Romanazzi torna ad Acque Chiare: “Il mio sogno è completare quell’albergo”

di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine

“Che meraviglia eh? Sembra che abbiamo smesso ieri”: Vincenzo Romanazzi prima ci veniva più spesso in questo cantiere. Spegneva il motore dell’auto, guardava l’albergo che aveva tirato su mattone dopo mattone in poco più di un anno. E sperava. Aveva poco più di 70 anni quando la guardia di finanza fermò le betoniere e i 100 operai che lavoravano per la costruzione dell’hotel e mise i sigilli alle 220 villette del villaggio di Acque Chiare e alla piscina con stabilimento balneare. E anche alla sua carriera di costruttore.
Buon compleanno, signor Romanazzi. Non c’è voluto molto per convincerlo a tornare qui, persino in un giorno così speciale. Compie 80 anni. Sì, più tardi ci saranno il pranzo, la torta, la famiglia, i nipotini. Ma qui è come se avesse lasciato un pezzo di cuore, quasi che il completamento di quell’albergo rimasto un gigantesco rustico color mattone, che da quasi due lustri sfida le intemperie, sia la sua ultima ragione di vita, il completamento di un ciclo, la realizzazione di un sogno. Anzi “del” sogno.
Romanazzi sembra ancora più piccolino tra l’erba alta che ha inghiottito il cantiere, cristallizzato le pile di mattoni ancora allineate: “Vede? Neanche una crepa. Si può riprendere a costruire da dove si è interrotto. E in due anni l’albergo sarebbe bell’e pronto”, indica fiero.
Il sogno di Acque Chiare nasce, quasi per caso, alla fine del vecchio millennio. Romanizzi va per i 60 anni e ha deciso di costruire le ultime tre palazzine e poi ritirarsi, affidando il timone dell’azienda a Vito, unico figlio maschio, dividendo equamente il suo patrimonio tra lui e le due figlie. Ma una mattina, tornando a casa, legge la locandina di un quotidiano locale che annuncia la volontà di Silvio Berlusconi di realizzare un villaggio turistico sulla costa di Brindisi.
“Non potevo accettare che qualcuno arrivasse da fuori, anche se era l’uomo più potente d’Italia, per venire a costruire una struttura per le vacanze a casa mia”: ecco l’uomo timido e quasi impacciato che nel suo regno, nel cantiere, si trasforma in leone. “Andai a Bari dall’architetto De Cillis e gli dissi che volevo realizzare un albergo e alcune centinaia di ville”. L’iter amministrativo si chiude l’1 marzo del 2001 con la concessione edilizia rilasciata dal Comune di Brindisi. Nel 2004 le ville cominciano a essere messe in vendita, dopo meno di sette anni il 70 per cento del villaggio è realizzato su un terreno di 45 ettari che fino ad allora era stato utilizzato come una gigantesca discarica.
Nel mese di maggio del 2008 la guardia di finanza, con l’accusa di abusivismo edilizio, sequestra le 220 ville e l’albergo in costruzione.
“Ero comunque sereno: avevo costruito il villaggio nel pieno rispetto della concessione edilizia. Ero certo che in poco tempo sarebbe stato ordinato il dissequestro”: mentre racconta percorriamo quelli che dovevano essere i corridoi dell’albergo, la hall. I balconi sul lato mare che si affacciano sulla distesa di verde incolto che nel progetto prevede invece bellissimi giardini. Dall’altra parte ci sono le villette, frequentate ma non troppo, perché solo il proprietario può accedervi ufficialmente. Ci sono anche quelle che Romanazzi ha venduto ai figli: “Se avessi pensato che c’era qualcosa di illecito, mai li avrei coinvolti”.
Quando era ragazzino aveva iniziato a 14 anni portando l’acqua ai muratori che costruivano le case coloniali per i contadini: “Non mi sembrava vero di poter lavorare con loro e pensavo già di poterli aiutare, realizzando il mio sogno. Invece mi incaricarono di andare a prendere l’acqua da una fontana pubblica, con la mia bicicletta. Prendevo una brocca vuota, la andavo a riempire alla fontana che si trovava a circa due chilometri e la dovevo riportare piena. Ma a a metà strada, a ritorno, ero stanco, sulla bici ero troppo basso per arrivare con i piedi per terra. E regolarmente cadevo e rompevo la brocca, tornando piangendo al cantiere. Ma non volevo farmi mandare via e così trovai la soluzione: nel punto in cui cadevo piazzai due grosse pietre in modo tale da potermi fermare a riposare poggiando i piedi dal sellino della bici. In quel modo riuscii a portare l’acqua”.
Quelle due pietre furono la prima, piccola “costruzione” realizzata da Romanazzi.
A sedici anni, da apprendista, desiderava dimostrare le sue capacità ma i muratori, gelosi del loro mestiere, ogni volta che prendeva la cazzuola in mano lo rimproveravano: “Durante la pausa pranzo, tornavo prima degli altri nel cantiere e costruivo pezzi di muro per allenarmi. Poi li demolivo prima del ritorno degli operai. Un pomeriggio, mentre mi preparavo ad abbattere il muro che avevo costruito mi sentii urlare da dietro: fermo! Era il titolare. Ebbi paura di essere licenziato e invece lui mi disse che si era accorto da tempo di quello che facevo e che ero stato bravo. Mi disse che durante la pausa pranzo dovevo riposare e che sarebbe arrivato presto il mio turno di lavorare come muratore. Ma il muro che avevo realizzato lo lasciarono in piedi”.
Nella sua carriera avrebbe costruito o ristrutturato qualcosa come 600 appartamenti, investendo per primo nella zona di Materdomini dove realizzò le palazzine davanti all’ex Babylandia. “Sa cosa faccio spesso?”, domanda mentre scendiamo per lo scheletro delle scale dell’albergo fantasma. “Vado in giro e ammiro i palazzi che ho fatto. In via Appia, in via Sant’Angelo, in via Grazia Balsamo, in via Amena, in via Provinciale San Vito. Volevo fare il muratore e tale sono rimasto, anche quando sono diventato un famoso costruttore, pure quando sono riuscito a fare parlare di me perché mi piaceva essere il migliore, il numero uno. Ma resto sempre quel piccolo muratore che usava le pietre perché non arrivava a mettere i piedi per terra e che era pronto a costruire un muro per il solo piacere di realizzare qualcosa con le mie mani. Spero di tornare in questo cantiere per completare la costruzione dell’albergo. Poi potrò andarmene in pensione».