di Nazareno Valente per IL7 Magazine
In un periodo in cui le narrazioni tendono a prendere il sopravvento pure in ambiti ben più essenziali per la vita di tutti i giorni, è del tutto comprensibile che la leggenda possa risultare preferibile ai fatti concreti e sostituirsi anch’essa alla realtà. Fa parte ormai del desiderio comune di evadere da un quotidiano sempre più opprimente – o, come direbbero taluni, globalizzato – il lasciare almeno un piccolo spazio alla fantasia ed al sogno. Certo è però che le leggende ed i miti, se non inseriti in contesti quantomeno verosimili, rischiano di portare ad un vicolo cieco e, magari, invece di far sognare, finiscono per deprimere ancor più. Come capita alla lettura di certi prodotti, spacciati per culturali, che un fresco Marziale chiamerebbe “opera di sarti per altri sarti”, visto che sono l’evidente saccheggio di lavori altrui compiuto con chirurgiche operazioni di copia ed incolla. Un tipico esempio lo si può riscontrare negli articoli che alcuni blog dedicano alla cosiddetta casa di Virgilio, la cui memoria ha lontane origini.
Come già raccontava con la dovuta cautela Annibale de Leo, «poco lontana dal mare, ed in faccia all’imboccatura del porto interno, presso le due antiche colonne» si può vedere «un’antica casa … la quale per antica tradizione si dice essere stata la casa di Virgilio». A quel tempo, infatti, gli studiosi brindisini erano troppo colti per dare un incondizionato credito alle dicerie popolari, cui lasciavano spazio più per assecondare le certezze dei lettori che per effettivo coinvolgimento. Per questo preferivano riportare l’informazione accompagnandola con un «si dice» che lasciava indefinito il loro pensiero. Alcuni secoli prima, meno circospetto s’era dimostrato Giovanni Battista Casmiro nel dare presenti nella nostra città i resti, non solo della casa di Virgilio, ma anche di quella di Pompeo. Altro però era il contesto: la sua “Epistola apologetica”, indirizzata nel 1567 a Quinto Mario Corrado, s’inseriva nell’accesa diatriba sorta con Oria per il titolo arcivescovile, che a volte sfociava pure in mischie in cui la fondatezza delle diverse teorie era sostenuta con argomentazioni per nulla accademiche. Era quindi scontato che l’opera del notaro brindisino fosse ispirata al più radicale campanilismo ed in tale ottica vanno interpretate le sue affermazioni.
Va per altro ricordato che la notorietà di cui godeva Virgilio nel periodo medievale era tale che la sua figura attirava fake news più di quanto il nettare sappia fare con le api. Non c’era infatti città, per quanto appena sfiorata dal poeta mantovano, che non sfornasse racconti incentrati sulla sua figura. Per questo motivo, fu tutto un fiorire di bufale che portò Virgilio perfino ad assumere le sembianze del mago, per fortuna benevolo.
Era quindi del tutto naturale che anche la nostra città partecipasse a questo gioco creativo, sfruttando in aggiunta la favorevole circostanza d’aver ospitato il sommo poeta latino nei suoi ultimi istanti di vita. Il fatto che Virgilio avesse messo qui casa costituisce però solo la punta visibile di un più esteso iceberg e, come meglio vedremo nelle prossime puntante, altre leggende accomunarono il poeta a Brindisi. Certo quella della casa vicina alle colonne è la più radicata e la meno logorata dal tempo. Quella che, rispetto alle altre dicerie, gode addirittura di maggiori consensi adesso che in passato, forse grazie alla moderna cultura che privilegia wikipedia ai polverosi libri custoditi nelle biblioteche.
Con ogni probabilità, la leggenda deve aver preso piede nel XIV secolo, vale a dire nel momento in cui la fama di Virgilio era all’apice, elaborata dalla cerchia di eruditi brindisini con l’evidente intento di risollevare il prestigio cittadino allora scaduto ai minimi storici dopo i fasti d’epoca romana. I primi riscontri si hanno però nel secolo successivo, quando la narrazione trova spazio in un’operetta in distici elegiaci dell’ecclesiastico monopolitano Aurelio Serena attivo in quel periodo.
Nella “Descriptio portus Brundusii” (Descrizione del porto di Brindisi) il Serena ci riferisce che «è proprio certo che Virgilio abbia abitato a Brindisi, tant’è che i resti della sua casa si possono vedere tuttora», dando così per scontato sia che il poeta di Andes risiedesse nella nostra città, sia che la casa vicina alle colonne fosse effettivamente la sua. Tuttavia, pur considerando la duttilità dei letterati del tempo, va sottolineato che il Serena è un verseggiatore e la “Descripsio” un lavoro che ha intenti squisitamente poetici, sicché le argomentazioni storiche in esso contenute andrebbero valutate con molta prudenza, prima d’essere assunte per buone.
Vedremo in una prossima puntata come un’ipotesi da lui formulata sul nostro porto si dimostri alquanto bizzarra, ma occorre rilevare che anche le sue ricostruzioni dei passati avvenimenti appaiono messe insieme alla bell’e meglio. Non a caso, oltre alla chicca della casa virgiliana, il Serena tenta pure di far passare che il castello di Terra sia impresa del «potente Federico che prese nome dalla barba rossa», arrivando così a confondere Federico I Barbarossa con Federico II. Il che non depone certo a favore delle sue conoscenze storiche. Ciò nonostante, le sue tesi trovano tuttora spazio e sostenitori.
In effetti la casa indicata dal poeta monopolitano è un edificio che è già tanto se può considerarsi della fase di mezzo dell’Alto Medioevo, per cui bene che vada non sembra avere nemmeno la metà degli anni che gli si vorrebbero attribuire. La sua vecchiezza è talmente inadeguata allo scopo che può pure ipotizzarsi che il nucleo iniziale della leggenda riguardasse esclusivamente la zona dove si riteneva che Virgilio fosse morto e che soltanto, in seguito, si pensò di integrarla arruolando una casa in stile classico costruita lì nei paraggi. In qualsiasi modo si sia evoluto il racconto, conviene ricordare che tra il Settecento e la prima metà del secolo scorso i più la indicavano come la “cosiddetta” casa di Virgilio, lasciando presagire che era il frutto d’una tradizione popolare e nulla più. Che questo fosse il pensiero ricorrente è comprovato dalla circostanza che, a differenza di quanto sarebbe dovuto avvenire con un reale reperto antico di quel valore, la casa sia stata adibita in modo continuativo ad uso privato e, sempre per fini privati – per consentire un miglior utilizzo dei locali da parte dei suoi proprietari – si decise perfino che fosse incorporata in una nuova struttura, che è poi quella adesso visibile.
Ma, se anche la costruzione avesse i duemila anni che taluni presumono, sarebbe comunque improbabile che Virgilio l’avesse scelta come sua dimora abituale. Il carattere del poeta, le usanze di quell’epoca antica, le caratteristiche della nostra città ed i riscontri storici inducono in ogni caso a dubitarne.
La documentazione cita solo due circostanze in cui Virgilio passò per la nostra città: il famoso viaggio della primavera del 37 a.C., raccontato con dovizia di particolari dal poeta Orazio, e quello con destinazione Atene del 19 a.C. che si sarebbe dimostrato fatale. Il che non preclude che non vi possano essere state altre occasioni: Mecenate, cui il poeta era molto legato, gli chiedeva a volte di tenergli compagnia nei suoi frequenti viaggi, e non è detto che in alcuni di questi vi fosse Brindisi come fuggevole meta.
In ogni caso si trattava di viaggi di studio e di lavoro che non comportavano la necessità di dover mettere su casa, anche perché in quelle circostante era allora usuale fruire della generosa ospitalità di qualche danaroso amico. Proprio Brindisi fornisce un evidente esempio che così avvenisse. Come sappiamo, Cicerone frequentò con ben maggiore assiduità la nostra città, pur tuttavia non pensò neppure alla lontana di comprarsi una casa, perché ogni volta veniva ospitato da qualche amico Brindisino. Figuriamoci Virgilio che la visitava al seguito di Mecenate che, ricco sfondato com’era, possedeva ville un po’ dappertutto.
Il poeta per altro non amava vivere nel caos delle grandi città, tanto è vero che, come ci racconta il suo biografo Elio Donato, soggiornava raramente pure nella stessa Roma («Romae, quo rarissime commeabat»). Sebbene avesse lì una casa messagli a disposizione appunto da Mecenate, presso i suoi orti sull’Esquilino, preferiva infatti vivere in tranquillità, lontano dalla gente, ed i posti di suo maggior gradimento erano invariabilmente la Campania e la Sicilia («habuitque domum Romae Esquiliis iuxta hortos Maecenatianos; quamquam secessu Campaniae Siciliaeque plurimum uteretur»). Era poi così schivo e probo che a Napoli lo chiamavano «Parthenias», vale a dire il verginello. E proprio Napoli, dove divideva una villa con gli amici Vario e Tucca, in una zona isolata sulla via Puteolana, costituiva la sua residenza prediletta. Brindisi, che a quel tempo era una metropoli e che per modo di vita assomigliava molto più a Roma che alla tranquilla periferia di Napoli, non poteva di sicuro rientrare nel novero delle città favorite per un suo soggiorno.
Di conseguenza si fa fatica a mettere in sintonia la figura d’un Virgilio, sul quale le fonti sono concordi nell’attestarne la costante ricerca del silenzio, con un luogo caotico, come il porto brindisino, a quei tempi brulicante dei continui rumori generati dalle innumerevoli tabernae e da un arsenale sempre in piena attività. Avesse proprio avuto necessità di comprare casa dalle nostre parti, Virgilio avrebbe certamente preferito un posto più appartato, magari nella zona del Casale, dove non a caso dimorava l’establishment brindisino.
Deve aggiungersi che, per quanto casto e riservato, il nostro era abituato ad un certo stile di vita e non si sarebbe mai negato le comodità che le sue possibilità economiche gli consentivano. Che fosse sua, o che fruisse dell’accoglienza concessagli da qualche benevolo amico, l’abitazione avrebbe dovuto comunque possedere caratteristiche in assonanza con la sua posizione sociale. Si pensi poi che un viaggio sino a Brindisi, la cui durata allora non si calcolava in ore ma in giorni (circa una dozzina), non si faceva da soli e con un paio di valigette: ci voleva quanto meno un amanuense che fungesse da segretario, quattro o cinque schiavi che pensassero ai bagagli ed agli altri bisogni quotidiani, e in più la compagnia di qualche fidato amico – tra i quali non potevano certamente mancare Vario e Tucca – con il loro rispettivo seguito di servitori. La modesta casa che gli si vuole attribuire, non avrebbe mai potuto soddisfare neppure ad una di tutte queste sue esigenze, a prescindere dalla effettiva epoca di costruzione.
Al tirar delle somme, non pare verosimile che quella che viene detta la casa di Virgilio lo sia mai davvero stata. È invece plausibile che, in quei pressi, Virgilio abbia trascorso gli ultimi istanti di vita, come per altro riportato sulla lapide eretta nel 1930 sulla facciata dello stabile, indicato per l’appunto non come dimora del poeta ma unicamente come luogo dove egli «l’ultima volta salutò la Saturnia terra».
Come dire che c’era maggiore conoscenza degli avvenimenti passati quando non era possibile connettersi in rete, e si era pertanto costretti a consultare le tanto impervie (ma forse più utili) fonti non digitali.
Un’ultima considerazione. Virgilio, in tutta la sua produzione letteraria, che pure è ampia, non ha mai dedicato alla nostra città neppure un verso. Non è strano? soprattutto se, come si narra, la frequentava tanto abitualmente da invogliarlo a metter su casa.