di Gianmarco Di Napoli
L’apparente tregua mafiosa in provincia di Brindisi potrebbe essere messa in discussione dall’assenza dal territorio di boss della vecchia guardia, tuttora detenuti, dalla concomitante presenza di parenti e affiliati in libertà e soprattutto dalla contestuale operatività di giovani leve, inclini all’uso disinvolto delle armi: è quanto emerge dalla relazione semestrale della Direzione Investigativa antimafia, inviata qualche giorno fa al Parlamento.
La pax mafiosa, determinata dai successi investigativi negli ultimi anni in provincia di Brindisi, e dal contributo di collaboratori di giustizia, potrebbe essere messa in discussione per l’assenza di personaggi carismatici che dettino le regole delle attività criminali.
E ci sarebbe il rischio che presto la malavita possa ritornare a ricostruire le proprie gerarchie interne con l’uso delle armi.
Secondo la Dia, nel capoluogo continuano a comandare due clan familiari: quello che fa capo a Raffaele Brandi e che sarebbe attivo nel traffico di stupefacenti e nel racket delle estorsioni, e quello della famiglia Morleo, anch’essa attiva nel mondo della droga.
In provincia invece ci sarebbe una situazione di stallo determinata dalla tregua condivisa tra i due maggiori schieramenti malavitosi: quello dei mesagnesi che fanno capo a Rogoli, Campana, Vitale, Pasimeni e Vicientino, e i tuturanesi legati al clan Buccarella. Il primo gruppo sarebbe quello numericamente più importante in quanto punto di riferimento anche per le bande che operano in altre zone della provincia di Brindisi.
Secondo la Dia, il core business della criminalità brindisina è rappresentato dal racket delle estorsioni e dal commercio di sostanze stupefacenti, in particolare marijuana. Grazie agli stretti legami creati con la criminalità albanese, grossi carichi di sostanza stupefacente approdano sulle coste brindisine.
Parallelamente, l’operazione Caronte compiuta dalla guardia di finanza, ha individuato il consolidamento di un altro business criminale nel quale si sono inseriti ex contrabbandieri brindisini storicamente vicini alla Sacra corona unita: quello del traffico di clandestini, trasportati dall’area balcanica a bordo di semicabinati, yacht e natanti messi a disposizione dalle organizzazioni criminali. Un’attività che viene condotta utilizzando l’antica tecnica contrabbandiera di sorvegliare gli ormeggi delle forze dell’ordine con l’obiettivo di scongiurare la presenza in mare delle motovedette. Prima avveniva per assicurare il trasporto di sigarette, oggi per quello di disperati provenienti dall’altra parte del mondo.