di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine (Edizione straordinaria)
I brindisini ci speravano davvero. Erano convinti che questa campagna elettorale avrebbe finalmente offerto spunti di riflessione e candidati sindaco che fossero nelle condizioni di prendere per mano la città, pur in un percorso tutto in salita, segnato da burrascose vicende giudiziarie e dal pretestuoso affondamento della giunta di Angela Carluccio.
E invece, nel giorno che segna ufficialmente l’apertura della campagna elettorale (quello della presentazione delle liste con i candidati al Consiglio comunale) l’unico argomento di cui si dibatte è quello relativo all’indagine che coinvolge l’ex assessore Pasquale Luperti e che ha portato all’arresto del “capo facente funzioni” della società partecipata “Brindisi Multiservizi”. Attovagliati intorno ai resti dell’ex potentissimo assessore della giunta Consales, quasi tutti gli altri candidati alla carica di sindaco, totalmente incapaci finora di tracciare un qualsiasi percorso autonomo e sin dal primo momento esclusivamente impegnati nel tentativo di screditare gli avversari.
Ora fingono tutti stupore nell’apprendere dalla magistratura che “probabilmente” Luperti era da anni il punto di riferimento politico della “Brindisi Multiservizi” alla cui guida era stato posto, durante l’amministrazione Consales, Daniele Pietanza, ossia il suo amico fraterno oltre che uomo di fiducia.
Come nella famosa canzone di Povia “I bambini fanno oh”, un ohhh gigantesco, di stupore e in quadrifonia, è riecheggiato nei signorili e inappuntabili ambienti della politica brindisina quando l’indagine condotta dalla Digos non ha fatto altro che ufficializzare e documentare tutto quanto si tramandava da tempo, ossia che uno dei bacini principali di acquisizione dei voti di Luperti era costituito dagli operai della Multiservizi e dalle loro famiglie. Per motivi che non spetta a noi stabilire. Ma circostanza di cui anche gli uscieri del Palazzo di città erano a conoscenza. E che da sempre è stato uno dei motivi per cui Luperti è stato tirato per il bavero, ora da una coalizione, ora dall’altra perché chi gestisce un cospicuo pacchetto di voti diventa un alleato importante, senza stare a sindacare troppo come e perché li raccolga.
Il destino di Luperti finora è stato border line, in alcuni momenti considerato l’enfant prodige della politica brindisina, in altri messo da parte con l’etichetta che è più facile attribuirgli, quella dell’ex figlio del boss della Sacra corona unita. Lo aveva fatto per primo Michele Emiliano che, durante la sua campagna elettorale alla Regione aveva incontrato Luperti ottenendo il suo sostegno politico e poi successivamente aveva aperto una guerra frontale contro di lui, accusandolo persino davanti alla Commissione parlamentare antimafia.
Alla vigilia della precedente campagna elettorale (quella del 2016, per cui risulta coinvolto nell’ultima inchiesta della Digos), aveva subìto un’altra clamorosa perquisizione domiciliare con annesso avviso di garanzia. Il suo avvocato difensore era Massimo Ciullo, ossia l’odierno candidato-sindaco che oggi attacca duramente il suo avversario Roberto Cavalera proprio per la presenza di Luperti nel suo schieramento. In quella campagna elettorale, la coalizione che sosteneva la Carluccio e della quale egli faceva parte, fu duramente attaccata dagli altri candidati Fernando Marino e Riccaro Rossi, sempre per la presenza del “figlio del boss” in quello schieramento.
Poi quando Luperti decise di scaricare la Carluccio, aprendo di fatto la crisi che avrebbe portato alla fine di quella amministrazione, Marino e Rossi divennero all’improvviso i suoi più grandi alleati: sono ancora visibili su internet le immagini imbarazzanti (per loro) del tentativo che Marino e Rossi fecero davanti alla sede di Impegno sociale, implorando Luperti che aveva deciso di lasciare la riunione, bloccando di fatto la sfiducia alla Carluccio.
Di volta in volta, alleato importante (perché portatore di voti) o figlio del boss, probabilmente (ma questo lo stabilirà la magistratura) abile manovratore della Multiservizi, ma a sua volta sapientemente manovrato. Sino al punto di essere scaricato da tutti: dagli ultimi alleati della coalizione del centrodestra, che hanno fatto di tutto per “convincerlo” a cancellare il suo nome dalla lista dei candidati al Consiglio comunale, dal suo ex avvocato che ora lo vede come l’anima nera da tenere lontano dal Palazzo, persino da quel Rossi con il quale aveva condiviso “dolci effusioni” nell’abitacolo dell’auto in via Sicilia.
Ma no, in fondo nessuno poteva immaginare…
Così come tutti sembrano cadere dalle nuvole «scoprendo» che Pietanza era il vero capo della Multiservizi e che contava ancor più dell’amministratore. Ma stupisce anche che il commissario prefettizio Santi Giuffrè e la sua principale collaboratrice, Mariangela Danzì, non si siano resi conto che Pietanza ricopriva un ruolo che non gli competeva né per titoli né per contratto di lavoro. L’integerrimo duo Giuffrè-Danzì non si era posto alcun problema a licenziare l’amministratore della stessa Multiservizi, il comandante della polizia municipale e il segretario generale, ma non ha mai messo in discussione una figura che, come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, non aveva titoli per rivestire quel ruolo e per di più era stata ripescata da un licenziamento dal sindaco Consales, la cui amministrazione era stata interrotta nel modo che conosciamo. Non ne sapevano nulla?
Essendo queste le premesse e non avendo maturato nell’anno di gestione commissariale un minimo di classe politica in grado di dare davvero una svolta alla città, si ha la sensazione che mai come in questa occasione bisognerà accontentarsi del meno peggio. Nella speranza che chiunque sia, il 24 giugno, a varcare il cancello di Palazzo di città, abbia l’umiltà di imparare dagli errori commessi. E non è certo solo Luperti l’errore, soprattutto non il più grosso.