Biblioteca De Leo: visite guidate dai tetti della città alle cripte. Tra storia e arte

di Alessandro Caiulo per il7 Magazine

A volte, per scoprire dei veri e propri tesori, meno conosciuti in quanto fuori dal normale circuito turistico, presenti nel nostro territorio, ricco di storia, monumenti ed opere d’arte, non c’è nemmeno bisogno di prendere l’auto o altro mezzo di trasporto in quanto li abbiamo in città. Averli potuti riscoprire sotto la sapiente e, al tempo stesso, leggera guida di personale altamente qualificato e su iniziativa dell’ente culturale più antico e prestigioso che abbiamo a Brindisi, vale a dire la Biblioteca Arcivescovile A. De Leo, è veramente il massimo a cui si possa aspirare, anche perché, nel caso concreto, si tratta di beni di competenza proprio della Curia brindisina, vale a dire il Romitorio dei Vescovi e la chiesa e sottostante cripta di Santa Lucia.
Mentre per quanto riguarda la chiesa di Santa Lucia – un po’ meno l’omonima cripta –, anche se ne viene sottovalutata la ricchezza e peculiarità storica ed artistica, tutti quanti la conoscono, quanto meno perché fino a pochi anni fa è stata una storica parrocchia del centro, ora declassata a semplice rettoria, discorso diverso è per il Romitorio, vero oggetto misterioso per la stragrande maggioranza dei brindisini, edificato tre secoli fa sui resti di una torre medioevale in cima al quasi inaccessibile tetto del Palazzo dell’Episcopio, a fianco alla Cattedrale. Si tratta, come dice la parola stessa, che rievoca gli antichi eremi, di un luogo appartato, assolutamente non aperto ai comuni fedeli e neanche a gran parte del clero, in cui i vescovi di Brindisi per un paio di secoli si sono andati a ritirare per meditare in santa pace.
Regista a fautrice di queste visite guidate, che segnano una grande apertura della biblioteca arcivescovile alla città, è la sua direttrice, la dott.ssa Katiuscia Di Rocco che ha anche gentilmente acconsentito a rispondere a qualche nostra domanda.

Cominciamo non dalle recenti visite al Romitorio dei Vescovi ed alla chiesa e alla cripta di Santa Lucia, ma un po’ più da
lontano; potresti, a beneficio dei lettori, parlarci della Biblioteca Arcivescovile Annibale De Leo, di cui sei direttrice, delle sue origini, le sue peculiarità, i suoi servizi e le sue attività passate e presenti?
“La biblioteca pubblica arcivescovile è stata fondata nel 1798 (ne conserviamo le tavole in pergamena) da un sacerdote, poi arcivescovo, Annibale de Leo (1799-1814), assolutamente illuminato che aveva stabilito che la biblioteca dovesse essere pubblica, posta al piano terra del suo palazzo e con una forma giuridica di “fondazione”. In buona sostanza si tratta di una biblioteca a giurisdizione arcivescovile, privata quindi, ma pubblica nella fruizione per statuto di fondazione. Annibale de Leo è stato lungimirante per tanti motivi, noi qui abbiamo pergamene (la più antica dell’anno Mille ed una a firma di Federico II), incunaboli, codici miniati, libri di battesimo a partire dal 1473, visite pastorali del XVI secolo, platee, 53 libri posti all’Indice che lui volle acquistare e avrebbe dovuto denunciarli e sarebbero finiti al rogo, lui invece no, li acquista, li tutela li protegge perché de Leo sosteneva di dover conoscere per avere la possibilità di rispondere ai detrattori nella maniera opportuna. Inoltre, in biblioteca è possibile consultare l’archivio storico diocesano con i suoi interessantissimi fondi archivistici (tribunale ecclesiastico, benefici, monasteri, etc.).
La nostra è una biblioteca un po’ “strana”, particolare, nel senso che deve essere sia una “consueta biblioteca” e quindi conservare e acquistare libri, catalogare il patrimonio librario e l’ emeroteca, effettuare il prestito domiciliare e interbibliotecario, consentire l’accesso al pubblico e avvicinare i più piccoli al mondo dei libri. Inoltre, è fondamentale custodire e rendere fruibile il proprio patrimonio antico, con registri linguistici adatti e diversificati a seconda dell’utenza, il tutto sempre con un grande rigore scientifico in considerazione del materiale che è conservato all’interno, stando attenti anche al mantenimento della temperatura ed umidità adatte e monitorando la sicurezza del luogo. Quello che è difficile far comprendere è che oggi l’uno non può assolutamente annullare l’altro. Non si può aprire ai ricercatori e non curare l’infanzia o l’adolescenza. I bambini devono amare la lettura, devono capire che cosa significhi leggere in modo da definire uno spirito critico forte, devono capire che la biblioteca non è un luogo stantio dove annoiarsi. Il silenzio profondo che in alcune circostanze a qualcuno può essere piacevole, alla maggior parte dei giovani determina un’idea quasi lugubre. Non è questo. Abbiamo attivato laboratori per bambini, facciamo alternanza scuola lavoro, messe alla prova e servizi di pubblica utilità, tirocini universitari, visite guidate, mostre, presentazione di libri, “human library”. Negli anni abbiamo istituito due nuovi fondi librari uno sulle mafie e una sulla letteratura di genere. Le motivazioni sono state diverse: il fondo sulla letteratura di genere che consta di circa 1200 libri, nasce da un’assenza totale di testi su tale argomento qui in biblioteca. Per il fondo sulle mafie, l’idea è nata durante un laboratorio con una quinta elementare: un bambino che aveva visto una fiction mi chiese: “che cos’è la mafia?” Mi resi conto che non avevamo testi che ci potessero aiutare. Da qui l’idea di mandare una mail a case editrici, scrittori, giornalisti per costituire un fondo libraio e cercare un’intitolazione. Quello sulla storia delle donne è stato intitolato ad una storica brindisina poco conosciuta, Giulia Poso, che ha scritto molto sulla storia risorgimentale alla fine dell’Ottocento, per il fondo sulle mafie abbiamo scelto il nome di Angelica Pirtoli, uccisa dalla SCU all’età di due anni in un casolare tra Parabita e Casarano. E’ il sapere che dà gli strumenti necessari, gli unici. I fruitori sono cambiati negli anni, quando sono arrivata erano storici locali, docenti universitari, pochi studenti che svolgevano tesi, qualche scuola che si affacciava. Oggi gli utenti sono vari, ovviamente parliamo del pre pandemia. C’erano i ragazzi che venivano a studiare, che facevano l’alternanza scuola lavoro, dottorandi, ricercatori, professori universitari, tesisti, moltissimi studiosi di scuole superiori che facevano ricerche su argomenti specifici, c’era la popolazione locale, e non solo, per ricostruire gli alberi genialogici, insomma chiunque si voglia affacciare ad una documentazione che ormai è veramente molto vasta e non solo antica. Il patrimonio negli anni è anche notevolmente aumentato attraverso importanti donazioni librarie come quella della biblioteca di Beppe Patrono, ben 30.000 libri di storia, politica, filosofia, e poi con il fondo emergenza con il quale abbiamo potuto acquistare l’anno passato e quello in corso quasi 10.000,00 euro di testi moderni”.

Tornando al presente ed alle belle visite guidate in due posti unici ma, incredibilmente, poco conosciuti anche dai brindisini, come è nata l’idea di questo servizio assolutamente gratuito per i cittadini, ma ovviamente con un costo interamente a carico della Biblioteca De Leo, e vi è stato un buon riscontro da parte dei visitatori?
“Credo che la prima visita guidata organizzata dalla biblioteca risalga al 2016 sempre utilizzando guide turistiche accreditate dalla Regione Puglia. La nostra particolarità sta nell’aggiungere al racconto storico artistico la narrazione di avvenimenti poco noti, “chicche”, venute fuori dallo studio dei migliaia di documenti conservati nella nostra biblioteca-archivio. L’idea è quella di responsabilizzare i cittadini ed i turisti al rispetto dei luoghi creando un rapporto affettivo legato ad un racconto specifico. I luoghi parlano delle persone che vi hanno vissuto, negli edifici storici si possono ascoltare le richieste accorate, le lacrime di gioia e tristezza, si possono immaginare sulla scorta di fonti storiche vere e consultabili legami che possono essere politici o familiari o sentimentali. I visitatori non sono mai gli stessi. In pochissime ore raggiungiamo il numero prestabilito di massimo 25 persone, un numero fondamentale anche per rendere più “ascoltabile” il racconto e purtroppo vi sono sempre utenti che restano fuori dalle prenotazioni”.

Ho avuto modo di apprezzare la maniera semplice ed al tempo stesso sia approfondita che frizzante, con cui Paola Barbieri, nella visita al Romitorio ed Annamaria Mita a Santa Lucia, hanno guidato queste visite, spesso frammezzate da tuoi personali interventi, il tutto all’insegna della spontaneità che non è sinonimo di improvvisazione ma rende il tutto godibile e familiare; vuoi spendere qualche parola per evidenziare il gran lavoro che devono fare le “tue” guide turistiche per tenere alto l’interesse del visitatori?
“Le guide fanno un lavoro importantissimo: nostra è l’idea e parte del materiale, noi scegliamo la data ed il luogo più o meno noto, ma poi facciamo sopralluoghi insieme, ci confrontiamo e approfondiamo prima dell’incontro. Si tratta molto spesso di percorsi inediti che le guide devono appositamente studiare per l’occasione richiesta. Ho sentito il termine “spontaneità” e “clima familiare” e questo mi riempie il cuore di gioia, perché prima dei luoghi ci sono le relazioni umane che vanno curate e stimolate. Non siamo estranei nessuno di noi lo è”.

Fra i tanti luoghi di interesse storico, turistico e culturale che ci sono nel nostro territorio ce ne è qualcuno a te particolarmente caro e che potrebbe essere valorizzato maggiormente?
“Il cimitero monumentale e non intendo la parte dedicata ai caduti delle due Guerre Mondiali, ma a tutta la prima parte costruita nella fine dell’Ottocento: le tombe delle prime famiglie brindisine, quelle dei viaggiatori tedeschi, inglesi, francesi, greci sono meravigliose. Le scelte stilistiche, le iscrizioni raccontano non solo il gusto dell’epoca, ma affetti familiari importanti”.

Una domanda è d’obbligo a Katiuscia Di Rocco la “bibliotecaria”; tutti quanti conosciamo il tuo amore per i libri e sappiamo che alla “De Leo” ce ne sono veramente di incredibilmente rari, ne vuoi citare qualcuno che non ti stancheresti mai di sfogliare?
Quest’anno ho raggiunto i diciotto anni alla direzione della Biblioteca De Leo e ho moltissimi ricordi. L’inizio è stato difficilissimo e complicato perché non ho un cognome brindisino, mio padre è abruzzese e arrivato qui nel 1965. Sono nata a Brindisi, ma ho imparato il dialetto molto tardi, così come a mangiare i frutti di mare crudi. Insomma nella biblioteca, culla della tradizione e della cultura brindisina, trovare una persona non riconosciuta come “brindisina” per via del cognome spiazzava ed infastidiva un pochino. Ricordo difficoltà anche perché ero una donna peraltro di appena trent’anni. Se ho avuto paure? No. Ero molto innamorata e fiduciosa della ricerca storica e del potenziale della biblioteca De Leo. Ho pensato solo che bisogna “fare” e fare tanto. Bisognava catalogare, perché senza catalogazione non si conosce il patrimonio, e se non conosco bene ciò che ho non posso usarlo a pieno. Prima di approdare alla direzione nel 2003 per dieci anni tra volontariato e piccoli contratti avevo avuto modo di conoscere bene il patrimonio della De Leo. Venivo fuori da borse di studio, assegni di ricerca anche con l’Ecole Francaise e il dottorato. Mi riconoscete un amore sviscerato per i libri…no, la mia è sempre stata una curiosità fortissima di conoscere, sapere luoghi, avvenimenti, individui sul versante logico e con un nesso causale, capire probabilmente il sentimento, il dolore, la gioia. E’ quindi questa curiosità che mi ha spinto a leggere. Non ricordo il primo libro letto. Ne ho letto davvero tanti, un po’ per diletto, un po’ per curiosità, molti per professione e di ogni testo ne ho fatto una specie di indagine introspettiva. Leggere era ed è un modo per capire e conoscere me stessa e attraverso me stessa conoscere e capire gli altri. I libri sono stati un tramite, un mezzo, per giungere all’altro da me. Credo non ci siano altre speranze. La dannazione è che chi questo mondo lo può salvare, purtroppo, chi prende le decisioni, chi fa politica molto spesso strumentalizza la cultura. Nei decenni passati non si è investito nei luoghi che veramente potevano cambiare il mondo: le biblioteche, gli archivi, i musei, la scuola, i siti archeologici. Sono quei luoghi che consentono ad una comunità di crescere. La gente deve apprendere con lentezza e deve abituarsi al rispetto. La politica non ha investito sull’uomo. Credo sia necessario continuare a costruire il futuro partendo sempre da un presupposto: la competenza non è l’autorità, i luoghi della cultura devono essere dei luoghi di dialogo, di conversazione non di pesca a strascico, non dobbiamo portarci chiunque e chiunque non può fare qualsiasi cosa. Il luogo biblioteca ci dà la possibilità di informarci su tutto, di scavare, di trovare i documenti originali, di capire, ci dà migliaia di libri da consultare. La verità è che probabilmente non esiste più un’identità culturale e con lo straziante campanilismo che si continua a fare non si và in realtà in nessuno posto, ma si gira in tondo mordendosi la coda. Dobbiamo iniziare ad accorciare le distanze, rispettando le differenze e comprendendo che ormai siamo un insieme di gruppi sanguigni che circolano: non esiste più una città esistono migliaia di città in una città, migliaia di etnie e migliaia di vite e migliaia di storie che devono essere raccontate. Però un mio libro preferito esiste: libro di battesimi del 1570 che sarà punto di partenza della prossima mostra della biblioteca il 27 novembre”.

Cosa è cambiato con la pandemia?
“Beh sicuramente il freno che c’è stato a marzo 2020 è stato sconvolgente, non se l’aspettava nessuno. Il momento, forse più brutto è stato la seconda chiusura a novembre: si respirava l’aria di più forte incertezza e di inutilità di quanto fatto fino a quel momento. Da maggio avevamo organizzato il contingentamento, gel, mascherine, sanificazione. Pensavamo sarebbe bastato. Era come respirare un’aria di profezia dell’estinzione e quei giorni a ridosso del dpcm tra le persone che venivano, telefonate, le mail era come dire “oddio che cosa accadrà ora?”. Era come recitano i versi “del doman non c’è certezza”. Così veramente tra una notte e un giorno mi sono immaginata “La biblioteca a domicilio”. Una nostra volontaria, iscritta a varie associazioni ha iniziato ad effettuare consegne a domicilio in bicicletta, anche se presto è stato chiarito che le biblioteche e gli archivi non erano omologati ai musei, potevamo quindi restare aperti se riuscivano a rispettare tutte le norme anticovid, abbiamo comunque lasciato ai nostri fruitori una doppia scelta cioè: chi voleva la consegna a domicilio ne usufruiva, in bici sempre, chi poteva e voleva venire biblioteca poteva farlo prenotandosi via mail. Poi abbiamo attivato l’iniziativa dei “Bebè libri”, un libro di favole in dono per tutti i bimbi nati durante la pandemia. Non un classico libro di stoffa con cui il bambino può giocare nel bagnetto, ma un vero e proprio testo di fiabe per la notte che i genitori dovevano leggere ai loro piccoli: è un po’ come spegnere le cattive notizie, non ascoltare la televisione, il telefonino, ma guardarsi solo negli occhi traendo nutrimento l’uno dall’altra o l’altra dall’altra. Il tutto con l’idea costante che la biblioteca sia un presidio di mutazione, come una presa di coscienza perché in realtà le biblioteche credo siano veramente l’ultimo baluardo di democrazia: i libri non si pagano, ma vengono presi in prestito. In fondo una biblioteca è nemica dell’immobilità, è come un gioco di prospettiva che bisogna attuare contro qualsiasi falso movimento e contro le illusioni ottiche. Insomma non ce la siamo sentita di attendere il verdetto catastrofista è come dei cuentacuentos, cioè come dei raccontastorie abbiamo continuato a raccontare la storia di questi secoli, fatta di ansie, paure, timori, confusione e sospensione. E’ crollata l’idea di avere il controllo serrato della realtà. Abbiamo cominciato ad avere paura, ma anche bisogno di incontrare l’altro. Oggi sono cambiati completamente i ritmi della quotidianità lavorativa, cerchiamo di fare quanto più possibile, ma lavoriamo moltissimo con le richieste via mail e scansioni. Stiamo però riprendendoci “la normalità”, tirocini in presenza, consultazioni dirette di testi, scolaresche in biblioteca perché noi siamo individui in una collettività e non cresciamo come singoli, cresciamo con gli altri. Sono convinta che solo in questo modo possiamo salvare e costruire la memoria, superare questa condizione di esilio e di solitudine nella quale ci troviamo, questa sorta di inquietudine verso il futuro”.