
Di Marina Poci per il numero 390 de Il7 Magazine
Quando qualcuno che non è a conoscenza della tragedia che l’ha attraversata le chiede quanti figli abbia, Adelaide Liso, madre di Matilde Chionna, la studentessa e pallavolista di Latiano morta in un incidente stradale il 25 febbraio dello scorso anno, continua a rispondere “due, per sempre due”: una in cielo, “affidata al Signore”, l’altra, Alba, che le cresce accanto. Matilde, che l’11 luglio prossimo avrebbe compiuto diciotto anni, ne avrà invece sedici per sempre, sedici anni di amore per lo sport, impegno negli studi, dolcezza, carattere e bellezza schiantatisi sulla Mesagne – Torre Santa Susanna in una piovosa domenica di inverno, mentre tornava dalla partita di pallavolo del campionato di serie D giocata da protagonista con la sua New Volley Oria contro il Monopoli.
Matilde era seduta sul posto passeggero della Fiat Grande Punto condotta dal fidanzato non ancora ventenne Matteo Buccoliero, di Sava, studente di Medicina, figlio del sostituto procuratore della Repubblica di Taranto Mariano, PM nei processi per l’omicidio di Sarah Scazzi e Ambiente Svenduto. La Punto con i due ragazzi a bordo terminò la sua corsa tra le campagne dopo uno scontro frontale con una BMW alla cui guida c’era un uomo di Erchie, rimasto ferito. Uno scontro che non lasciò scampo a nessuno dei due giovanissimi, con ogni probabilità morti sul colpo mentre erano diretti al centro commerciale Appia Antica: un panino al McDonald’s dopo la gara, ancora qualche ora insieme prima di tornare a casa e ricominciare con un’altra settimana di studio, allenamenti e conversazioni su WhatsApp.
Adelaide Liso parla a fatica di quella sera, di quando lei e il marito Riccardo furono avvertiti dell’incidente, dei rimorsi e dei rimpianti che accompagnano da quasi un anno le sue giornate, della rabbia per quell’unica ingenua bugia di Matilde in tutta una vita di trasparenza (“ero certa che Matteo la stesse riaccompagnando a casa, Mati non mi disse che andavano a Mesagne, sapeva bene che glielo avrei impedito”, dice, conservando anche nel dramma il piglio severo del genitore giusto, ma rigoroso, che è sempre stata): come ogni madre toccata dalla perdita di un figlio, è una donna sopravvissuta a se stessa. Eppure, quando il nome di Matilde le scivola morbido in gola, nella voce grattata dalle lacrime si percepisce l’immensità dell’amore che sovrasta ogni sentimento contrario: “la mia centometrista”, “il mio vulcano”, “la mia luce”, “la mia stella”, così parla Adelaide di sua figlia, a cui, in occasione del primo anniversario della morte, la parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Latiano intitolerà l’oratorio. “L’ha frequentato per poco, soprattutto negli ultimi tempi, perché l’impegno scolastico e quello sportivo erano massimi, ma anche lì, nonostante tutto, ha lasciato il suo segno”, racconta la madre.
È soltanto l’ultima delle iniziative, soprattutto sportive, nate per ricordarla (lei che, con un padre calciatore professionista, anche in serie C, di sport si era nutrita a partire dai primi anni di vita): la domenica successiva alla sua morte, in tutte le gare di pallavolo disputate in Puglia, di ogni serie e categoria, la Federazione Italiana Pallavolo ed il Comitato Regionale Puglia disposero un minuto di silenzio; dal 17 dicembre scorso porta il nome di Matilde la palestra della sua scuola, il liceo Ettore Palumbo di Brindisi, sulle cui pareti, dopo gli interventi di adeguamento funzionale e di messa in sicurezza impiantistica, campeggia il sorriso della giovane studentessa; ad agosto, l’asd Olimpo Latiano ha promosso la prima edizione della “Staffetta sotto le Stelle – Memorial Matilde Chionna”, manifestazione podistica promozionale su circuito cittadino, per onorare l’altra grande passione della ragazza, l’atletica; lo scorso settembre è stato organizzato il primo “Trofeo Matilde Chionna”, un triangolare in cui la sua New Oria Volley ha sfidato la Pallavolo UISP Putignano e la Rainbow Volley Crispiano. Tutte esperienze a cui la famiglia, pur straziata dal dolore, ha preso parte con orgoglio, quasi sentendosi investita della missione di sensibilizzare i giovani a rispettare il valore della vita, che è preziosa e va preservata, a coltivare con amore i propri talenti, a perseguire con coraggio e fermezza le proprie ambizioni. Fu il messaggio che Adelaide Liso affidò alla folla di giovani commossi dopo la messa funebre di Matilde: “Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro, così come ha fatto lei”.
“E così come avrebbe continuato a fare. Pur nella sua timidezza, Matilde era carismatica, curiosa, intraprendente, una vera e propria trascinatrice. Sperimentava e si metteva in gioco: ha iniziato con la pallavolo a cinque anni, ispirata dall’esempio della zia Lucia, giocatrice e allenatrice, e sino al giorno dell’incidente non ha mai smesso. Sino a quando ha frequentato le scuole medie è stata anche una campionessa di corsa, ha anche vinto diversi titoli. Spesso le coetanee rinunciavano a gareggiare, se venivano a sapere che era iscritta alle gare: “Tanto vince Matilde Chionna”, dicevano tutte. Quando ha cominciato a frequentare le scuole medie, ha lasciato gli allenamenti di atletica e si è dedicata completamente alla pallavolo. Lo studio, che affrontava con passione, le prendeva gran parte del pomeriggio. E anche in quel campo, ha regalato a noi genitori immense soddisfazioni. I professori ci riempivano di complimenti. Tutto quello che una madre vuole sentirsi dire da un insegnante, io me lo sono sentita dire riguardo a Matilde. Al momento della scelta delle superiori, partecipammo ad un unico open day, quello al Palumbo, perché la sua scelta era sempre stata orientata al liceo linguistico. Studiava inglese, francese e spagnolo. Avrebbe voluto frequentare un anno all’estero, ci eravamo anche informati sulla Spagna, da cui era fortemente attratta, ma alla fine non me la sono sentita di mandarla e abbiamo deciso di rinviare gli studi fuori al momento dell’inizio del percorso universitario. Parlava di studiare Criminologia, anche se non so quanto fosse una scelta definitiva, in fondo mancavano ancora due anni al diploma…”, ricorda la signora Liso.
Se la vita di Matilde non si fosse bruscamente interrotta un anno fa, in questi mesi la mamma Adelaide e il papà Riccardo le starebbero organizzando la festa di compleanno, non l’intitolazione di un oratorio alla memoria: “Ho due chiodi fissi: la festa per i suoi diciotto anni e il viaggio che avrebbe voluto organizzare con le amiche dopo la maturità. Avremmo parlato sino allo sfinimento di entrambe le cose. Le avrei preparato una festa coloratissima, piena di musica, palloncini e fiori. Sa’, circa una settimana prima di morire, Matilde mi fece una domanda strana: mi chiese con quali fiori si addobba la chiesa in occasione della messa di matrimonio. Le risposi che ognuno sceglie quelli che preferisce, anche tutti i fiori del mondo, perché non ci sono regole nel giorno del proprio matrimonio. Poi la stuzzicai un po’, chiedendole come mai mi avesse fatto quella domanda, visto che mi aveva sempre detto che non si sarebbe mai sposata. Capì che mia figlia si era presa una bella cotta per quel ragazzo, ma lì per lì lasciai perdere. Però il giorno del suo funerale, ad un certo punto, alzai la testa e mi voltai. La chiesa traboccava di fiori, di tutti i tipi e di tutti i colori. Allora mi tornò in mente quella conversazione e dentro di me le dissi: ecco, Matilde, questo è il tuo matrimonio, con tutte le persone che ti hanno voluto bene e sono venute qui oggi a lasciarti un fiore”.
Nell’ultimo anno intorno a Matilde Chionna si è sviluppata una gigantesca bomba d’amore, un movimento di emozioni e sentimenti il cui supporto continua ad essere fondamentale per i genitori, la sorella, i parenti tutti. Il mondo del volley e quello della sua scuola, due realtà che amava e viveva parallelamente alla famiglia di sangue, sono vicine con una partecipazione che Adelaide Liso definisce “meravigliosa e inattesa”: “Ma non solo: ricevo quotidianamente l’affetto di persone che nemmeno la conoscevano bene, o che comunque non conoscevano me. Mi mandano messaggi, mi abbracciano per strada, so che pensano a noi con grande empatia. Non ho mai perso i contatti con le sue amiche, che non hanno smesso di volerle bene anche adesso che non c’è più, e in qualche occasione ho incontrato gli amici di Matteo, che né io né mio marito avevamo conosciuto. Mi ha colpito molto il fatto che parlassero di lui descrivendolo nello stesso modo in cui noi parliamo di Matilde: “un vulcano”. Anche se la qualità più bella del carattere di mia figlia, quella che mi rendeva e ancora adesso mi rende orgogliosa di lei, era la sua tendenza ad essere inclusiva. Non lasciava indietro nessuno, avrebbe voluto salvare il mondo. Ecco perché non dovrà essere dimenticata. Ed ecco perché non lascerò che il suo nome mi resti in gola: sino a quando avrò fiato, la mia voce sarà la sua. E la sua luce resterà la mia”.
Una luce di giovinezza infranta che si staglia anche su uno dei muri perimetrali della scuola media nella cui palestra Matilde si allenava circa quattro volte a settimana, su cui è stato realizzato un murale che la raffigura, pallavolista, nel suo gesto atletico più amato, la schiacciata: su quel murale c’è il 6, il numero della sua maglia, il 16, gli anni che avrà per sempre, qualche cuore e molte stelle. Perché, come dice mamma Adelaide, Matilde “era una stella”, capace di brillare e far brillare.