
di Gianfranco Perri per il7 Magazine
La “Regina Margherita” era una regia nave da battaglia, gemella della “Benedetto Brin”, ed in quella notte tempestosa di 105 anni fa, tra l’11 e il 12 dicembre del 1916, uscendo dalla baia di Valona diretta a Taranto, urtò due mine ed in pochi minuti s’inabissò con il suo comandante e con 674 dei 950 militari che erano a bordo: tra le tante vittime che restarono disperse, nove marinai brindisini: Carlo Borioni, Francesco Caforio, Angelo Magliano, Salvatore Nani, Cosimo Taliento, Lorenzo Tevere, Cosimo Toma, Giacinto Ungaro e Giuseppe Villani.
La nave era stata impostata nel 1898 nell’Arsenale di La Spezia, varata nel 1901 e consegnata alla Regia Marina nel 1904. Il suo dislocamento normale era di 13.427 tonnellate, quello a pieno carico di 14.574 tonnellate. Era lunga 138,6 metri, larga 23,8 e con un’immersione di 8,9 metri. L’apparato motore era composto da 28 caldaie che alimentava due motrici alternative che sviluppavano un potenza di 20.000 cavalli per una velocità di 20 nodi. L’unità era stata consegnata alla Regia Marina il 14 aprile 1904 e l’11 maggio dello stesso anno a La Spezia le era stata assegnata la bandiera di combattimento dalla Regina Margherita in persona.
Fino al 15 dicembre 1910 la maestosa nave da battaglia rivestì il ruolo di nave ammiraglia della flotta e nel dicembre 1908 e nel gennaio 1909, partecipò attivamente alle operazioni di soccorso delle popolazioni di Messina e di Reggi Calabria colpite dal terremoto. Partecipò quindi alla guerra italo-turca del 1911-12 con azioni nel Bosforo e prendendo parte alla presa dell’isola di Rodi ed all’occupazione del resto del Dodecaneso. Nei primi mesi del 1913, la “Regina Margherita” fu assegnata alle forze navali destinate alla sorveglianza nel Mediterraneo Orientale ed alla protezione delle isole occupate in Egeo.
Nel 1915 la regia nave Regina Margherita fu in prima linea nella operazione di salvataggio dell’esercito Serbo partecipando al traghettamento da Valona a Brindisi dei profughi e dei militari serbi con anche la loro cavalleria. Durante quelle traversate ci furono diverse perdite di navi italiane, sia militari che mercantili, giacché le forze austriache riuscirono a disseminare numerose mine anche nel canale di mare che collegava Brindisi con Valona.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, nell’ambito della strategia navale di blocco del canale d’Otranto e della baia albanese di Valona, la “Regina Margherita” ebbe inizialmente assegnata come base Brindisi. Quindi, nell’aprile del 1916 si spostò presso la dirimpettaia base navale italiana che si trovava nell’isola di Saseno all’ingresso della baia di Valona. Posta dunque a difesa del campo minato della baia di Valona, l’unità da battaglia italiana, al comando del capitano di vascello Giovanbattista Bozzo Gravina, assunse le funzioni di nave ammiraglia di divisione con l’insegna del contrammiraglio Cusani Visconti.
Nel mese di dicembre 1916 fu disposto che la “Regina Margherita” rientrasse a Taranto per il normale ciclo di lavori di carenaggio in bacino. In considerazione delle pessime condizioni atmosferiche e del mare in tempesta, l’11 dicembre il viceammiraglio Enrico Millo, comandante del porto di Valona, diede l’ordine di salpare per Taranto rimettendo alla decisione del comandante Bozzo l’orario della partenza. E questi, verso le nove di sera dello stesso giorno, osservando che la tempesta si stava placando, diede ordine di levare le ancore e dirigersi verso l’uscita della baia.
La potente unità era scortata dai cacciatorpediniere Ardente ed Indomito e si avviò a manovrare nel corridoio tracciato tra i campi minati della baia. All’improvviso, nel tratto di mare tra l’isola di Saseno e punta Linguetta, la nave incappò in due mine che provocarono esplosioni, sia da sinistra nel deposito delle munizioni di prora e sia da destra al centro nave in corrispondenza del locale apparato motore. Le esplosioni lasciarono la nave senza governo e, mentre proseguendo con abbrivio si appruava, molti degli uomini superstiti ebbero il tempo di riunirsi a poppa ma, per breve tempo. Dopo soli 5 minuti dalle esplosioni, la nave si inabissò di prua portando in fondo al mare il comandante Bozzo e 614 uomini dell’equipaggio.
Finì in fondo al mare anche il generale Oreste Bandini, comandante del XVI Corpo d’Armata operante in Albania, a bordo perché doveva rientrare in Italia. Si salvarono solo 275 uomini, 18 ufficiali e 257 marinai, grazie ai soccorsi dei due cacciatorpediniere di scorta. Le pessime condizioni del mare, altrimenti, avrebbero fatto scomparire tra i flutti l’intero equipaggio della “Regina Margherita”.
Questo il comunicato ufficiale del tragico evento: «Per quanto siano venuti a mancare quelli che avrebbero potuto spiegare con tutta esattezza il succedersi dei fatti, pur nondimeno essi possono ricostruirsi con la necessaria precisione nella loro tragica semplicità e si può subito affermare che la perdita della nave non devesi attribuire a dolo o ad insidia nemica, ma ad una disgraziata fatalità di molte circostanze concomitanti che hanno tratto il Comando in “errore” di apprezzamenti e conseguentemente di decisioni». Le fonti austriache però, accreditarono l’affondamento al sommergibile posamine austriaco UC14 di base a Pola ed i più importanti storici della marina austroungarica lo hanno più volte confermato.
Poi: «Il ritrovamento, nell’agosto del 2005, del relitto della “Regina Margherita” a 68 metri di profondità con la conseguente determinazione della sua esatta posizione, ha finalmente permesso di accertare – attraverso il confronto della posizione con l’estensione del campo minato e con quella del canale di sicurezza; mediante i calcoli della rotta, della velocità e dei tempi di percorrenza; e quant’altro – che la posizione della nave al momento del suo affondamento era all’interno del canale di sicurezza del campo minato. E quindi, anche se è impossibile dire se le due mine che hanno urtato la “Regina Margherita” fossero quelle tedesche dell’UC14 o quelle italiane staccatesi dagli ormeggi a causa della bufera di quel giorno, sicuramente si può affermare che il comandante Giovanbattista Bozzo non fece alcun errore o alcuna sbagliata valutazione nel condurre la nave nel canale di sicurezza che gli avrebbe dovuto consentire di uscire indenne dal campo minato della baia di Valona». [“Così abbiamo trovato il relitto della Regina Margherita la Corazzata scomparsa” di Fabio Ruberti, 2005]
Quell’affondamento ebbe, naturalmente, molta risonanza in tutto il mondo e specialmente in Italia, sia per l’enorme numero delle vittime e sia per la fama che aveva la nave colata a picco. E il lutto colpì duramente Brindisi e i brindisini. Anche se non era certo la prima volta – né sarebbe stata l’ultima – che da quando era scoppiata la guerra un affondamento mieteva vittime tra i numerosi marinai brindisini imbarcati sulle unità della Marina Militare e Mercantile, mai era accaduto che in un solo episodio ne perissero tanti: nove.
Un anno prima, il 23 novembre 1915, era stato silurato ed affondato il piroscafo “Palatino” mentre partecipava alle operazioni di salvataggio dell’esercito serbo, e su di esso erano imbarcati e perirono tre marinai brindisini, due di loro fratelli: Carmelo Teodoro e Giovanni Capozziello, figli di Cosimo e di Lucia Ciacatiello, nati entrambi in via Schiavoni: il più grande Carmelo Teodoro il 20 agosto 1876 ed il più piccolo Giovanni il 3 giugno 1889 ed aveva sposato Consiglia De Tommaso. La terza vittima brindisina del “Palatino” fu il marinaio Emilio Vespro nato il 28 maggio del 1880 e anche lui sposato, con Cosima Tricarico. Ed appena un po’ prima, il 27 settembre 1915, c’era stata nel porto di Brindisi l’immane tragedia dello scoppio della ‘Benedetto Brin” con 456 marinai morti, tra cui il brindisino Cosimo Sindaco di Antonio, nato il 12 febbraio 1893. Poi, qualche mese dopo, il 4 maggio 1917, con il siluramento ed affondamento del piroscafo “Perseo” adibito a trasporto truppe, altri tre marittimi brindisini sarebbero periti dispersi in mare: Giuseppe Teodoro Attanasi, nato il 1º giugno 1989; Eupremio Cavaliere, nato il 29 aprile 1897 e Pasquale Romano, nato il 18 novembre 1871.
Ma, tornando all’11 dicembre del 1916 e alla tragedia della nave da battaglia “Regina Margherita”, il “9” è un numero molto più grande del “3” e – anche se nel corso dell’intera Grande Guerra il numero dei marinai brindisini morti dispersi in mare doveva crescere fino a “27” ed il numero totale di marinai brindisini caduti doveva raggiungere i “40” – la notizia dell’affondamento della corazzata “Regina Margherita” fece subito molto scalpore e quando poi si conobbe anche la lista dei dispersi, l’impatto per l’intera città di Brindisi fu enorme. Segue il quadro con il registro dei dati dei nove marinai brindisini dispersi in mare con la “Regina Margherita”.
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NOTA: Questo articolo è stato scritto con il contributo di Giuseppe Argentiero, che ha curato la ricerca fotografica e biografica dei nove marinai brindisini morti e dispersi in mare