di Marina Poci per il7 Magazine
Un quarantottenne ostunese nefropatico grave, con importanti problematiche cardiologiche e cardiovascolari che stavano per pregiudicare irrimediabilmente la possibilità di effettuare l’emodialisi e una ventinovenne cegliese alla quale l’emodialisi si è tentato di risparmiarla, purtroppo senza successo, sino all’ultimo momento utile: sono i due pazienti del brindisino ai quali, grazie a uno straordinario lavoro d’equipe (interno alla struttura complessa di Nefrologia dell’ospedale Perrino, ma non soltanto) nella seconda metà di settembre, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altra, è stato trapiantato uno dei reni. Entrambi i trapianti sono stati eseguiti con successo al Policlinico Sant’Orsola di Bologna, uno dei centri italiani d’eccellenza in materia.
Prima di ricevere l’organo compatibile (da donatore deceduto), l’uomo è stato dializzato per circa quattro anni e ha avuto una storia clinica complicata da problemi vascolari piuttosto seri che, purtroppo, compromettendo gli accessi venosi, mettevano a rischio la terapia sostitutiva di emodialisi. È stato inserito nella lista nazionale dedicata ai casi urgenti, ma sfortunatamente nel frattempo ha sviluppato un’infezione, motivo per il quale i tempi di attesa si sono allungati in attesa della risoluzione della complicanza infettiva.
La giovane donna, Arianna Urgesi, una ristoratrice sposata e madre di una bimba di non ancora tre anni, è rimasta in dialisi per un periodo di tre mesi, durante i quali i nefrologi hanno molto rapidamente studiato la madre, che aveva manifestato la volontà di donare. Purtroppo, però, durante la fase degli accertamenti necessari a valutare la compatibilità, è emerso un problema che ha portato immediatamente l’equipe a concentrarsi sul padre, rivelatosi poi idoneo a donare il rene alla ragazza.
Tra i medici che hanno curato i due trapiantati prima degli interventi (e che continuano a seguirne il decorso adesso che sono rientrati in Puglia) è percepibile, oltre alla legittima soddisfazione professionale, l’emozione genuina di chi ha a cuore le sorti di un altro essere umano e di quella vita si sente responsabile sino a quando non si presenta un’occasione di rinascita. Ne parla, con tono autorevole eppure pacato, il dottor Luigi Vernaglione, direttore dell’unità operativa complessa protagonista delle vicende, al quale si uniscono i due medici che hanno gestito direttamente i casi: il dottor Massimo Di Tullio, da un ventennio buono silenziosamente concentrato a lavorare sulle liste d’attesa nell’interesse esclusivo dei pazienti, e la dinamica dottoressa Lucia Argentiero, la cui voce al telefono zampilla pura gioia per il buon esito di entrambe le operazioni.
Quando un paziente si approssima alla dialisi (o non appena inizia la dialisi, nel caso in cui non si riesca ad evitarla), prima dell’inserimento in lista d’attesa occorre espletare tutta una serie di esami biochimici e strumentali, nonché di approfondimento clinico: se l’esito di queste verifiche non è rispondente ai criteri a cui tutti i centri sono tenuti ad attenersi, non è possibile candidare il paziente al trapianto. In Italia non esiste una lista nazionale, se non per le urgenze: ogni paziente viene inserito nella lista della regione di residenza e, in aggiunta, gli viene data l’opportunità di scegliere un’ulteriore lista in un’altra regione. La tempistica, più o meno stretta, degli approfondimenti richiesti per l’inserimento, può essere determinante rispetto alla possibilità concreta di ricevere l’organo necessario. È esattamente questo il motivo per il quale, circa quattro anni fa, il dottor Vernaglione, come responsabile della struttura operativa complessa di Nefrologia e Emodialisi, con una intuizione nel tempo rivelatasi brillante, ha ritenuto che fosse necessario individuare un gruppo specifico di medici deputato alla gestione delle immissioni in lista d’attesa per il trapianto di rene da vivente o da donatore deceduto. “Si tratta di approfondimenti che, se fatti in maniera scoordinata, portano via moltissimo tempo e, soprattutto, affaticano inutilmente pazienti che già vivono una quotidianità impegnativa, soprattutto se dializzati. Proprio rendendomi conto delle oggettive difficoltà che c’erano, ho pensato che la creazione di un team appositamente dedicato a questo delicato compito fosse un mio specifico mandato etico, oltre che clinico. Adesso credo di poter dire che la velocità dell’equipe del reparto, che insieme ai colleghi delle altre unità operative svolge gli accertamenti necessari, è un risultato molto significativo per la nostra Asl e fa sì che la serietà del nostro lavoro venga riconosciuta anche dai centri trapianto con i quali quotidianamente ci confrontiamo. Il Sant’Orsola è una delle realtà con cui lavoriamo meglio: questa fiducia reciproca si è rinnovata anche in occasione dei due nostri pazienti che recentemente abbiamo affidato loro”, spiega il direttore Vernaglione.
Il pool di professionisti creato quattro anni fa, oltre a gestire i day-service in funzione delle liste d’attesa, si occupa del monitoraggio post intervento dei trapiantati che, una volta “svezzati” dal centro dove è stato eseguito l’intervento, pur non perdendo mai i contatti con quest’ultimo, possono contare anche sul territorio brindisino su un gruppo di lavoro dalle professionalità altamente qualificate.
“I due pazienti trapiantati al Sant’Orsola a settembre sono da poco rientrati in Puglia e si sono già sottoposti ai primi controlli nei nostri ambulatori di follow up. Non nascondo che tutti noi, che insieme a loro viviamo la fase più o meno lunga dell’attesa e gestiamo il percorso di verifica dell’idoneità, ci emozioniamo enormemente a vederli tornare in reparto da trapiantati” racconta con rara empatia la dottoressa Lucia Argentiero, strenuamente impregnata in tutti i comuni della provincia nel necessario lavoro di sensibilizzazione e di diffusione della cultura della donazione degli organi. “La Puglia e, mi costa dirlo, Brindisi in particolare, sono ancora molto giù nelle classifiche nazionali in materia. Bisogna formare e informare, non tralasciando nessuna fascia d’età, a partire da quella scolare”, aggiunge.
Anche prima dell’organizzazione sistematica dell’inserimento in lista d’attesa operata dalla gestione Vernaglione, a tessere la delicata trama dei rapporti con i centri trapianto in tutta Italia e delle relazioni con le altre unità operative del Perrino era il dottor Massimo Di Tullio, un concentrato di competenze professionali e abilità diplomatiche in grado di lavorare a servizio dei pazienti con il solo scopo di offrire loro le migliori opzioni terapeutiche possibili. “Bologna è la città in cui mi sono formato come medico, per cui conservo con i colleghi del Sant’Orsola un rapporto di grande stima e grande affetto. Ma è anche un centro dove la cultura della donazione è molto diffusa, cosa che ha contribuito a sviluppare una professionalità eccellente in materia di trapianti. Quasi la metà dei nostri pazienti è stata trapiantata lì, ma in tutta Italia ci sono centri ottimi con i quali collaboriamo con grande profitto. Bari, per esempio, che resta il nostro imprescindibile punto di riferimento regionale e, ultimamente, anche Padova, nel cui ospedale hanno subito il trapianto di rene e pancreas quattro dei nostri assistiti. La creazione, in seno alla Nefrologia, di un pool dedicato appositamente alla gestione delle liste d’attesa e al follow up ha certamente introdotto un metodo che ben potrebbe essere d’esempio per altri reparti, perché i risultati ottenuti ci dimostrano ogni giorno che funziona molto bene. Mi lasci però dire che, soprattutto in questo ambito, il mio lavoro e quello della dottoressa Argentiero, oltre che quello del nostro direttore, sono fortemente facilitati dall’impegno della signora Graziana D’Amone, l’infermiera che organizza e coordina le nostre attività, e dalle disponibilità illimitate dei colleghi degli altri reparti che, non appena sanno che gli accertamenti da noi indicati sono propedeutici all’inserimento in lista trapianto, si adoperano con grande spirito di collaborazione per venire incontro alle nostre richieste. Serve un grande sincronismo”, precisa Di Tullio.
“Al di là delle vicende personali degli ultimi due pazienti, che colpiscono molto l’opinione pubblica poiché si tratta di persone molto giovani, vorrei che questo doppio trapianto a distanza ravvicinata fungesse da occasione per diffondere il principio che la scelta di donare o meno non deve essere delegata ai famigliari disperati alle prese con l’evento acuto della perdita. Piuttosto, è una responsabilità del singolo cittadino, che deve esprimere in vita l’assenso alla donazione, in modo che quella disponibilità non sia poi oggetto di discussione in articulo mortis. Con il passare degli anni, qui a Brindisi la percentuale di opposizione alla donazione da parte dei famigliari è andata via via diminuendo. Da parte nostra, come struttura complessa di Nefrologia e Emodialisi, c’è tutta la volontà di continuare a fare cultura per migliorare ancora questo dato”, conclude Vernaglione.