di Alessandro Caiulo per IL7 Magazine
Per chi ha vissuto, a Brindisi, i favolosi anni Settanta – quando ancora si godeva dei benefici del boom economico, l’indotto del petrolchimico garantiva un buon livello occupazionale ed il traffico passeggeri con la Grecia era ancora fiorente dal momento che l’allora minuscolo e disorganizzato porto di Bari non riusciva ad impensierire per niente quello ampio ed accogliente di cui madre natura aveva dotato la capitale messapica – sentir parlare della Gioventù Brindisi o, più semplicemente della Gioventù, non può che provocare un tuffo al cuore ed un mare di ricordi.
Nel momento di massimo fulgore della prima squadra cittadina, il grande Brindisi del commendator Franco Fanuzzi, mister Luis Vinicio e capitan Mario Cantarelli, un gruppetto di amici, appassionati di calcio, Gino Perrone, Angelo Antelmi e Michele Taurisano, fondano l’Unione Sportiva Gioventù Brindisi, in qualche modo sostenuta dall’allora potentissima Libertas dell’onorevole Italo Giulio Caiati, tant’è che i colori sociali che furono scelti e che la caratterizzarono nei primi anni di attività furono il nero ed il giallo, gli stessi dell’allora prima sqaudra cittadina di pallacanestro, appunto la Libertas Brindisi, che disputava al Palazzetto CONI del Casale il campionato di serie A.
La grande scommessa di questo gruppo di amici fu quello di non limitarsi ai campionati giovanili ma di iscrivere, nel 1973, la squadra, composta tutta da giovanissimi brindisini poco più che sedicenni” al “campionato dei grandi”, cioè quello provinciale di terza categoria, un torneo all’epoca combattutissimo e seguitissimo, dove erano presenti tutti i paesi della provincia e più di una squadra del capoluogo.
Sin qui tutto normale, ma la storia diventa quasi leggenda, quando questa squadra tutta made in Brindisi nel giro di pochi anni scalò tutti i campionati provinciali e regionali ed agguantò la serie C fino a sfidare, sul terreno del campo sportivo Comunale di via Benedetto Brin, e battere, proprio quella Brindisi Sport di cui tutti i circa duecento calciatori che negli anni avevano vestito la casacca della Gioventù, erano stati accesi tifosi.
La bandiera di quella squadra fu probabilmente Raffaele De Maria, classe 1955, dieci stagioni consecutive in difesa della porta della Gioventù, il più longevo portiere della storia brindisina. Un’unica maglia, dalla Terza Categoria sino alla serie C. De Maria non era un professionista: faceva l’operaio metalmeccanico. Con la maglia della Gioventù vinse ben cinque campionati.
Raffaele, visto che sei stato protagonista di questa avventura fin dalla sua origine, come nacque la Gioventù?
Dal momento che mister Michele Taurisanosi era sempre cimentato nei campionati giovanili e si era reso conto di avere un ottimo parco giocatori che, per raggiunti limiti di età, pur essendo ancorapoco più che ragazzi, non avrebbero potuto più giocare fra gli allievi o la juniores, per non disperdere questo vero e proprio patrimonio umano, convinse il presidente Gino Perrone ad iscrivere la squadra al campionato di terza categoria.
Che sensazioni provi a ripensare a quegli anni ruggenti ed ai tanti campionati vinti?
Nostalgia per gli anni belli, per i tanti amici e fratelli, più che compagni di squadra, la gioia condivisa per le vittorie, difficile spiegarlo.
Sei rimasto legato a qualcuno degli allenatori che si sono succeduti alla guida tecnica della Gioventù?
Ho sempre avuto un ottimo rapporto con tutti: dal mio primo mister, Taurisano, ad Orlando, da Conte a Fontana, fino a Franzoni in serie C, ma se proprio devo fare un nome, faccio quello di Rodolfo Conte, con cui abbiamo vinto ben tre campionati in appena quattro anni.
Hai modo di rivedere qualche vecchio compagno di Gioventù e rievocare con loro quei tempi?
Si, specialmente quelli con cui ho condiviso i primi successi: Mino Vasile, Marino Bove, Giovanni Corbelli, Francesco Angiulli ed altri ancora, con cui sono rimasto in rapporti di fraterna amicizia.
Come è proseguita la tua carriera calcistica dopo che nel 1983 lasciasti la Gioventù Brindisi?
Ho giocato per tre anni col Carovigno e poi mi sono cimentato anche nella carriera di allenatore per un po’ di tempo. Poi, a dire al verità, mi sono pian piano disinnamorato del calcio: ci girano intorno troppi soldi ed interessi e gente poco affidabile la fa da padrona.
Di cosa ha bisogno il calcio brindisino per poter rinverdire i fasti di un tempo?
Occorrono le persone giuste e motivate in ogni ruolo ed una seria programmazione, cose che da troppo tempo non vedo in questa città.