Cuomo, quando il basket a San Pietro era pionieristico

Non è difficile incontrarlo: nel suo ufficio, al 1° piano del Comune di San Pietro Vernotico, sempre presente, sempre indaffarato e, comunque, sempre disponibile a risolvere qualche grana dei colleghi con gli strumenti multimediali di cui è un mago. Il difficile è spostarlo da lì, sia pure per un coffée break ed una breve chiacchierata; bisogna aspettare il pomeriggio quando termina la sua trisettimanale “camminata veloce” di 10 km e può concedersi al dialogo con un vecchio amico prima della meritata doccia. Claudio Cuomo, classe di ferro 1957, tanti centimetri e tanti anni di basket sulle spalle, anzi icona del basket sampietrano, è pronto a ricordare gli esordi della pallacanestro locale “quando ci trasformammo in carpentieri per adeguare un vecchio campo da tennis in cemento alle dimensioni minime di un campo da basket e per costruire le panchine in mattoni e cemento…Ed i tabelloni? una serie di assi di legno accostate, stuccate per renderle quasi uniformi e verniciate di bianco. Che tempi!”. E’ su questo campo sui generis che la U.S.San Pietro – un manipolo di ragazzotti molto eterogeneo – partecipa al suo primo campionato nel 1973/74; Claudio, alto, filiforme, ma con due gambe resistenti, temprate dal duro lavoro in campagna, ne diventa subito il principale protagonista, grazie ad una passione ed una dedizione che saranno d’esempio alle successive generazioni. “Ti ricordi – sospira con nostalgia – quando dopo l’allenamento, al buio, rimanevamo io, te ed Elio Antonucci e, a turno, uno di noi illuminava con il faro del motorino l’1c1 degli altri due? Cose da pazzi: a raccontarla oggi ci prenderebbero in giro”. Ma è proprio quella grande passione che lo porta, 6 anni dopo, alla Libertas Lecce in Serie C/1 con coach Rino Arigliano (“Gli devo molto: mi trasformò da giocatore abituato a giocare spalle a canestro in una guardia tiratrice”) a scalare subito le gerarchie e diventare ben presto da starting five. “Mi assegnarono una sgangherata Fiat 850 celestina – ride divertito – per i miei spostamenti da San Pietro a Lecce, finchè non si creò una piccola colonia di giocatori brindisini in trasferta leccese che passavano a prendermi da casa”. Altri bravi tecnici nella sua esperienza leccese, da Gianni Russo ad Antonio Scoditti a Dino Locato: “ma, senza offesa per nessuno, quello che mi ha dato coach Russo, sia sul piano tecnico che su quello umano, mi è rimasto dentro come una tavola delle leggi per tutta la mia carriera di atleta e di allenatore”. Ma il nostro non abbandona definitivamente la sua San Pietro: si dedica ad un gruppo femminile che plasma a sua immagine e somiglianza e nel 1981 approda trionfalmente in Serie C senza subire l’onta di una sola sconfitta, unica squadra in Italia in quella stagione a stabilire questo record esaltante.
Il connubio Cuomo-U.S.San Pietro diventa definitivo ed esclusivo dal 1984: Claudio torna a casa per mettere su famiglia con la sua Iolanda (una sua atleta, chi altri sennò?),per vincere ancora un campionato (in Serie D nel 1987/88 con coach Francesco Binetti), per dedicarsi completamente al settore giovanile della società (c’è la sua firma su tre titoli regionali femminili negli anni ’90), per condurre la sua pattuglia di giovani più volte alla conquista della Serie B femminile (“mai retrocessi, però – puntualizza – ma dolorosamente rinunciatari della serie superiore per i cronici problemi economici”). Una vita sul campo, fatta di tante soddisfazioni, anche qualche delusione e di tanti aneddoti curiosi: “come quella volta che, nei primi anni di attività, tornando da una partita a S. Vito dei Normanni per una errata manovra del nostro dirigente-autista fummo tamponati da un BMV di grossa cilindrata, una tranvata incredibile, tutti subito fuori dall’auto ma non per valutare i danni e consolare l’autista, come era lecito aspettarsi, ma…per verificare se avessero subito maltrattamenti le varie buste di mandarini che avevamo “raccolto” da un vicino agrumeto. O come quella volta a Potenza che, per accompagnare mia moglie (fresca reduce dal primo parto e già pronta per scendere in campo) mi ritrovai sulle tribune del palasport lucano a dare il biberon a mio figlio, aiutato proprio da tua sorella”. Grandi soddisfazioni, invece, per le formazioni sampietrane pilotate fino alle finali nazionali di categoria giovanile: “si, certamente; ma, credimi, la soddisfazione più grande è vedere che ancora oggi tanti miei ex-atleti mi fermano per strada esprimendomi stima e riconoscenza per gli anni passati appresso a loro. Non ha prezzo!”.
La “terza vita” sportiva di Claudio, dopo quella di atleta e di allenatore, è una naturale conseguenza: “finiti i tempi delle grandi disponibilità a ricoprire incarichi dirigenziali, siamo rimasti in pochi a mantenere in vita questo vecchio giocattolo, che per me era diventato come un quarto figlio. Ed un figlio non si abbandona, soprattutto nel momento del bisogno. Era necessario spartirsi fra campo e scrivania ed io l’ho fatto, assumendo le funzioni che oggi chiamerebbero di general manager, cercando di non ripudiare mai il nostro primo obbiettivo, quello di dedicarci ai giovani”.
Se da due anni il nostro Claudio ha potuto “staccare”, dopo 46 anni di ininterrotta dedizione, dalla palla a spicchi è solo perché – come dice lui – “il 4° figlio è in grado di procedere da solo e perché ci sono altre braccia in grado di sostenerlo nei momenti di difficoltà”; adesso può dedicarsi, con più tranquillità, al lavoro, alla famiglia, alla sua trisettimanale camminata veloce di 10 km. Che ora, dopo la piacevole chiacchierata con l’amico cronista, merita una sacrosanta doccia!