di GIANMARCO DI NAPOLI
La fine degli anni Novanta è uno dei periodi più drammatici nella storia di Brindisi perché le istituzioni vacillano, non tanto sotto i colpi di una criminalità organizzata che è diventata sempre più spregiudicata, sanguinaria e temeraria ma perché in città si verifica una sorta di implosione all’interno del “sistema Stato” con poliziotti, carabinieri, finanzieri, addirittura magistrati che vengono coinvolti in inchieste giudiziarie, legate da un unico filo conduttore: la collusione.
Per le strade di Brindisi si gioca in quegli anni una partita molto pericolosa che non è più quella tradizionale tra guardie e ladri, perché entrambi, sia le guardie che i ladri, hanno alzato la posta in gioco, complici da un lato le enormi quantità di denaro veicolate dal contrabbando di sigarette, in grado di mettere a dura prova il rigore, la moralità e la fedeltà di qualunque rappresentante delle forze dell’ordine, dall’altro l’enorme disponibilità di armi da guerra e di ordigni esplosivi che finiscono negli arsenali della malavita provenienti dalla ex Jugoslavia, a bordo di quegli stessi scafi che trasportano le “bionde”.
Un gruppo sempre più ampio di “sbirri” dunque, supera – in un primo tempo forse anche inconsapevolmente – la staccionata: la polizia spara, come in certi film degli anni ’70, senza rispettare più le regole d’ingaggio. Con lo scopo di arrivare ad arresti, anche clamorosi, non esita a creare false prove, mettere in scena finti attentati, costruire un rapporto perverso con i criminali (a volte boss latitanti). Fino a farsi ingolosire dai carichi di sigarette e dalle armi sequestrati, fino a incassare una parte dei soldi del contrabbando, fino a diventare anch’essi ladri ma con la divisa delle guardie.
E questo crea un corto circuito inevitabile perché la malavita a quel punto si sente legittimata ad alzare il tiro in maniera drammatica e chi dovrebbe far rispettare la legge e invece la viola non è nelle condizioni di fermarla.
Ci sono due date che rappresentano l’alfa e l’omega di questo percorso e che comprendono il periodo più drammatico della storia brindisina: il 14 giugno 1995, quando lo scafista Vito Ferrarese viene ucciso dai poliziotti della Squadra mobile di Brindisi che gli sparano da un elicottero mentre trasporta in mare un carico di sigarette dal Montenegro. E il 22 febbraio 2000, quando un fuoristrada blindato di contrabbandieri sperona un’auto della Finanza alle porte di Brindisi uccidendo due militari e ferendone gravemente altri due.
Tra queste due date si colloca un altro momento drammatico e non casuale: la decapitazione della questura di Brindisi da parte dell’autorità giudiziaria. Vengono arrestati l’ex questore, il capo della squadra mobile, alcuni dei poliziotti che nel corso degli anni avevano portato risultati straordinari ma che poi, imboccato un percorso border-line, erano finiti dall’altra parte della barricata. Tutti a processo insieme ai malviventi che avrebbero dovuto contrastare e di cui invece erano divenuti complici.
Per la polizia, a Brindisi, è il momento più difficile della sua storia: dalle cronache dei giornali i cittadini apprendono del tradimento di chi avrebbe dovuto tutelarli e che invece era il primo a non rispettare la legge, avendone creata una tutta propria. Costruita sulle ambizioni personali e sul desiderio di una vita agiata.
E’ in questo contesto, in una squadra mobile che non esiste più, se non quei pochi poliziotti che erano riusciti a sottrarsi delle dinamiche del vero e proprio branco che aveva operato sino a metà degli anni Novanta (tra i «sopravvissuti» c’è il vicedirigente Vincenzo Zingaro che in quei mesi divenne un prezioso collante tra quelli che erano rimasti e la nuova squadra) venne nominato capo della Mobile un poliziotto calabrese che, nonostante la giovane età, aveva già un curriculum di altissimo livello: capo della squadra mobile di Cosenza con una serie di importanti operazioni contro la ’ndrangheta, aggregato alla questura di Perugia per la liberazione del piccolo Augusto De Megni, vittima di un sequestro, dirigente della Dia di Reggio Calabria.
Luigi Carnevale, originario di Catanzaro, era persino sfuggito a un attentato dinamitardo con il quale una’ndrina calabrese voleva farlo fuori.
A lui fu dato il compito non solo di ricostruire ex novo la squadra mobile ma anche di convincere i brindisini che potevano tornare ad avere fiducia nella polizia e nelle istituzioni. Un percorso difficilissimo nel quale la questura era costretta a ripartire da zero con ispettori e agenti che avevano scarsa dimestichezza con il tessuto criminale locale mentre sul fronte opposto le organizzazioni criminali erano consapevoli della posizione di vantaggio che avevano accumulato.
Il lavoro di Carnevale fu efficace sia sul piano dei risultati che nella costruzione di un team di investigatori che per i vent’anni successivi è stato protagonista di operazioni che hanno influito notevolmente nel ridimensionamento della criminalità organizzata. A questo risultato contribuì un personaggio troppo presto dimenticato che lasciò anch’egli il segno in quel momento delicatissimo di transizione brindisina: il questore Paolo Scarpis, poi protagonista di una carriera folgorante, sin al vertice dei servizi segreti militari. Fu lui a coordinare l’Operazione Primavera nel marzo del 2000, subito dopo il giorno omega dell’omicidio dei finanzieri, che di fatto cancellò per sempre il contrabbando in provincia di Brindisi. Proprio conla squadra che Carnevale aveva costruito negli anni precedenti.
Il dirigente calabrese restò a Brindisi per due anni, poi diventò vicecapo della Mobile a Roma, quindi ufficiale di collegamento tra polizia e commissione antimafia, dirigente della Divisione di analisi criminale dello Sco e direttore della Polizia scientifica, responsabile dei servizi di Protezione del presidente della Camera e di quello del Senato. E per quattro anni direttore dell’Ispettorato di pubblica sicurezza del Vaticano che protegge il Papa.
Ora, 25 anni dopo, Luigi Carnevale torna a Brindisi con i galloni di prefetto, inviato dal ministero dell’Interno per sovraintendere l’organizzazione del prossimo G7 che si svolgerà a Savelletri di Fasano.
Ma ovviamente non è solo quello. Per Brindisi, e forse anche per lui, sarà come riprendere un percorso su una strada già tracciata in cui saprà lasciare ancora una volta il segno del suo passaggio.