di Felice Rizzo per IL7 Magazine
Una frase che ironicamente (…ma non troppo!) ripeto spesso è che “io sono antico” come allenatore, legato cioè a delle abitudini, a delle metodologie, ad una visione del basket che, purtroppo, stento a ritrovare nella pallacanestro di oggi: fisicità, velocità, soluzioni schematiche, sono infatti aspetti un po’ lontani dal mio “mondo” fatto di fondamentali, tenuta atletica, lettura delle situazioni di gioco. Beninteso, non critico chi scelga di usare un altro sistema, ma ritengo che i tre aspetti “antichi” da me citati siano tuttoggi indispensabili nella formazione di un giocatore giovane e nell’allestimento di un gruppo-squadra.
Restando nel campo dell’attività giovanile, vedo molti giovani allenatori lavorare su delle situazioni preordinate, magari soltanto sulla correzione di alcune carenze evidenziate nella gara precedente, non rispondendo ad una programmazione più ampia, legata agli obiettivi generali di società e di squadra, che invece dovrà necessariamente seguire una certa tempistica: preparazione a lunga scadenza, preparazione annuale, preparazione mensile, preparazione settimanale, piano di lavoro giornaliero.
La preparazione a lunga scadenza è, ovviamente, l’indirizzo generale fornito dalla società: credo che un sodalizio lungimirante non dovrà puntare a vincere gare oggi, ma a richiedere in tempi adeguati ai suoi istruttori giovanili una formazione under che possa puntare ad una finale nazionale oppure 2 o 3 elementi da inserire in prima squadra. Indirizzo che il giovane coach non potrà disattendere, perché è su quei giocatori che la società ha investito una parte delle sue disponibilità economiche ed il tecnico è solo uno degli strumenti per realizzare tali aspettative.
La preparazione annuale, invece, è di competenza del coach e dovrà partire, imprescindibilmente, da una attenta analisi della situazione iniziale, conoscere cioè “dove siamo” e “dove possiamo arrivare” alla fine della stagione sportiva; sarà necessario non mettere troppa carne a cuocere da subito, con il rischio di intasare il lavoro ottimale, ma procedere per gradi sia nelle tecniche da realizzare sia nei dispositivi (esercizi) da utilizzare.
La preparazione mensile rappresenta il canovaccio da seguire per la realizzazione degli obiettivi generali richiesti dalla società e di quelli tecnici stabiliti dallo staff nella programmazione annuale; quindi, indubbiamente, è il lavoro che più richiede adeguamenti e correzioni. Devo essere onesto: nelle mie esperienze tecniche non sono mai riuscito a realizzare una programmazione mensile così come l’avevo ideata, perché tanti fattori esterni, non puramente tecnici, possono contribuire a ritardare l’iter formativo (un paio di infortuni, una improvvisa indisponibilità di atleti, una momentanea riduzione degli spazi di allenamento, ecc.). Ma è importante che, sia pure nelle difficoltà e negli intoppi, il programma non venga saltato per la preoccupazione di non completare la programmazione annuale.
La preparazione settimanale è, innegabilmente, il programma che richiede la maggior attenzione da parte del coach, perché da un lato è legata alla realizzazione degli step previsti nei mesocicli, dall’altro non può esimersi dall’affrontare esigenze del momento legate all’andamento del campionato: se, ad esempio, nell’ultima gara disputata la mia squadra ha subito la superiorità a rimbalzo degli avversari, non posso fare a meno di tornare ad un lavoro specifico di tagliafuori ed a rafforzare le motivazioni ad esso collegate.
Si arriva così al piano di lavoro giornaliero che, a mio avviso, dovrebbe seguire alcune indicazioni di carattere generale: la prima, non mettere troppi argomenti nella stessa seduta di allenamento. Non posso proporre in un’ora e mezza di allenamento esercizi per l’uso dei blocchi in attacco, per il tagliafuori difensivo, per la difesa sul pick&roll, e via discorrendo: si rischia di confondere troppo le idee dei nostri ragazzi, che invece devono focalizzare la loro attenzione al massimo su due aspetti per volta. La seconda indicazione: credo sia buona norma comunicare ai ragazzi, in un breve briefing prima dell’inizio dell’allenamento, su cosa verteranno le esercitazioni che andremo a proporre; in tal modo saranno preparati mentalmente ad affrontarle con la dovuta attenzione. Terzo, almeno mezzora di gioco ad allenamento: 3vs3, 4vs4, 5vs5. La “punizione” di negare loro la verifica degli argomenti trattati in reali situazioni di gioco, mi sembra una scelta davvero sconveniente sia per l’entusiasmo degli atleti sia per gli obiettivi che il coach deve perseguire. Quarto, flessibilità: non posso essere rigido nella tempistica degli esercizi proposti (10’ per questo, 8’ per quello…) né fossilizzarmi sulla loro assoluta realizzazione, ma adattarmi alle condizioni del momento (attenzione, comprensione dell’esercizio, stanchezza, ecc.) ed essere pronto anche a cambiare in corsa.
Insomma, la mia cultura da allenatore “antico” mi consiglia di non lasciare spazio alla improvvisazione, ma di impreziosire la propria professionalità con una programmazione concreta, accurata, realizzabile; da conseguire con pazienza, duttilità e, naturalmente, tanto entusiasmo.