Cocaina, il colletto bianco rimane al suo posto: cortocircuito istituzionale

Prima notizia: il rappresentante istituzionale comparso clamorosamente come acquirente “seriale” di cocaina in un’indagine condotta dai carabinieri è rimasto al suo posto. Per il momento non c’è stato alcun provvedimento ufficiale nei suoi confronti né tantomeno egli ha ritenuto di accogliere l’invito del sindaco Riccardo Rossi a fare un passo indietro. E anzi ha continuato a svolgere “pubblicamente” il suo lavoro.
C’è probabilmente una sorta di cortocircuito istituzionale dietro la vicenda che è stata raccontata la scorsa settimana da “il7 Magazine” ma che negli ambienti era una sorta di segreto di pulcinella in quanto stralci dell’ordinanza d’arresto della banda di spacciatori e ladri d’auto circolavano da due mesi nelle chat. Anche in quelle di chi avrebbe dovuto muoversi, molto prima del giornale.
Quali sono i motivi per i quali è stato prima consentito a un acquirente di cocaina che si rivolge al pusher chiamandolo “compare” di essere nominato in un ruolo di grande rappresentatività pubblica e responsabilità? E come mai nessuno ha ancora provveduto a riparare all’apparente, gravissimo, errore?
Riassumiamo brevemente la vicenda: sulla base di un’inchiesta condotta dai carabinieri della compagnia di Brindisi, e coordinata dalla procura, nel marzo scorso sono state arrestate nove persone, tra cui Oronzo Lorenzo, detto Ronzino, già noto alle forze dell’ordine e individuato come fornitore di cocaina della cosiddetta “Brindisi Bene”, ossia di quarantenni facoltosi e fortemente dipendenti dalla droga.
Nelle carte dell’indagine che sono a disposizione dei difensori degli imputati esiste un fascicolo intitolato “Le cessioni a…”. Segue il nome del noto rappresentante istituzionale: all’interno ci sono 21 pagine di intercettazioni telefoniche e ambientali (effettuate sull’auto dello spacciatore) e in cui è indicato il numero di telefono cellulare del “colletto bianco”, per altro il medesimo numero che utilizza attualmente nelle sue mansioni istituzionali e di rappresentanza.
Dalle intercettazioni, per quanto appurato dai carabinieri, confermato dalla procura, accolto dal gip com l’emissione delle ordinanze di custodia cautelare e ribadito dai giudici del Tribunale del Riesame, emerge che Lorenzo vende frequentemente dosi di cocaina al rappresentante istituzionale e che tra i due esiste un rapporto fortemente confidenziale, al punto da invitare lo spacciatore a fare un bagno in piscina nella villa in cui abita con la famiglia o a salire nel suo ufficio a prendersi qualche bottiglia di vino buono. Al punto da chiamare lo spacciatore “compare” e da farsi a sua volta chiamare allo stesso modo.
Del resto nell’ordinanza è scritto che i numerosissimi incontri tra lo spacciatore e i suoi sei clienti abituali (oltre al colletto bianco ci sono commercianti e ristoratori) “consentono di ritenere assolutamente dimostrata l’attività continuativa e abituale di spaccio al dettaglio di dosi (in numeri variabili, ma sempre non più numerose di quelle necessarie a una piccola scorta per gli acquirenti, infatti riforniti con cadenza di una o più volte alla settimana).
Cerchiamo ora di seguire il percorso ordinario che la giustizia compie in questi casi. Esiste un articolo, il n.75 del decreto del presidente della Repubblica 309/90, che individua le conseguenze per chi viene sorpreso a consumare droga. Sappiamo che le quando polizia, carabinieri o guardia di finanza trovano un tossicomane devono obbligatoriamente segnalarlo alla prefettura in quanto assuntore di droga. Ciò avviene normalmente quando durante una perquisizione qualcuno viene trovato in possesso di quantità di droga considerata per uso personale. Dunque non viene arrestato come spacciatore ma segnalato alla prefettura. Analogo iter viene avviato nel caso in cui, anche se per questioni investigative non si procede all’immediata perquisizione (intervenire durante la cessione di droga in un’indagine complessa potrebbe comprometterne l’efficacia), si accerta che una persona consuma abitualmente stupefacente.
Nel caso in questione non vi sono dubbi perché se lo spacciatore è stato arrestato sulla base delle intercettazioni nel corso delle quali viene ritenuto che cedesse la droga è chiaro che esiste la certezza che dall’altra parte c’era anche un presunto tossicomane che la acquistava.
Ora, l’art. 75 del Testo unico sugli stupefacenti prevede che “chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope è sottoposto a sanzioni amministrative, per un periodo da due mesi a un anno, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope tipo cocaina, eroina, droghe sintetiche, e per un periodo da uno a tre mesi, se si tratta di marijuana o hascisc. Le sanzioni previste sono: a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;
b) sospensione della licenza di porto d’armi o divieto di conseguirla; c) sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli.
Una volta ricevuta e analizzata la segnalazione (di regola entro quaranta giorni dalla stessa), il prefetto, valutata la fondatezza dell’accertamento effettuato, e con ordinanza, convoca dinanzi a sé il soggetto segnalato “per valutare, a seguito di colloquio, le sanzioni amministrative da irrogare e la loro durata nonché, eventualmente, per formulare l’invito” a sottoporsi ad un programma di trattamento terapeutico e socio-riabilitativo.
Dobbiamo dare per scontato che i carabinieri abbiano provveduto a segnalare alla prefettura i nomi dei sei “brindisini facoltosi”, come vengono definiti nell’ordinanza, clienti abituali dello spacciatore di cocaina, tra cui il rappresentante istituzionale. Anche se nell’ordinanza e negli altri documenti processuali, la sua identificazione non viene mai ufficializzata, oltre il nome e il cognome e il suo numero di telefono. Ma viene indicata la frase “in atti meglio generalizzato”. Negli atti non si fa mai riferimento all’ufficio in centro, di rappresentanza di un’associazione pubblica, nel quale il nostro colletto bianco riceveva dallo spacciatore le dosi di cocaina prima di assumere un incarico pubblico di maggior rilievo. Ma immaginiamo che ci sia preoccupati almeno di capire dove la droga veniva consegnata.
Diamo per scontato che la segnalazione dei carabinieri sia giunta in prefettura. Anche perché tali segnalazioni, com’è giusto che sia e come è previsto dalla legge, vengono puntualmente effettuate anche quando ragazzini vengono sorpresi con un paio di “canne” e avviati al percorso di recupero. Dunque perché questo non sarebbe dovuto avvenire nel caso di un acquirente seriale di cocaina?
E allora è lecito domandarsi, dando per scontato che la prefettura sia stata avvisata, se il soggetto sia stato mai convocato dal prefetto, se gli sia stata irrogata la sanzione amministrativa, se si sia sia mai stato sottoposto (nel suo interesse) a un trattamento terapeutico contro la possibile, cronica, dipendenza da cocaina.
Perché il terzo passaggio di questo cortocircuito è che il suo ruolo istituzionale è frutto anche di una nomina governativa e sappiamo tutti che il massimo rappresentante del governo in una provincia è proprio il prefetto. L’ultima domanda che ci poniamo: se invece i carabinieri non hanno segnalato o la prefettura non lo ha convocato, qualcuno – alla luce della notizia pubblicata – si è preoccupato di informare il governo che ha investito di un ruolo pubblico un acquirente di cocaina?
Dove si è inceppato il sistema per cui viene consentito a un possibile tossicomane che ha chiaramente rapporti confidenziali con la criminalità (la parola «compare» ha significati ben precisi, specialmente negli ambienti malavitosi) di assumere un ruolo di rappresentanza pubblica, partecipando a incontri e riunioni allo stesso tavolo dei massimi rappresentanti delle forze dell’ordine e degli enti locali?
Perché l’altro aspetto inquietante è il silenzio assordante che ha seguito la pubblicazione del nostro articolo. Solo il sindaco di Brindisi, Riccardo Rossi, ha chiesto (senza farne il nome neanche lui) al personaggio pubblico di dimettersi. Nessuno, nella fitta schiera di parlamentari, consiglieri regionali, provinciali, assessori e consiglieri comunali ha proferito una sola parola, è intervenuto sulla vicenda, ha chiesto chiarimenti. Perché tutto questo silenzio? Eppure ogni giorno le redazioni dei giornali vengono bombardate di fuffa con la quale politici e politicanti producono il loro verbo ottenendo senza sforzo visibilità. Perché se si parla di cocaina e si ha la certezza che un rappresentante pubblico la acquista sistematicamente di persona, mettendosi nelle mani della criminalità alla quale ha affidato il suo nome, il suo ufficio e persino la piscina della sua casa di famiglia, perché nessuno ha detto una parola?
Siamo qui ad aspettare una risposta.