
di GIANMARCO DI NAPOLI
“La magistratura? Fece il suo lavoro e lo fece benissimo. Ma chi racconta che furono i giudici a fermare a Brindisi il progetto del rigassificatore mente: doveva essere proprio la consapevolezza di poter contare sulla lente della Procura la garanzia che non venissero compiute irregolarità e quell’investimento poteva essere realizzato comunque, cambiando la storia di questa città. E invece la politica si fece scudo di quelle indagini per far arenare definitivamente il progetto, facendo perdere a Brindisi l’occasione più importante della sua storia”: Massimo Ferrarese torna parlare dopo anni di silenzio. Non è stato in esilio, semplicemente ha continuato a fare quello che ha sempre fatto: costruire aziende e infrastrutture in tutto il meridione d’Italia. In più si è tuffato nell’attività turistico-alberghiera.
E’ stato il protagonista della più entusiasmante cavalcata nello sport brindisino della storia, portando dalla quarta serie (dopo averla salvata dalla retrocessione) sino alla serie A1 la squadra di basket della città e con il record assoluto di promozioni: ben quattro. All’epoca non esistevano cordate, il carico era tutto su di lui.
Nel frattempo è stato anche presidente territoriale di Confindustria, poi presidente della Provincia di Brindisi (ultimo tra quelli eletti dai cittadini) e infine presidente di Invimit. Poi, si dice, abbia ricevuto proposte per candidature alla Regione, assessorati, a sindaco in vari comuni compreso il capoluogo. Tutto rifiutato. Ferrarese è tornato a fare l’imprenditore, anche forse per gli attacchi reiterati (basti ricordare quello per cui un’azienda di cui era socio fu costituita per bonificare un sito inquinato per 40 anni da Montedison per farne calce idrata e gli ambientalisti locali sostennero, mentendo, che l’avesse inquinato lui) quando si batteva per ottenere investimenti e il partito trasversale degli ambientalisti radical chic lo accusava di essere interessato solo ai suoi affari e a quelli degli altri imprenditori “senza scrupoli”. E la battaglia del rigassificatore fu decisiva in questo senso.
Ecco perché oggi, quando il presidente del Consiglio Mario Draghi bacchetta le amministrazioni dello Stato per non aver realizzato rigassificatori e, alla luce dell’emergenza energetica dovuta alla guerra, ordina la riapertura delle centrali a carbone, ecco che il cerchio si chiude: Brindisi non ha il rigassificatore e vedrà aumentare la produzione del carbone. Ora che il sindaco della città è quel Riccardo Rossi che sbandierava e urlava contro Ferrarese in quegli anni e che, insieme agli amministratori dell’epoca parlava di un nuovo modello di sviluppo, concretizzatosi nel nulla.
“La storia, purtroppo, dimostra che è stata un’occasione perduta non soltanto per il nostro Paese, che oggi avrebbe sicuramente una grande possibilità in più per tamponare la crisi energetica che sta vivendo a causa della dipendenza del gas russo, ma soprattutto una grande occasione di occupazione e ricchezza per il nostro territorio”.
Eppure il progetto del rigassificatore, vent’anni fa, costituiva davvero il primo tentativo di produrre energia alternativa al carbone.
“Dall’inizio credetti in quel progetto e chiesi al sindaco dell’epoca di avallare quell’investimento in cui noi imprenditori e i sindacati credevamo. Al contempo gli chiedemmo di farsi garante affinché, per la prima a volta a Brindisi, le imprese del territorio avessero avuto un appalto diretto dalla committente. Per raggiungere questo obiettivo noi imprese locali costituimmo un consorzio.
Poi però nell’autunno 2003 entrò in campo la magistratura, ci furono degli arresti e il progetto si arenò.
“Ma nella primavera del 2004 ci fu la campagna elettorale incentrata proprio sul rigassificatore e mentre la sinistra cominciò a mostrare (dopo aver approvato precedentemente quel progetto) la propria contrarietà, il centrodestra, con il candidato Domenico Mennitti, si mostrò molto possibilista sulla realizzazione dell’impianto. Dopo le elezioni però accadde che, a differenza di quanto sostenuto in campagna elettorale, anche il sindaco e il centrodestra si schierarono apertamente contro. Passarono gli anni e, mentre la Brindisi LNG eseguiva i lavori di colmata, i problemi e le manifestazioni contro “a prescindere” aumentavano sempre più e con le amministrazioni sempre più rigide nei confronti degli investitori”.
Chi manifestava riteneva che il rigassificatore nel porto, oltre a essere un pericolo, avrebbe ridotto drasticamente la ricettività turistica.
“I manifestanti e la politica chiedevano un nuovo modello di sviluppo per Brindisi e per il suo porto che, dicevano, non avrebbe dovuto subire intralci nel porto dal traffico delle navi metaniere. Nei primi mesi del 2007 ci furono i nuovi arresti e il sequestro dell’area dì Capobianco. Chiaramente la magistratura brindisina aveva svolto il suo lavoro in modo ineccepibile (lo hanno confermato poi anche le successive sentenze), ma altrettanto non fecero la politica e le istituzioni dell’epoca che avevano il dovere di trovare una nuova soluzione affinché non si perdesse definitivamente un investimento di 800 milioni di euro e tanti posti di lavoro a Brindisi. Si sentiva invece solo dire la frase “Là no”, senza che nessuno proponesse mai una diversa localizzazione”.
Lei all’epoca era presidente di Confindustria. Come si mosse?
“Iniziai a lavorare per cercare le varie soluzioni alternative e, poiché per ovvi motivi la Brindisi LNG era in difficoltà non trovando una sponda politica, riuscì a convincere gli investitori inglesi a fare molto di più di quello che speravano di spendere inizialmente per la città e incartai delle migliorie progettuali ed economiche per la comunità, inimmaginabili fino a pochi mesi prima e che riferì immediatamente ai vertici di Comune e Provincia. Si trattava di un nuovo molo esterno al porto per l’attracco delle navi metaniere e per un costo di 250 milioni di euro, interamente a carico degli inglesi, di royalties per circa 20 milioni di euro da versare annualmente nelle casse del Comune di Brindisi (immaginate questa cifra per 20 anni), della realizzazione, sempre a loro carico, di un anello per far circolare il gas a – 160 gradi nell’area industriale per attrarre investimenti per l’industria del freddo e per la logistica e la realizzazione dell’intera opera da parte del consorzio brindisino costituito per l’occasione.
E la politica come rispose?
“Mentre il presidente della Provincia, Michele Errico, continuò a dire che non voleva ascoltare nessuna proposta alternativa, il sindaco Mennitti si convinse ad incontrare con me i vertici londinesi della British gas a Milano per capire di persona la volontà della società inglese. Quell’incontro durò circa quattro ore e terminò con l’accettazione da parte di British Gas di tutte quelle condizioni da noi proposte e con una stretta di mano tra il sindaco Mennitti e il presidente della British. Il tutto sarebbe stato messo nero su bianco a Brindisi nella successiva settimana. Accadde poi che, nonostante quell’accordo chiuso, Mennitti mi disse che non se la sentiva di firmare più perché avrebbe sarebbe iniziata per lui una battaglia contro le tante associazioni ambientaliste e contro quella politica che aveva ormai già preso una decisione contraria a qualsiasi possibilità di realizzazione di un rigassificatore a Brindisi”.
Poi lei passò, se possiamo dire così, dall’altra parte della barricata, venendo eletto presidente della Provincia.
“Nonostante fossi stato da sempre favorevole alla realizzazione di quell’impianto e nonostante la visita ricevuta dall’Ambasciatore inglese nel luglio del 2011, in prossimità del Consiglio provinciale fissato sull’argomento, il quale venne a ribadirmi la forte volontà del governo inglese di far realizzare quel progetto, aggiungendo che se fosse andato in porto il governo avrebbe mandato altri investitori nel nostro territorio, non volli mettere in imbarazzo la mia maggioranza e lasciai tutti liberi di esprimere il proprio voto su quel progetto in aula. Purtroppo il Consiglio (ricordo molto bene quel giorno la presenza e la pressione delle associazioni ambientaliste tra il pubblico) votò contro, mettendo di fatto una pietra tombale sul rigassificatore a Brindisi, proprio perché tutti i consiglieri si sentivano pressati da quell’onda ambientalista che diceva no parlando di un altro modello di sviluppo”.
Quanto ha inciso quella vicenda sulle sue scelte successive?
“Parecchio. Mi rendevo conto di avere una visione molto diversa sulle possibilità di crescita di questo territorio. Ho messo però in preventivo che magari mi stavo sbagliando davvero io e che fossero loro, quelli del modello di sviluppo alternativo, che avessero ragione. Mi sono allontanato pian piano dalla politica e ho visto che proprio quelle persone che urlavano, e dicevano no, quelli che scrivano sui cartelli “Ferrarenel”, scalavano pian piano posizioni sino ad arrivare al governo della città. Così mi aspettavo che mi stupissero davvero, non mi sarebbe dispiaciuto che avessero avuto ragione loro e che Brindisi si fosse ripresa. Ma il risultato, ahimè, è sotto gli occhi di tutti. Penso che Brindisi abbia perso una grande occasione che avrebbe dato ricchezza alla città, al territorio, avrebbe creato migliaia di posti di lavoro diretti e successivi per l’industria del freddo e avrebbe fatto crescere le aziende locali. È invece accaduto che quel nuovo modello di sviluppo non si è mai visto, che decine di migliaia cittadini non riescono a farcela, che i nostri migliori giovani sono scappati dalla nostra città, che nessun nuovo investimento è stato attratto, che il porto è ormai uno stagno e che quasi tutte quelle aziende del consorzio non hanno retto alla crisi, creando migliaia di altri disoccupati. A tutto questo si aggiunge il fatto che per i problemi dovuti alla carenza del gas per la produzione di energia nel Paese, la centrale Enel dovrebbe aumentare di tanto l’alimentazione a carbone. Molto di più di quel carbone che a me (da presidente della Provincia) contestavano nel peggiore dei modi nelle piazze e nelle strade. Ho capito solo dopo che era un modo per farsi conoscere. Loro sì che seminavano davvero veleni. E ora amministrano una città povera e che brucerà più carbone di vent’anni fa”.