Basket, quando Mimmo Castellitto incendiava il «Palidea»

di Luca Di Napoli per IL7 Magazine

Mimmo Castellitto, originario di Caserta, classe 1967, è un volto entrato nella storia del basket brindisino rivelandosi il protagonista assoluto di una delle storiche scalate del Mercatone Uno Brindisi dalla B2 alla B Eccellenza nella stagione 1993/94.
Il cestista ha ricoperto il ruolo di ala, alto 198 centimetri, atleta che si è sempre messo in mostra sia per le qualità fisiche che tecniche, ma soprattutto per il tiro da tre che lo ha portato a realizzare più di 10.000 punti in tutta la sua carriera e ottenere così il riconoscimento di essere tra i trenta cestisti italiani che hanno raggiunto un risultato simile. Ma soprattutto con 4320 punti è ai primissimi posti della classifica dei migliori realizzatori con la canotta di Brindisi della storia.

I suoi inizi risalgono nelle giovanili della Juve Caserta, storica società del basket italiano, cosa si ricorda maggiormente?
“I ricordi sono tutti piacevoli: ho iniziato a praticare basket molto tardi, a 12 anni, infatti non sono partito dal minibasket. Da allora ho terminato tutto il percorso di giovanili in maglia Caserta. Ricordo che cominciai quasi per caso, mio fratello giocava a calcio, ma nonostante questo, dopo che vidi una partita di pallacanestro, mi appassionai così tanto che iniziai a giocare per divertimento, entrai in una società di quel calibro, era già abbastanza sia per la mia altezza che per quell’età. Con la Juve ho vinto un titolo nazionale “allievi” e ricordo anche che perdemmo due finali nazionali “cadetti”, dopo di che ho giocato un paio di partite in Coppa Italia con la prima squadra per poi essere ceduto in Serie C ad Afragola dove vinsi subito il campionato. Dopo Afragola sono arrivato a Brindisi che per me ha rappresentato la parte più bella e importante di tutta la mia carriera”.

Che squadra trovò arrivato a Brindisi?
“Pentassuglia doveva essere l’allenatore della mia prima stagione, solo che purtroppo andò via e ci allenò Giovanni Rubino. Ho giocato per otto stagioni a Brindisi, dopo le prime due stagioni mi spostai a Potenza per poi ritornare. Il ricordo più bello è quello della stagione ‘93/’94, l’anno del ritorno in maglia biancazzurra, assieme ai miei compagni conquistai una storica promozione in B1 e a livello personale fu anche una sorta di rivincita perché l’anno prima persi la finale di promozione con Potenza. In quella stagione la squadra era sicuramente la più competitiva dell’intero campionato, l’allenatore era Lillo Primaverili, ottimo gestore di un gruppo di fortissima personalità oltre che di tecnica: Frascolla, Dordei, Cordella con un gruppo di giovani già forti e pimpanti come Parisi, Loriga, Della Corte, Zizza, Minghetti, Di Santo; così vincemmo partendo spediti ai playoff contro Lecce prima e con Capri poi. Ricordo molto bene la finale di Capri, fummo protagonisti di due grandissime prestazioni vincendo la prima in casa e chiudendo il discorso promozione in trasferta”.

Oltre i campionati vinti a Brindisi e Caserta è stato protagonista altrove?
“Conquistai altre promozioni, a Cosenza dalla B2 alla B1, a Massafra dalla C1 alla B2, a Matera dalla B2 alla B1; sono ritornato anche a Caserta quando è dovuta ripartire dalla B e alla fine ho chiuso la carriera a Melfi vincendo un campionato di C1. Ho smesso di giocare a 42 anni, non poco per un cestista”.
Dopo trent’anni di basket quanto è stato difficile smettere?
“E’ stato difficile, ma si arriva a un punto nel quale questa scelta va presa perché ci sono i giovanotti che ti saltano addosso. Inoltre sono uno di quelli che pensa che, dopo un certo arco temporale, c’è la necessità di rinnovare perché soprattutto in determinati campionati è inutile far giocare atleti più adulti non dando spazio a quelli più giovani. I giovani credo che, in alcuni campionati come la Serie D o la C, abbiano il diritto di essere protagonisti in mezzo al campo, anche se purtroppo devo dire che oggi con gli stranieri non si capisce più nulla. Quando giocavo io erano tutti campionati di italiani, oggi quando vado ad assistere per caso ad alcuni raduni regionali noto ragazzi di colore già formati fisicamente e tecnicamente, a volte mostrano molti più anni di età rispetto agli altri. E’ diventato molto difficile crescere ragazzi in casa propria perché le società hanno poca voce in capitolo a differenza di prima, quando esisteva il valore del cartellino di ogni singolo atleta, così costruivano settori giovanili con più vigore e selezione”.

Suo figlio, Gabriele, a 25 anni, ha lasciato il basket giocato per dedicarsi alla carriera da allenatore. Lei lo sostiene da Potenza?
“Spero che questa sua seconda carriera gli dia una infinità di soddisfazioni dal punto di vista pratico, perché ritengo che oggi allenare sia molto difficile. Se si ha la fortuna di allenare ragazzi che hanno voglia di lavorare e lottare, il coach avrà un lavoro facilitato e potrà fare le sue scelte con giusti criteri; in caso contrario dovrebbe lottare per amalgamare il gruppo, incitarlo a vincere, quindi sarebbe molto più difficile. Per cui gli auguro di seguire un percorso tecnico semplice dal punto di vista gestionale dei suoi ragazzi, in modo tale da poter avere molte più possibilità di mostrare le sue ottime capacità”.

Da protagonista di una delle scalate cestistiche di Brindisi oggi guarda la Happy Casa in Serie A?
“Seguo con molto piacere e noto che nonostante tutte le vicissitudini societarie Brindisi resista in Serie A; è giusto e logico che una piazza come Brindisi continui a giocare nel massimo campionato italiano perché è sempre stata caratterizzata dalla passione cestistica e dalla voglia dei brindisini di restare ai vertici. Non riesco a vedere una Serie A senza una piazza così importante come Brindisi, nonostante il momento di transizione che sta vivendo. Fino a un paio di stagioni fa sono arrivati molti risultati storici come il titolo di campioni d’inverno, ma il basket è uno sport ciclico, le società cambiano, la piazza resta. Ricordo che a Brindisi in Serie B venivano più di 5000 persone al palazzetto, questo non accade in nessun altro posto in Italia, lo posso affermare con certezza, viste tutte le mie esperienze in Italia”.

A distanza di molti anni la ricordiamo ancora come uno dei migliori tiratori del nostro basket, che effetto le fa?
“Ne sono onorato, per molti anni ho realizzato circa 600 punti a stagione e sono contento di aver condiviso questi momenti con splendide persone con cui ancora oggi ho un ottimo rapporto. Se sono arrivato a realizzare tantissimi punti è stato anche merito della squadra che è stata costruita a Brindisi. Ho messo a segno più di 10.000 punti in carriera, me lo hanno ricordato ultimamente perché da poco è stata stipulata una classifica degli italiani che hanno raggiunto questo traguardo; mi fa onore che la maggior parte di questi punti li ho realizzati proprio a Brindisi, perché è il posto dove ho giocato di più”.

Oggi il basket lo ha completamente abbandonato?
“Con un mio carissimo amico abbiamo fondato una società di minibasket a Potenza, per me non rappresenta un lavoro ma una passione, perché nella vita mi occupo di tutt’altro. Devo dire che ci divertiamo molto e ci occupiamo di circa una novantina di ragazzi iscritti”.