolizzazione delle arterie uterine.
E, a proposito di puerpere e parti, negli ultimi giorni si è ulteriormente complicata anche la situazione del reparto di Ginecologia e Ostetricia del presidio ospedaliero Camberlingo di Francavilla Fontana: dopo nemmeno sei mesi di primariato, lo scorso 24 ottobre il dottor Luigi Troiano ha formalizzato le sue dimissioni, che diverranno pienamente operative a partire dall’1 novembre.
Resta quindi sguarnita della figura apicale un’unità operativa già priva del punto nascite dal 14 aprile 2023 a causa della grave carenza di personale medico necessario alla copertura assistenziale durante le ventiquattro ore. Durante il periodo trascorso al Camberlingo, Troiano, professionista di origini pugliesi proveniente dall’azienda sanitaria veneta Marca Trevigiana, specializzato in particolare nella sorveglianza della gravidanza e nella diagnosi prenatale, con all’attivo numerose pubblicazioni su riviste scientifiche e incarichi in qualità di docente in università e scuole di formazione, non ha potuto far partorire nessuna donna: nel nosocomio francavillese è stata assicurata l’attività ambulatoriale, di day service e di monitoraggio ostetrico, mentre emergenze e parti sono stati e continuano ad essere “dirottati” all’ospedale Perrino. In una intervista rilasciata all’emittente Antenna Sud, uno sfogo amaro e disilluso sulle condizioni del reparto (che avrebbe persino una sala parto non perfettamente conforme alle indicazioni in materia della Regione Puglia), Troiano ha smentito quanto aveva dichiarato il direttore generale della ASL Maurizio De Nuccio, il quale aveva parlato delle dimissioni del primario derubricandole a una scelta strettamente personale: “Sono arrivato nella mia Puglia con entusiasmo, convinto di poter lavorare, ma questa possibilità non c’è stata. La frustrazione più grande è quella di vedere tante pazienti a cui abbiamo fatto diagnosi, anche di carcinomi, che hanno scelto di andare a farsi operare fuori dall’azienda perché non ci è stato consentito in nessun modo di riprendere l’attività chirurgica.Avevo messo in conto delle difficoltà, sapevo che non avrei potuto riapplicare qui i modelli su cui avevo lavorato tutta la mia vita, però non immaginavo sino a questo punto”. Quanto alle dichiarazioni della direzione strategica della ASL sulla imminente riapertura del reparto (in cui si attenderebbero otto nuove assunzioni), Troiano ha commentato: “Al momento non so su cosa possano basarsi queste rassicurazioni: non c’è una sala parto adeguata e non c’è un numero di medici congruo per poter ripartire. Anche perché l’equipe di Ostetricia è molto particolare, non si ripristina semplicemente con i numeri, riempiendo le caselle dei turni. Occorre assumere persone con esperienza e non c’è bisogno di leggere tra le righe per capire che in questo caso non si stanno aspettando dei professionisti formati”.
Ed è facendo proprie queste allarmanti considerazioni che il sindaco di Francavilla, Antonello Denuzzo, ha scritto al neo assessore regionale alla Salute Raffaele Piemontese per sollecitare un focus della giunta sul Camberlingo: “Gli ho chiesto di riservare attenzione da subito alle vicende del Camberlingo, a partire dalla chiusura del Reparto di Ostetricia e Ginecologia che avrebbe dovuto essere temporanea, e di venire a Francavilla Fontana il prima possibile. Non credo abbia senso identificare un capro espiatorio per scaricare tutte le responsabilità, ma serve capire quali misure adottare per consentire a questo ospedale di funzionare. Lo dobbiamo alle tante professionalità che lavorano qui e a tutti i cittadini, che della nostra sanità devono potersi fidare”, ha comunicato Denuzzo sul profilo Facebook.
Nel frattempo, le donne che vivono nel territorio a cavallo tra le province di Brindisi e Taranto, potenzialmente servito dal Camberlingo, continuano a non poter contare sull’ospedale francavillese per i parti e le problematiche ginecologiche più complesse: qualcuna, alla rottura del sacco amniotico, è stata costretta a rapide fughe verso Taranto o Brindisi, qualcun’altra – e non è una battuta – ha persino partorito per strada.
È infine di questi giorni anche la notizia che l’1 dicembre prossimo il Centro di Riabilitazione per motulesi e neurolesi di Ceglie Messapica, per ventiquattro anni in regime di sperimentazione gestionale affidata alla Fondazione San Raffaele, tornerà alla gestione diretta del servizio pubblico a cura della ASL di Brindisi, così come disposto dalla legge della Regione Puglia numero 21 del 30 maggio 2024. Pur restando pendente il giudizio avviato presso la sezione leccese del Tribunale Amministrativo Regionale (che, dopo i primi provvedimenti cautelari sostanzialmente favorevoli alle tesi dell’ente privato, si pronuncerà nel merito a partire dal prossimo 9 aprile), la Fondazione ha mostrato segnali di distensione dando avvio alla procedura di licenziamento collettivo per i 157 dipendenti del Centro (si tratta di tutto il personale che presta servizio presso la struttura, tra medici, infermieri, cuochi, ausiliari, amministrativi e tecnici per i quali è prevista la cessazione del contratto di lavoro). Alla procedura hanno poi fatto seguito, da parte della ASL, degli avvisi di reclutamento del personale necessario ad assicurare il pieno funzionamento del Centro, con conseguente approvazione della graduatoria.
Sembrerebbe il tanto auspicato lieto fine, se non fosse che alcuni sindacati (FIALS su tutti) hanno espresso perplessità sulla relativa copertura finanziaria: la Regione Puglia si sarebbe impegnata in tal senso (il provvedimento rientrerebbe nel riaggiornamento dei tetti di spesa di tutte le aziende sanitarie pugliesi), ma ASL e Fondazione non avrebbero offerto sufficienti garanzie. Così come insufficienti appaiono le rassicurazioni circa la prorogabilità sino a trentasei mesi della graduatoria (attualmente in vigore soltanto per sei) e il pagamento degli emolumenti stipendiali di ottobre. Non è escluso che, malgrado una situazione in via di definizione dal punto di vista amministrativo, i sindacati decidano di ricorrere allo sciopero per tutelare i diritti dei lavoratori danneggiati dal farraginoso iter procedimentale di internalizzazione.
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