Arturo Pérez-Reverte: tra romanzo storico e thriller

“Leggendo i miei libri, la gente deve soltanto incuriosirsi, poi deve andare a cercare altri libri per capire la storia. E questo va fatto con rigore. Io lo faccio. Però non ricostruisco la storia, la uso invece per illustrare il presente, per capire e far capire di più il mondo” (Arturo Pérez-Reverte)

“L’Europa di oggi si trova al termine di un ciclo. Davanti a questa situazione due sono le possibilità: la disperazione dell’idiota o la consolazione della cultura. La cultura, quella vera, è dannatamente importante. Non ci metterà in salvo dal disastro, ma come un analgesico ci permetterà di sopportarlo meglio” (Arturo Pérez-Reverte)

Alcuni anni fa (doveva essere il 2000) Corrado Augias, in una recensione, scriveva “C’è uno scrittore spagnolo che assomiglia al miglior Spielberg più Umberto Eco. Si chiama Arturo Pérez-Reverte”.

Il libro in questione era “Capitano Alatriste”, primo capitolo di una lunga saga, ambientata nella Spagna del 1600, che ha come protagonista, appunto, lo spadaccino Diego Alatriste, al quale molti critici, fin da allora, pronosticarono un futuro da bestseller, come in effetti poi è stato.

Attratto da una simile presentazione e appassionato dei romanzi di cappa e spada (forse perché mi riportano nel territorio di sogno delle mie letture adolescenziali o forse perché vorrei essere coraggioso come D’Artagnan e compagni…), lessi quel romanzo e poi, pian piano, acquistai e divorai tutti i libri di Arturo Pérez-Reverte che diventò ben presto il mio scrittore preferito.

Prima di dedicarsi esclusivamente alla scrittura, Arturo Pérez-Reverte è stato per circa venti anni reporter di guerra (seguendo vari conflitti, dalla guerra di Cipro a quella delle Falkland, a quella del Golfo, sino alla guerra nei Balcani) e naturalmente quella intensa e dura esperienza ha segnato la sua produzione, soprattutto quella iniziale (particolarmente belli sono “L’ussaro” e “Territorio Comanche”), nella quale mette l’accento soprattutto sui temi del sacrificio dell’eroe, dell’avventura, dell’amicizia, e su quello, eterno, della insensatezza della guerra, di ogni guerra, della drammatica universalità di tutti i conflitti (“Da Troia a Mostar o a Sarajevo si tratta sempre della stessa guerra”).

Nei romanzi successivi, Pérez-Revert si muove magistralmente tra romanzo storico e thriller, mescolando e fondendo abilmente, con uno stile elegantissimo, la Storia con l’invenzione, mettendo accanto ai Grandi della Storia (Napoleone, Filippo II, il conte di Buckingham, il famoso commediografo Lope De Vega, gli illustri poeti Francisco de Quevedo e Calderon de la Barca, tra i tanti) personaggi complessi e affascinanti creati dalla sua inesauribile fantasia (oltre al capitano Alatriste, “eroe”  picaresco e malinconico, tra gli altri, il “cacciatore di libri” Lucas Corso nel celeberrimo “Il club Dumas”, la giovane restauratrice Julia ne “La tavola fiamminga”, Lorenzo Quart, giovane sacerdote, genio dell’informatica e agente dei servizi segreti vaticani, in “La pelle del tamburo”, il camionista Manolo e la giovanissima Maria che legge le avventure dei pirati e sogna di vedere il mare, protagonisti di una sorta di favola moderna – “Una questione di onore” – di fate e pirati, di buoni e cattivi, trepidante di azione di un umorismo agrodolce e disperato) e costruendo storie avvincenti, ricche di suspense ma anche di una erudizione mai pedante (qualcuno ha parlato anche di “thriller culturali”).

Straordinaria è la capacità di questo scrittore di trasportare il lettore, in virtù di una ambientazione vivida e puntuale, in un altro tempo, di far rivivere la Storia nel gioco narrativo, sul solco della migliore millenaria tradizione della romanzo storico e d’avventura (da Omero, a Melville, a Dumas).

Se la serie dedicata al capitano Diego Alatriste (del quale Bruno Arpaia ha detto: “Che personaggio! Se Dumas l’avesse conosciuto, non avrebbe esitato a farne il quinto moschettiere”), offre, oltre al fascino dell’avventura, un perfetto ritratto della Spagna, ormai sulla via della decadenza, del Siglo de oro, gli altri romanzi di Arturo Pérez-Reverte visitano varie altre epoche, talvolta con suggestivi rimandi tra presente e passato.

Altri  fondamentali elementi nella scrittura di Pérez-Reverte sono la grande passione per il mare e per la navigazione che fa capolino in diversi romanzi (“La carta sferica”, “Corsari di levante”, “L’oro del re” tra gli altri), rivelando una speciale capacità di coniugare, come ha scritto El País, l’incanto di una storia ben raccontata con la descrizione precisa di “ombrinali di sottovento, mura di babordo, alberi di penna e di tutte le stelle che guidano i marinai”, e la capacità di tratteggiare in modo efficacissimo la psicologia dei personaggi.

Significativamente lo stesso scrittore ha detto: “C’è un’opinione sbagliata per cui la letteratura deve necessariamente essere profonda e noiosa, oppure divertente e superficiale. Questo è falso: deve essere insieme profonda e amena, deve far riflettere e divertire…”, con ciò esemplificando la sua idea della letteratura, idea che riesce perfettamente a realizzare nei suoi romanzi.

Tra i tanti (li consiglio tutti!), mi piace segnalare in proposito “L’ombra dell’aquila”. Il breve romanzo narra una storia basata su un fatto realmente accaduto. Durante la campagna di Russia del 1812, in un combattimento avverso alla truppe napoleoniche, un battaglione di vecchi prigionieri spagnoli, arruolati forzatamente nell’esercito francese, tenta di disertare, passando dalla parte dei russi. Interpretando in maniera sbagliata il movimento degli spagnoli che si dirigono verso le linee nemiche, l’Imperatore lo scambia per un atto di eroismo e ordina in loro aiuto una carica di cavalleria che avrà conseguenze impreviste. Con tono tragico (la guerra…) e, al medesimo tempo, divertente (la tagliente ironia e il feroce sarcasmo rendono ridicoli Napoleone e i suoi generali strappando al lettore più di un sorriso), qui Arturo Pérez-Reverte offre, una volta di più, una cruda e  sferzante visione della guerra e della condizione umana. Un romanzo breve che è un piccolo capolavoro, che, appunto, diverte ma fa anche pensare, e molto.

Michele Bombacigno