New Basket Brindisi, ecco chi tenere o lasciar partire

di Lorenzo Olivieri per IL7 Magazine

La stagione sportiva di Brindisi si è appena conclusa mentre i playoff entrano nel vivo, ma è già tempo di pensare all’anno che viene, perché non esiste pausa per la dirigenza di una società sportiva. Inoltre, dopo una stagione come quella appena trascorsa, in cui si è percepito il disinnamoramento del pubblico verso la squadra, appare logico aspettarsi che la dirigenza si muova in fretta per piazzare qualche colpo fin da subito, in modo da riaccendere la passione e avere solide basi su cui basare una campagna abbonamenti che sembra forse la più complessa di sempre da quando Brindisi è in serie A.
Chi scrive ritiene che la squadra allestita per la stagione 2016-17 fosse a mani basse la migliore su cui poter programmare: piena di scommesse, di giocatori giovani e con caratteristiche adatte all’allenatore che sedeva in pachina, Meo Sacchetti. Purtroppo l’ambiente ha criticato aspramente e a più riprese i risultati un po’ ondivaghi raccolti da quella formazione, nonostante fosse appunto composta per la maggior parte da rookie, e la società, sull’onda di questo malcontento, ha pensato bene di ripartire per l’ennesima volta da zero.
Per quanto la stagione ’17-’18 sia stata, per risultati, la peggiore in serie A per la società pugliese (tolta la stagione della retrocessione), anche in questo roster ci sono buoni elementi dai quali si potrebbe ripartire per avviare un progetto serio. Sia chiaro, non si sta parlando di puntare ai playoff, obiettivo che per una società come Brindisi deve essere semplicemente un surplus, ma di avviare un progetto, tecnico ed economico, che abbia vita leggermente superiore ai dieci mesi di stagione sportiva.
Ovviamente questo articolo prende in esame solo il punto di vista tecnico e dell’apporto in campo, non mette bocca sulle volontà personali dei giocatori o di quelle della società, o su eventuali fattori esterni influenzanti. Fatta questa premessa, vediamo chi sarebbe bene tenere e chi no.
Chi tenere
Mesicek sarebbe il sogno bagnato, ovviamente. Il talentino sloveno ha avuto un miglioramento verticale rispetto all’anno scorso e la sensazione è che non sia stato comunque sfruttato al meglio. Il suo repertorio offensivo è ancora molto grezzo, va in crisi se gli si chiede di ragionare o leggere un aiuto e il suo ball handling non gli consente di essere una minaccia nel traffico. Ha però un’esplosività micidiale e un primo passo fulmineo per un giocatore di quasi due metri, il che gli consente di battere agilmente il suo uomo se attacca in situazioni dinamiche. Durante tutto l’anno ha spaccato le difese avversarie con penetrazioni improvvise arrivando al ferro, senza neanche lasciare il tempo all’aiuto di sopraggiungere. Inoltre è già uno dei migliori tiratori del campionato con il suo 41.5% e questo, unito a quel primo passo micidiale, può essere davvero una combinazione difficile da marcare. Sarebbe bello poter vedere l’evolversi del suo gioco, per quanto è chiaro che un ventenne con quei margini di miglioramento faccia gola a molte squadre -si è anche dichiarato per il draft NBA, anche se pare improbabile un suo futuro negli States, almeno per adesso. Dovesse andar via, comunque, Brindisi potrebbe monetizzare sul buyout, e questa resta comunque una buona notizia, per quanto mera consolazione.
Il giocatore che bisognerebbe tenere “ad ogni costo” è Donta Smith. Il venezuelano è stato vero salvatore della patria, quello che ha fatto fare alla squadra un salto di qualità notevole. Con la sua visione di gioco e la sua esperienza ha dato a chiunque la possibilità di segnare, che fosse su un taglio o da fuori coi piedi a terra. In campo sa fare letteralmente di tutto e nel nostro campionato può essere un difference maker anche a 35 anni. Si spera che la società faccia uno sforzo per tenerlo, altrimenti la partenza di Smith sarebbe una brutta tegola da digerire, sia per il suo talento che per la compostezza con cui è sempre stato in campo.
Tau Lydeka, arrivato in sostituzione di Lalanne, ha dimostrato che nonostante il suo chilometraggio consistente, in serie A può ancora dire la sua e riuscire anche ad essere un fattore. Potrebbe essere un ottimo punto fermo di un reparto lunghi solido, un uomo con esperienza che può “dirigere” i compagni di ruolo e allo stesso tempo essere una presenza forte in campo. Certo, l’ideale per lui sarebbe giocare con un minutaggio controllato, intorno ai 20 minuti di impiego (e Vitucci è stato bravissimo a dosarlo nonostante la rotazione stringata dei lunghi che si ritrovata), in modo da non perdere di efficienza sul lungo periodo.
Iannuzzi, l’ultimo arrivato, ha dimostrato tutti i suoi alti e tutti i suoi bassi nel breve periodo in cui ha giocato per la Happy Casa. Il lungo campano può essere un importante energy guy in uscita dalla panchina e lo ha dato a vedere. Allo stesso tempo, però, ha evidenti limiti in attacco, sia per quanto riguarda l’aspetto strettamente tecnico (non è un giocatore di post e non è un rollante particolarmente efficace, quindi fatica a rendersi pericoloso sia in situazioni statiche che dinamiche), sia per quel che concerne la comprensione generale del gioco. Spesso lo si è visto vagare per la metà campo offensiva alla ricerca di un compagno da bloccare, ottenendo l’unico risultato di ingolfare l’azione, intasare le spaziature e rendere la vita difficile agli stessi compagni che voleva aiutare con un blocco. La sua dimensione ideale sarebbe da quarto lungo, con un ruolo e dei minuti limitati al non far calare l’intensità della squadra quando è in campo la panchina, senza chiedergli di inventare niente in attacco. Al netto di tutto ciò, sarebbe una buona conferma per Brindisi: di lunghi italiani buoni, in grado di stare in campo ce ne sono pochi, e senza contratti esorbitanti ancora meno; inoltre l’avellinese è ancora relativamente giovane e può avere dei margini di miglioramento –come metter su un piazzato dalla media rispettabile?
Un discorso simile vale per Giuri, comunque sotto contratto per l’anno prossimo: finché non gli si chiede di fare il playmaker a tempo pieno, merita un ruolo in uscita dalla panchina come ottavo uomo o giù di lì.
Questi, uniti al sicuro riconfermato Donzelli, il quale si spera riesca a iniziare e concludere una stagione senza fermata obbligatoria in infermeria, costituirebbero un bel gruppo da cui ripartire. Dovesse restare almeno uno fra Mesicek e Smith, ci sarebbe anche una buona base di talento, altrimenti si avrebbe comunque un gruppo mestieranti solidi, che conoscono il campionato e hanno già giocato assieme. D’altra parte le recenti stagioni dimostrano come, visto il livello attuale della nostra serie A, non serva avere chissà quante “star”, per disputare un campionato dignitoso. Basta avere un gruppo solido pronto a fare il lavoro sporco e poi uno, massimo due giocatori che facciano davvero la differenza.
Frank Vitucci ha dimostrato di saper fare un buon lavoro tecnico arrivando in corsa e focalizzandosi sui punti forti della squadra. Sarebbe una buona conferma e, in ogni caso, il rinnovo dell’allenatore è sempre il segno più evidente di continuità tecnica, per una società. Brindisi resta con l’orecchio teso aspettando una conferma da parte del coach.
Alessandro Giuliani, quasi certamente dato per partente, sarebbe invece l’uomo da tenersi stretto. È grazie a lui se a Brindisi, negli ultimi anni, si sono visti fior di giocatori, che hanno calcato poi palcoscenici importanti in Europa e nel mondo. Un GM in grado di lavorare con le scommesse e coi rookie è l’ideale in una squadra senza più un grosso sponsor alle spalle come Brindisi. Certo, la società avrebbe dovuto sfruttare meglio le scommesse vinte da Giuliani, sia monetizzando che costruendo per il futuro, entrambe cose che non sono praticamente mai state fatte. Come se ciò non bastasse, pare anche che la dirigenza abbia iniziato una sorta di guerra subdola contro il suo stesso GM, facendo ricadere su di lui gran parte delle colpe di una stagione difficile come l’ultima. Di sicuro lo vedremo fare le fortune di qualche altro club.
Chi non tenere
Cardillo: chiaramente non è un giocatore da serie A, e l’etichetta di difensore che si è appicciato addosso è dovuta più all’energia che ci mette che alla sua effettiva efficacia. L’abbiamo nominato per primo perché in realtà è borderline: al minimo salariale di lega e impiegato solo in circostanze situazionali –quando serve un fallo- può anche avere senso tenerlo. Altrimenti meglio muoversi oltre.
Scott Suggs è sempre stato altalenante in tutto il campionato: offensivamente ha alternato buone prestazioni ad altre mediocri, intervallate da alcune assolutamente impalpabili. Le sue caratteristiche rendono difficile collocarlo in un attacco organizzato: cosa sa fare davvero Scott Suggs con la palla in mano? Da oltre l’arco è stato un tiratore mediocre, chiudendo la stagione con appena il 31% da 3; in penetrazione non è mai stato realmente pericoloso, un po’ per la sua stazza fisica, un po’ perché ha la tendenza a palleggiare fin troppo sul posto prima di attaccare. Le uniche soluzioni che sono sembrate più o meno affidabili sono state dei tiri dalla media presi dal palleggio. Stiamo parlando di tiri ad alto coefficiente di difficoltà che nel basket moderno trovano sempre meno spazio, e questa sarebbe la sua migliore arma. Per carità, un giocatore in grado di segnare tiri difficili ed estemporanei può anche essere utile, ma Suggs non ha neanche quel tipo di talento e di instinct killer per poter fare solo quelle giocate. In ogni caso, non avendo un ruolo e un minutaggio così estesi come li ha avuti in questa stagione.
In difesa invece è sempre stato un non-fattore. Non ha mai mostrato l’attitudine né la concentrazione necessaria per essere un difensore efficace e questo, unito al fatto di essere un esterno leggerino, ha sempre rappresentato un’opportunità da sfruttare per gli avversari. Tutto sommato, si può puntare a qualcosa di meglio e con caratteristiche più definite.
Milenko Tepic, l’uomo che avrebbe dovuto portare esperienza, è stato un oggetto misterioso per buona parte della stagione. Privato di qualsiasi tipo di velocità e atletismo, e con un orrendo 20% da tre di media, tutto ciò che gli è rimasto è un po’ di gioco in post contro avversari più leggeri e meno esperti di lui. Forse un po’ poco, anche perchè mandare un esterno in post è una soluzione estemporanea utilizzata per punire alcuni accoppiamenti, non può essere un’arma fissa. La sua effettiva utilità è stata dubbia, se si escludono poche partite in cui è riuscito davvero a sfruttare questo suo punto di forza. L’utilità invece è stata nulla nella metà campo difensiva, in cui, come Suggs, è stato attaccato a ripetizione dagli avversari. Anche qui, come per Suggs, forse è possibile trovare alternative migliori.
Infine arriviamo a Nic Moore. Il beniamino di molti tifosi brindisini. Il suo ritorno è stato accolto con molto positivismo e le sue prime uscite avevano anche riconfermato l’ottima impressione che aveva fatto a Brindisi lo scorso anno. Nel corso della stagione però, le sue prestazioni sono calate drasticamente. La percentuale da tre punti che lo aveva incoronato come miglior tiratore della passata stagione, si è ridotta dal 47% al 33% di quest’anno. Posto che il 47% da oltre l’arco sia una statistica irreale (fra l’altro con Sacchetti, Moore tirava anche più volte a partita rispetto a questa stagione), tirare col 33% lo rende un giocatore molto più normale e difendibile. Infatti la sua produzione offensiva generale ne ha risentito e con questo, probabilmente, anche la sua tenuta mentale. Più volte, infatti, Moore ha dimostrato grossi limiti anche nel controllare mentalmente le partite, cosa che ad un playmaker è richiesta. Spesso ha ceduto ai nervi prendendo soluzioni forzate o commettendo falli stupidi che l’hanno poi messo completamente fuori gara, lasciando la sua squadra in difficoltà. È anche comprensibile la difficoltà dovuta al cambio di ruolo, passando dall’essere principalmente un facilitatore per attaccanti dotati come M’Baye e Carter all’essere la principale bocca di fuoco della squadra, soprattutto dopo la partenza di Lalanne.
Anche Moore, in realtà, sarebbe da considerare borderline, perché tenuto conto dei suoi limiti, è un giocatore che può dare il suo contributo ed è ancora relativamente giovane, con margini di miglioramento. Verosimilmente non è il tiratore straordinario che ha dato l’impressione di essere la passata stagione, ma neanche il tiratore mediocre che è sembrato quest’anno, e un’ulteriore maturazione da parte sua potrebbe portarlo ad assumere maggiore leadership in campo in qualità di playmaker. A fronte di un’annata sicuramente difficile, sarebbe una riconferma con grossi pro e grossi contro.