
Di Marina Poci per il numero 401 de Il7 Magazine
Il suo primo cortometraggio lo ha girato con il cellulare ad appena undici anni, sotto casa, coinvolgendo famigliari e amici, in un sabato sera in cui non aveva voglia di passeggiare senza meta per il corso bevendo una bibita in lattina: quel corto, in cui si era riservato il ruolo dell’agente segreto reclutato per la missione di salvare il mondo, era qualcosa a metà tra il thriller e la spy story e il suo papà, che da lì a pochi mesi sarebbe mancato, interpretava il presidente degli Stati Uniti d’America.
Adesso che di anni ne ha ventiquattro, a quel prodotto artigianale e rudimentale il brindisino Davide Giarletti guarda con l’affetto che soltanto le memorie preziose meritano e l’indulgenza che si riserva ai tentativi di inventarsi il proprio futuro pur senza saperne ancora definire con esattezza i contorni.
Certamente non poteva presagire, il ragazzino che postava i suoi video su YouTube augurandosi di essere notato da qualche grande maestro del cinema, che qualche anno dopo un suo cortometraggio sarebbe stato distribuito sulla piattaforma Prime Video. E certamente non poteva immaginare che quell’adolescente che utilizzava il telefonino come una cinepresa, la settima arte l’avrebbe studiata a fondo e sarebbe stato in grado a sua volta di insegnarla ad altri adolescenti nelle scuole.
Laureato in Cinema alla “Rome University of Fine Arts”, un’Accademia di Belle Arti non statale, legalmente riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, nel corso degli studi presso la RUFA Giarletti ha acquisito una preparazione completa, dalla scrittura al montaggio, dalla fotografia alla regia. Nel racconto della sua infanzia c’è il ricordo di un bambino la cui attenzione difficilmente si lasciava catturare dai giochi che attraevano i suoi coetanei, cresciuto “a pane e James Bond”, non particolarmente affascinato dai cartoni animati (“ho cominciato ad apprezzare da adulto alcuni film di animazione”) e precocemente sedotto dal fascino della finzione e dalla possibilità di ricrearla: “Da amante dei film d’azione, uno dei miei sogni è sempre stato quello di buttarmi in piscina vestito. Per cui scrissi una storia in cui alla fine io e i miei amici avessimo la possibilità di farlo tutti insieme, per scappare da una pericolosa esplosione. Forse non avevo ancora compiuto dodici anni”.
James Bond aveva lasciato il segno.
“Penso di sì. In casa si leggeva Panorama, che ad un certo punto iniziò ad essere associato alle vhs con i film dell’agente segreto di Sua Maestà. Li guardavo a ripetizione”.
Invece il primo film visto al cinema qual è stato?
“Non ricordo nello specifico. Però posso dirle che mio primo ricordo legato al cinema è il “trauma” che mi provocò la visione di Harry Potter e il calice di fuoco”: obiettivamente accadevano delle cose che forse erano un po’ troppo “forti” per un bambino. Chiesi a mia madre di uscire dalla sala!”.
Poi sono arrivati i primi cortometraggi.
“Sino ai quattordici anni, telefonino alla mano, io e miei amici ci siamo dati parecchio da fare: scrivevamo, giravamo, montavamo e postavamo su YouTube, che ai tempi era la piattaforma più usata”.
Li ha conservati, questi corti? Quando leggeremo il suo nome in qualche grande festival cinematografico, avranno un valore inestimabile.
“Grazie per l’augurio. Diciamo che al momento tendo a non rivederli perché mi imbarazzano un po’!”.
Con questa passione così già ben definita, sarà stato un problema scegliere la scuola superiore: ha riscontrato un “vuoto” formativo nella zona?
“Purtroppo sì. Alla fine ho scelto il liceo scientifico, ma ho dovuto mettere da parte i miei interessi specifici. Ed è qualcosa che ancora continua a penalizzarmi. Proprio recentemente è stato bandito un concorso in RAI per operatori televisivi a cui avrei voluto partecipare, ma non sono risultato idoneo perché non ho frequentato un liceo multimediale. Spero che adesso le cose siano cambiate e che gli adolescenti della provincia con una passione per l’audiovisivo abbiano le opportunità che io non ho potuto avere”.
La sua famiglia come ha accolto le sue inclinazioni artistiche? Hanno tentato di deviare il suo percorso?
“Per fortuna no, non c’è mai stato in famiglia nessuno che mi abbia intimato di lasciare il telefono e mi abbia incoraggiato a fare il medico o l’avvocato. Mia madre e i miei zii mi hanno supportato moltissimo”.
La prima attrezzatura professionale quando è arrivata?
“A sedici anni, dopo aver messo da parte tutti i soldi ricevuti per i regali di compleanno e i famosi “gelati” della nonna. Però la molla è scattata a quattordici anni, quando ho avuto la grande fortuna di essere scritturato per un bel film di RAI Cinema che si chiamava “La guerra dei cafoni”, girato dalle nostre parti, tra Lecce, Torre Guaceto e Le Cesine. Osservare da vicino la realizzazione di un film mi ha convinto ad abbandonare il cellulare e investire in una attrezzatura seria: così ho acquistato la prima fotocamera, il primo obiettivo, il primo microfono”.
Qual è l’aspetto dell’industria cinematografica per il quale si sente più vocato?
“La regia è l’obiettivo primo, mi piace l’idea di coordinare i vari professionisti che operano sul set. Il regista non è il capo, come spesso si pensa. A me piace immaginarlo come un direttore d’orchestra, che deve mettere insieme le idee di tutti e dare loro una coerenza con una visione specifica sul progetto. Quella visione poi diventa la sua firma, ciò che lo distingue da tutti gli altri. Intanto, però, lavoro molto come direttore della fotografia su video musicali e documentari. La considero una ottima palestra”.
Su Prime Video cosa possiamo vedere di suo?
“Ho iniziato a realizzare una serie di cortometraggi intitolata “Spaccati di vita”: metto quattro persone intorno a un tavolo a discutere della loro vita, trattando temi prevalentemente sociali e culturali. Uno di questi corti si chiama “La sigaretta di Pavlov” e racconta la dipendenza da nicotina mischiandola con le teorie del sociologo e animalista Pavlov. Con questo prodotto ho vinto un festival: il premio era un contratto di distribuzione si varie piattaforme, tra cui Prime Video. I protagonisti sono tutti del Brindisino, adoro girare giù e poter dare opportunità ad amici che magari hanno la passione per la recitazione. In questo caso la sceneggiatura è mia, ma sono alla ricerca di uno sceneggiatore più preparato di me, che mi affianchi nello scrivere i dialoghi e le scene”.
Prossimi progetti?
“Usciranno su YouTube, a metà maggio e a metà giugno, due cortometraggi girati negli anni passati e arrivati al percorso di montaggio e post-produzione. Uno di questi è ambientato sotto al Monumento al Marinaio e racconta il sabato sera brindisino: l’altro, che fa parte di “Spaccati di vita”, ha un taglio socio-culturale, meno narrativo. Poi proveremo a proporli su altri circuiti”.
Ad un ragazzino di Brindisi con la sua stessa passione cosa consiglierebbe?
“Di contattarmi! Attualmente vivo a Roma, ma mi piacerebbe tornare a Brindisi e far partire nella mia città un percorso di insegnamento. Ho già partecipato a progetti scolastici in cui ho insegnato fotografia e tecniche di ripresa: è stato un periodo bellissimo, spero di poterlo riproporre”.
Quel papà che è stato il protagonista del suo primo cortometraggio, cosa direbbe adesso che il suo bambino ha messo a frutto la propria creatività facendone un lavoro?
“Questa è una domanda che mi faccio spesso: papà apprezzerebbe il mio stile o mi direbbe che realizzo stupidaggini?”
Cosa si risponde?
“Mi piace immaginarlo come il mio primo fan”