Terrorismo, Brindisi centrale dell’intelligence. Con la Digos

di Lucia Portolano per IL7 Magazine

Le porte d’ingresso possono essere tante. Brindisi città di frontiera, punto di approdo e di partenza lungo l’asse della rotta Adriatica, con il porto che si affaccia ad Oriente e l’aeroporto punto di riferimento per voli nazionali ed internazionali. Da anni è a lavoro una squadra di intelligence per monitorare i gruppi di stranieri presenti sul territorio brindisino. Un lavoro quotidiano che agisce in silenzio ma che è capillare e che conosce abitudini, vita e attività di soggetti che potrebbero essere sospetti. Un’azione di antiterrorismo in tutta la provincia che va avanti da tempo, che si è concretizzata con diverse azioni. A gennaio 2017 la Digos di Brindisi ha arrestato Lutumba Nkanga, congolose di 28 anni, che si trovava nel Cie di Restinco. L’uomo è stato condannato qualche giorno fa a sei anni di carcere accusato di far parte dell’Isis, in particolar modo della cellula salafita (tra le più estremiste), che avrebbe organizzato l’attentato ai mercatini di Natale di Berlino il 19 dicembre 2016. Un unico filo rosso che collega la Germania all’Italia, paese questo che fa da transito per raggiungere il Medioriente.
Qualche giorno fa su segnalazione sempre degli agenti della Digos, coordinati dal vice questore Antonio Caliò, un marocchino di 25 anni è stato espulso con provvedimento del ministro Minniti, perchè durante la detenzione nel carcere di Brindisi aveva riferito ai compagni di cella di voler organizzare un attentato nel capoluogo una volta uscito di prigione, millantava conoscenze vicino all’Isis, anche se dalle indagini non è emersa alcuna conferma. Era stato arrestato dai carabinieri per aggressione a pubblico ufficiale.
Negli ultimi tempi è stata istituita una vera è propria “squadra di monitoraggio” che ha il compito di osservare e vigilare le persone a rischio. Ci sono attività quotidiane in carcere con l’ausilio degli agenti carcerari, al Cie di Restinco, al Cara ma anche sui social network. Si chiede la collaborazione degli operatori degli Sprar e dei centri di accoglienza. Un gran supporto è dato anche dall’ufficio Immigrazione della questura. Nella provincia di Brindisi sono presenti due comunità islamiche ben integrate. La lente di ingrandimento è puntata sui loro luoghi di culto. Ce ne sono due: uno a Latiano e uno ad Ostuni. Si tratta di luoghi dove i musulmani vanno a pregare, non si possono definire vere e proprie moschee, ma hanno la stessa funzione.
Le due comunità islamiche molto spesso sono collaborative con le forze dell’ordine, la tranquillità è negli interesse di tutti. A volte sono gli stessi islamici a segnalare “persone sospette”. A Latiano c’è anche una macelleria islamica che nel giugno 2015 subì un attentato incendiario. Fu appiccato il fuoco alla saracinesca. Il commerciante vendeva carne halal (cioè non vietata) macellata e lavorata come prevede la legge islamica. Una convivenza pacifica e integrata con la comunità del posto.
Tutto viene osservato dai poliziotti, dal soggetto che si allunga la barba in maniera particolare al modo in cui pregano, e al comportamento assunto. A insospettire infatti gli uomini della Digos nel caso di Lutumba Nkanga è stato proprio il suo atteggiamento rigido e militare avuto nel periodo di permanenza nel Cie di Brindisi. Un atteggiamento che gli investigatori hanno definito “militarista”, una persona lucida e colta che aveva anche scoperto di essere ripreso dalle telecamere che erano state installate nella struttura di identificazione ed espulsione. Era arrivato al Cie con addosso un coltello tattico militare in carbonio che utilizzano i guerriglieri in Siria e un sfollagente. Per comunicare con l’esterno si faceva prestare il cellulare dagli altri stranieri presenti nel centro. Lui aveva con se invece solo un cellulare vecchio tipo, anche se poi sono stati sequestrati altri dispositivi che utilizzava per comunicare con gli altri componenti della cellula. Si servivano di diversi app come Whatsapp, Viber , Telegram e Facebook. Conversazioni spezzettate, cominciate su una chat e completate su un’altra, ricostruite dagli investigatori. Molto spesso le comunicazione avvenivano via mail, i componenti del gruppo entravano nella posta con un password e leggevano le indicazioni che venivano salvate, mai spedite.
Lutumba era residente a Berlino, arrivato in Italia a dicembre insieme al 23enne Soufiane Amri, quest’ultimo aveva contatti con Anis Amri l’attentatore dei mercatini di Natale. Tutti frequentavano la stessa moschea, Fussilet 33, e abitavano nel quartiere Moabit.
Lutumba e Soufiane arrivano in Italia i primi giorni di dicembre, viaggiano su treni e autobus così da poter utilizzare i wifi free, passano da Roma e vanno ad Ancona dove devono imbarcarsi per Patrasso. Erano diretti in Siria dove avrebbero dovuto incontrare un gruppo di altre 4 persone anche loro appartenenti alla cellula salafita. I due gruppi si erano divisi a Berlino, avevano preso due diverse tratte: Lutumba e Soufiane quella Adriatica, mentre gli altri quattro quella Balcanica. Questi ultimi viaggiavano su Audi. E su un’auto molto simile pare sia stato fatto il video trasmesso in tutto il mondo che riprendeva il momento esatto in cui l’autoarticolato, con targa polacca, proveniente dall’Italia, ha investito la folla che si trovava in visita al mercatino natalizio. Secondo gli investigatori il video sarebbe stato girato dagli stessi organizzatori.
Il viaggio dei due finisce però ad Ancona a causa dello sciopero dei traghetti sono costretti a restare a dormire in città e a predere una stanza in hotel dove vengono però identificati. Il tutto era già monitorato dagli investigatori italiani. Soufiane è stato rimpatriato perché su di lui pendeva un provvedimento dell’autorità giudiziaria tedesca, mentre Lutumba viene trasferito nel Cie di Brindisi. Capillare la ricostruzione poi svolta dagli uomini della Digos brindisina, che hanno incastrato i tasselli di ogni comunicazione e contatto. Nei dispositivi cellulari sono stati trovati anche video di decapitazioni e scenari di guerra. Secondo gli elementi raccolti la cellula terroristica stava preparando un attentato a Istanbul e lì che erano diretti. Dopo l’arresto di Lutumba, in Germania sono state arrestate altre sette persone facenti parte della stessa organizzazione. Avevano realizzato un progetto di radicalizzazione islamica che si proponeva di reclutare e favorire la jihad armata in Siria e in altri paesi. Chiaro uno dei passaggi del Corano trovati dagli inquirenti tra le comunicazioni: “Fate scorrere fiumi del loro sangue, rendete le loro città ceneri e macerie…marciate con la benedizione di Allah, poiché questa guerra è la vostra guerra”. La cellula stampava e distribuiva Corano rivisitato secondo le leggi della Jihad. Il 31 dicembre 2017 la moschea Fussilet è stata chiusa. Non tutti degli 11 componenti della cellula sono però stati presi.