Tra bizantino e pop-art: a Brindisi spopola Sant’Elia, il santo venuto dallo spazio

di Sonia Di Noi

Il Santo non gioca a dadi, piuttosto si trastulla con i pianeti. L’iconografia astrale che si sta diffondendo a Brindisi lo raffigura nei colori e nelle forme tra il bizantino e la pop art, e non con fare benedicente. “Buono ma non fesso, santo ma anche umano, ha cultura ma è popolare”, questo l’imprimatur che si è dato, il Sant’Elia che vien dal cosmo non fa parte di alcun calendario ecclesiastico, anzi si professa astrologo e medium, mentre fa piani di rigenerazione urbana e sociale, proprio nel quartiere che porta il suo stesso nome. E che ha deciso di beneficare con un poco extra e molto terrestre “Primo Palio Urbano d’Italia”, l’iniziativa che si svolgerà a giugno 2022 e lanciata dal progetto – il primo nato in Puglia – “CeloCeloManca, l’album dei desideri di Sant’Elia”, vincitore della terza edizione di “Creative Living Lab”, avviso pubblico promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura realizzato dal collettivo ImmaginAbile, in collaborazione con Comune di Brindisi, Arca Nord Salento, i volontari della cooperativa Legami di Comunità di Brindisi e Pazlab.

Se esiste un caposaldo di civiltà, uno di quegli avamposti che nello spazio urbano è l’alza battuta zero della comunicazione, quello sarà sempre il bar. Quello di piazza Raffaello, per esempio, che si colloca tra la farmacia e la rivendita di tabacchi, dove i più anziani arrivano alla spicciolata, per una birra dopo una giornata di lavoro in campagna o in cantiere; e poco più in là il ritrovo dove c’è chi fa la sua partita a carte serale. E’ proprio qui, nel cuore più popolare e sanguigno del quartiere brindisino, che Sant’Elia “venuto dallo Spazio” ordina un ginseng e si accende una sigaretta light mentre racconta, a nome del collettivo che rappresenta, della dimensione culturale e “trascendentale” della sua idea per riannodare le fila del discorso umano, ad oggi sfilacciate, partendo dal principio semplice e immediato del “buon vicinato”. Racconta di come abbia tristemente rilevato che spesso la gente non conosce più chi abita nel proprio caseggiato, e se passi un guaio, se si rompe la lavatrice non sai chi chiamare per tamponare l’emergenza. Problemi che fino a dieci anni fa parevano improponibili nei più piccoli centri cittadini, nei paesi di poche anime, e tuttavia perfino lì la socialità sta soffrendo di un raffreddamento che spegne il chiacchiericcio nelle piazze e i gridolini dei bambini che giocano. Lo stesso fenomeno è osservabile nelle più lontane periferie delle città, anche in quelle di provincia come Brindisi, per questo il proposito dell’iniziativa che avrà luogo sabato 30 aprile prossimo, alle ore 18 presso il Parco Buscicchio, al quartiere Sant’Elia, sarà la presentazione ufficiale di quello che è senz’altro possibile definire un intervento di “riqualificazione del tratto caratteriale”, ancora prima che interessi il manto stradale, i marciapiedi o l’illuminazione pubblica. Come non partire, perciò, nell’ambito dei processi culturali sviluppati sul territorio, dai volti, dalle storie personali di chi la mattina esce da casa propria e vive la sua vicenda quotidiana in uno spazio satellitare molto esteso, com’è quello di Sant’Elia rione, che presenta le criticità di luoghi che spesso si ritrovano sulle prime pagine dei giornali locali per episodi di piccola e grande criminalità, di marcato disagio sociale e condizioni di generale carenza della qualità della vita.

Scendono in campo tutte le agenzie educative del segmento urbano in oggetto: ci sono le associazioni di volontariato, quelle sportive, le scuole e le parrocchie, ma la mentalità non è pervenuta; e manca il fascino che la magia sollecita, per questo si è reso necessario introdurre un elemento che crei la suggestione dell’intervento che cala dalla volta celeste. Il santo che non esiste, ma che in qualche modo è in cielo, in terra e in ogni strada di quello che è ormai il suo quartiere, con tanto di stampa di santini e manifesti sparsi un po’ dappertutto. Sì perché questo Sant’Elia tatuato e profano non abita le edicole votive e, nottetempo, fa tacchinaggio cosicché la mattina successiva lo si trova che spunta su un cancello, sulla facciata di un palazzo, alla fermata dell’autobus o sulla centralina del gas all’angolo di un marciapiede, ad accogliere le preoccupazioni e i sogni del commerciante, della casalinga, dell’operaio, della mamma, del professionista, del giovane disoccupato. Ma lui tiene a precisare che la sua figura in realtà “non è salvifica ma ispiratrice, è del quartiere ma ha girato il mondo, è ospitale ma ama farsi ospitare, dice le cose come stanno ma la sua caratteristica principale è che non fa miracoli ma è in grado di fare in modo che accadano, perché la santità non è un lusso per pochi e tutti sono chiamati a essere santi (cfr. Madre Teresa di Calcutta)”

L’archetipo del santo aiuta la narrazione di questo progetto che si esplica su più piani di elaborazione e spunti di riflessione. L’architettura come disciplina che asseconda e dirige, alternativamente, l’evoluzione sociale, con i complessi abitativi che nascono per rispondere ai cambiamenti anche lavorativi della gente che ci abita, e in questo senso riprende l’intuizione urbanistica all’insegna dell’agilità dell’architetto futurista Antonio Sant’Elia, la figura da cui in realtà prende il nome il quartiere di Brindisi. Non evidentemente dal santo cristiano Elia, cui spesso è erroneamente attribuita la denominazione di questa fetta di città; non già, quindi, l’aspetto energico del profeta del quale si ricorda la pazienza nel perseguire il Bene, e anche questa è una chiave di lettura che si lega al profilo metafisico del nostro di Sant’Elia, invece, quello che sprinta e va. La presenza di grandi superfici di verde pubblico – che molti centri non hanno -, come ad esempio lo stesso parco Buscicchio, fornisce l’occasione di pianificare un nuovo format che si concretizzerà in una settimana di giochi, sport, arti visive, artigianato e cucina tradizionale con al centro la comunità.
Pur volendo ammettere che “la realtà è scadente”, come dice sofferente il sorrentiniano Fabietto, è confortante intercettare segnali di vita in prossimità dell’area della contrada: sul grande cancello blu c’è il poster di quel sant’uomo dell’Elia cosmico e sul muro adiacente campeggia la scritta “mafia morte” a testimonianza che i buoni uffici vanno oltre le camorrette di qualche inossidabile personaggio. Se possiamo credere all’esistenza di un carattere collettivo che superi ogni personalismo, e tentando di stigmatizzare quello del quartiere di San’Elia, forse solo il forestiero o, ancora meglio, chi ha lasciato da anni questi luoghi è in grado di delinearlo: chi è nato qui si porta via la capacità di “campare”, del saper stare al mondo, perché ha dovuto impararlo dopo decenni in cui ha conosciuto la mancanza di servizi e di attrezzature pubbliche; poi ha preso atto che l’apparato amministrativo era latitante e doveva vedersela da sé, imparando un codice di comportamento che, se nei più ha determinato una rassegnata mancanza di riconoscibilità in una identità sociale, in qualche altro caso il darsi a spacconate in giro per le strade, magari con una pistola in tasca, ha fatto prosperare frustrazione e demolito la vivibilità. Alla luce di tutto questo, l’obiettivo è di connettere cittadini di buona volontà a spazi residuali per mettere in crisi una mentalità ancora troppo radicata e a un senso di inadeguatezza che nasce dalla convinzione di non contare, di non avere gli strumenti per pretendere ciò che invece gli spetta di diritto.

La periferia è il terreno ideale per affrontare un lavoro di “tessitura” umana, di (ri)costruzione di legami fra chi condivide lo stesso campo di azione quotidiana, di vicinato, appunto, come usava una volta. Bisogna anche necessariamente denunciare che la perdita, uno dopo l’altro, di presidi civici, amministrativi, sanitari e culturali ha contribuito non poco a decentrare la vita del quartiere, facendola confluire verso il centro cittadino per qualsiasi esigenza che la propria bolla pubblica non soddisfa.

Il santo astrale, qui, essendo onnisciente, ha espresso il suo verdetto: il cittadino di San’Elia è in preda alla sindrome di Calimero, cioè si sente la vittima designata di un sistema penalizzante e solo la conquista di una nuova coscienza, aprire e ampliare canali di condivisione possono ribaltare le sorti del presente e del suo futuro. Per sovvertire il paradigma deve perseguire un’autodeterminazione che vada oltre le situazioni contingenti e un certo tipo di attendismo intrinseco: il cittadino, in breve, è competente, sì, ma nella misura in cui si rende conto che è necessario stare insieme, per realizzare la capacità di vedersi riconosciuti i propri diritti ed esercitare gli strumenti che la società gli ha messo a disposizione; stante che la volontà politica viene e va, le amministrazioni comunali oggi ci sono e domani saranno scalzate da altre con una “visione” nuova, questo è risaputo, ma ha sempre il preciso dovere, oltre che l’autorità, di alzare l’asticella della “qualità” dell’innovazione sociale. Perché, ribadiamo, buoni sì, ma manco fessi…

Nel mentre, Sant’Elia continuerà a muoversi per il quartiere, con qualche incursione anche fuori dal suo ambito territoriale di competenza (voce di popolo, infatti, riferisce che le recenti vittorie delle più importanti squadre di basket brindisine siano da attribuire al tocco taumaturgico del nostro), dispensando buoni consigli, ma mai sentendosi come Gesù nel tempio: “vado in giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose”, proprio come quell’“Ecce Bombo” (ma non gira a vuoto) e curerà i suoi canali Facebook e Instagram. Intanto, verrà allo scoperto alla conferenza stampa che terrà sabato al parco Buscicchio, seguìto alle ore 19 da dj set e apertura delle iscrizioni al Palio. Se dio vuole. E Sant’Elia pure.