Sovraffollamento e salute mentale: ancora gravi aggressioni nelle carceri

Di Marina Poci per il numero 408 de Il7 Magazine
Sovraffollamento, salute mentale priva delle necessarie tutele, dimensioni strutturali inadeguate, assistenza sanitaria di base insufficiente: “Questa è una vera e propria emergenza umanitaria, siamo al limite del collasso”, sbotta la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale nella Provincia di Brindisi, dottoressa Valentina Farina, denunciando un quadro preoccupante, che coinvolge i ristretti del carcere di via Appia (aggravandone le condizioni di detenzione), ma anche gli agenti di Polizia Penitenziaria, costretti a turni massacranti e a dover fare i conti con la mancanza di strumenti per sostenere in modo efficace i detenuti che presentano bisogni assistenziali particolari e complessi. Quotidianamente impegnata ad ascoltare i reclusi e a dare voce alle loro esigenze nelle competenti sedi politiche e istituzionali, Farina ci consegna l’immagine preoccupante di un sistema penitenziario incapace di far fronte alle criticità vissute da tutti coloro che abitano il microcosmo carcerario.
Partiamo dall’emergenza psichiatrica. Nella giornata di mercoledì 18 giugno un detenuto brindisino psichiatrico del carcere di Taranto ha aggredito gli agenti, devastando attrezzature e suppellettili della stanza in cui si trovava: la salute mentale in carcere è un problema più che altrove.

“Purtroppo sì. I professionisti che lavorano nelle carceri non godono delle condizioni minime per elaborare progetti che consentano percorsi di cura dei detenuti con fragilità psichiatriche, i quali vivono in stato di emarginazione nelle sezioni di Infermeria e vengono contenuti costantemente con i farmaci. In questo momento storico, dopo Cipro e la Francia, stando ai report ufficiali relativi al 2023, l’Italia è considerata il terzo Paese europeo per sovraffollamento carcerario, che – soltanto in Puglia – supera il 160 percento”.
Parliamo della questione della salute mentale con riferimento specifico al carcere di Brindisi.
“Il problema che più ci preoccupa riguarda un detenuto in particolare, un giovane extracomunitario, con patologia psichiatrica e tossicodipendente, che si trova in Infermeria, stabilizzato con i farmaci. Ma uno psichiatrico complesso non può essere trattato all’interno di un carcere, non ci sono le professionalità adeguate a garantirgli le cure intensive di cui ha bisogno. Nel momento in cui in turno non c’è il medico, l’infermiere o lo psicologo, il detenuto è sorvegliato dagli agenti penitenziari, che non hanno la formazione adatta a gestire l’intensità assistenziale necessaria a persone con disabilità psichiche, che a volte presentano anche problemi di autonomia nell’assunzione dei farmaci. Qualche giorno fa un detenuto della sezione Infermeria mi ha detto “Dottoressa, io sono diventato il caregiver del mio compagno di cella, seguo le istruzioni degli infermieri e lo aiuto a fare la terapia”. Per me ascoltare queste parole significa fare i conti con un sistema che sta fallendo. Come garante, la maggior parte delle segnalazioni che ricevo riguardano la sezione di Infermeria, soprattutto con riferimento a detenuti con patologie psichiatriche, che non dovrebbero trovarsi lì, perché possono rappresentare un pericolo per gli altri ristretti e per tutto il personale”.
Una soluzione può arrivare dall’incremento dei posti nelle CRAP (Comunità Riabilitative Assistenziali Psichiatriche) e nelle REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza)?
“Certamente: purtroppo in Puglia c’è una scopertura sulla quale, insieme agli altri garanti, abbiamo spesso interloquito con i direttori dei dipartimenti sanitari, senza alcun risultato per il momento. La mappatura e l’analisi territoriale, nella nostra regione, ci consegnano dati non aggiornati. Continuano a risponderci che i posti sono contingentati e che coprono il fabbisogno, ma noi che viviamo nell’ambiente sappiamo bene che non è così. Abbiamo liste d’attesa lunghissime e persone che sono state spostate fuori dal territorio regionale, con tutto quello che comporta, per questi pazienti già fragili, non riuscire a vedere con regolarità le famiglie”.
Per quello che riguarda l’assistenza sanitaria di base, quali sono le criticità?
“C’è innanzitutto un problema di spesa sanitaria, sul quale occorre che intervenga la Regione, dal punto di vista istituzionale e politico. Sappiamo che le nostre ASL sono in affanno, ma non è un buon motivo per trascurare la salute di chi vive nelle carceri. Poi c’è il grandissimo problema della mancata possibilità per i detenuti tossicodipendenti di accedere alle strutture residenziali. Ci accontentiamo del Sert intramurario approntato dalle ASL. Ma noi non possiamo più permetterci di ricevere all’interno delle strutture carcerarie detenuti con dipendenze, che potrebbero essere tranquillamente trattati nelle comunità terapeutiche, magari unendo alla cura della dipendenza il discorso della buona condotta in funzione dell’applicazione di una misura alternativa al carcere. Noi oggi negli istituti di pena ospitiamo tutti coloro che hanno commesso reati, senza garantire una progettualità personalizzata e senza considerare che il sistema, specialmente quello pugliese, è in piena emergenza. Teoricamente ci sarebbe anche la questione della affettività dei detenuti, mai affrontata, ma in questo momento non ci sono le condizioni minime per garantirla”.
Perché non ci sono le condizioni per occuparsi della dimensione sessuo-affettiva dei detenuti? È soltanto un problema di dotazione finanziaria o c’è anche un pregiudizio, o una riserva mentale magari, che impedisce di trattare il tema?
“Tra gli addetti ai lavori c’è da tempo una consapevolezza sull’importanza del garantire ai detenuti la tutela della sfera sessuo-affettiva. Purtroppo però a livello politico non riscontriamo la stessa attenzione. Quando parlo di mancanza di progettualità, certamente mi riferisco anche a questo”.
Come funziona la sezione Infermeria a Brindisi?
“Ci sono un medico, una psicologa e alcuni infermieri, che però non coprono i turni dell’intera giornata. A partire da un certo orario non ci sono. Troviamo circa quaranta detenuti che devono effettuare un monitoraggio sanitario più stringente: tossicodipendenti, persone con problemi di autolesionismo o con tentativi di suicidio alle spalle, qualche sieropositivo. Sono detenuti per cui sono in corso progetti di rieducazione molto efficaci, che però purtroppo, tra qualche settimana, si fermeranno: siamo a giugno, ci avviciniamo alle ferie. Per decisione del Ministero della Giustizia, le direzioni carcerarie in questo periodo sospendono tutti gli interventi con finalità sinergiche con il privato sociale. Se durante l’anno ci sono attività ricreative e culturali, iniziative con le famiglie, progetti di recupero, a breve tutto andrà in stand-by. E l’emergenza sarà ancora più preoccupante, perché in ferie andranno anche gli agenti penitenziari e il personale sanitario”.
Lei ha un ruolo importante nel coordinamento nazionale, quale rappresentante del Forum dei Garanti provinciali e delle Città metropolitane: cosa chiedete al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria?
“Invitiamo costantemente il capo DAP, il ministro Nordio, ad un intervento coordinato tra le istituzioni, che comprenda una partecipazione più presente degli enti locali e del mondo dell’associazionismo. Soltanto così si potranno garantire condizioni di rispetto per i diritti umani dei detenuti. Per quello che riguarda la Puglia, stiamo lavorando per chiedere un’audizione in regione, soprattutto per cercare di sollevare l’attenzione sul personale sanitario insufficiente. Non è accettabile non avere copertura medica e infermieristica durante la notte, così come non è possibile attendere mesi, e a volte anni, per il rinnovo dei contratti del personale. Ci aspettiamo risposte e soluzioni, altrimenti corriamo il serio rischio di far peggiorare un sistema che già oggi è in profonda crisi”.