Il rispetto del coach per gli arbitri, fondamentale per il basket

Mercoledi scorso, a Taranto, al termine di una gara giovanile, mi avvicino – come abituale costume, mio e della società per cui opero – agli arbitri dell’incontro per ringraziarli del loro operato e salutarli. Mi sento rispondere da uno dei due giovani direttori di gara: “coach, mi scusi per qualche valutazione errata”. Una risposta che mi riempie di gioia perché, forse anche per merito della nostra cortesia, quel giovane ha dimostrato di aver superato immediatamente le pressioni e le emozioni a cui poteva essere sottoposto: il rischio di un fallimento, il timore di uno step negativo per le ambizioni personali e, non ultima, l’abusata consuetudine di diventare facile e comodo capro espiatorio per la squadra uscita sconfitta.
E’ finanche lapalissiano che la presenza dell’arbitro sia imprescindibile per l’attuazione del gioco, ma è dalla serenità con cui andrà a gestirlo che dipende in massima parte la buona riuscita dell’incontro. Personalmente ritengo fondamentale, per la determinazione di una corretta armonia in gara, l’operato dell’allenatore. E’ lui che, in primis, incide sul comportamento dei propri atleti, stoppando ogni ed inutile contestazione all’operato arbitrale, per esempio dimostrando che ogni atto di protesta non può certo modificare la decisione assunta, ma anzi produce scarsa tranquillità in tutti i protagonisti e determina un calo di concentrazione che giocatori ed arbitri devono invece conservare per “restare nella gara”. E’ ancora lui che, con un comportamento misurato anche nei confronti dell’errore arbitrale, concorre a non esasperare gli animi degli spettatori presenti. E’ lui, infine, che può contribuire a stabilire quella comunicazione tra i partecipanti che, a mio modo di vedere, è essenziale per la corretta gestione della gara. Una giusta comunicazione – quella, per intenderci, che da un lato non esaspera gli errori di valutazione eventualmente commessi e, dall’altro, non evidenzia il potere sancito dal fischietto – è indubbiamente il mezzo per aumentare il rispetto e la fiducia reciproca. Se gli arbitri apprezzano sicuramente la moderazione e l’equilibrio da parte del coach, gli allenatori di converso si aspettano correttezza e buon senso, oltre che competenza tecnica ed imparzialità, non certo arroganza o atteggiamenti vendicativi e punitivi. Sui nostri campi, invece, si vedono ancora allenatori convinti che comunicare con l’arbitro sia anche la libertà di mettere in dubbio in maniera palese e plateale le sue decisioni; ma anche giovani arbitri che non ricercano affatto un dialogo corretto e si avvalgono solo del fallo tecnico o dei doppi pugni alzati come unica forma di comunicazione con gli altri partecipanti alla gara. E forse è proprio quest’ultimo aspetto comportamentale che dovrebbe essere maggiormente curato e ricercato negli incontri di aggiornamento CIA per i giovani direttori di gara.
Alan Richardson – grande arbitro prima ed esperto istruttore FIBA poi – rammentava che “la dote primaria dell’arbitro deve essere l’invisibilità, ovvero l’abilità di essere efficace senza realmente essere notato”. Mai ammonimento è stato più saggio!
Ecco, tornando alla nostra esperienza di una settimana fa, quel giovane arbitro tarantino è riuscito a rendere invisibili i suoi pochi errori di valutazione, che indubbiamente ci sono stati, come è logico e naturale che sia. Lo ha fatto con discrezione e buon senso, forse aiutato dal nostro atteggiamento collaborativo, dichiarandosi disponibile ad una relazione costruttiva che sicuramente troverà conferma alla prossima occasione. E mercoledì sera non ha vinto una delle due squadre in campo: ha vinto il basket!