Delitto Carvone, una partita a scacchi per incastrare i presunti killer

è una singolare partita a scacchi quella tra gli inquirenti e i giovani sospettati (ma per ora non accusati) di essere coinvolti nell’omicidio del 19enne Giampiero Carvone, avvenuto la notte dello scorso 9 settembre. I quattro sono stati arrestati sì, ma per aver commesso un reato secondario che viene considerato il prologo del delitto, avvenuto poi poche ore dopo: si sarebbero presentati in casa della vittima pretendendo denaro per pagare i danni a un’auto che Carvone aveva rubato e abbandonato per strada dopo un incidente stradale.
Giuseppe Lonoce, 37 anni, è finito in carcere avendo diversi precedenti penali alle spalle. Sono invece ai domiciliari Stefano Coluccello (28 anni), e i fratelli Aldo ed Eupremio Carone, di 22 e 21 anni. L’accusa è di tentata estorsione per quella richiesta di denaro.
Ecco cosa sarebbe successo e cosa ha ricostruito la Squadra mobile, probabilmente sulla base anche delle dichiarazioni di Piero Carvone, padre di Giampiero, e degli altri componenti della famiglia presenti al fatto. Il giorno prima del delitto il ragazzo aveva rubato una Lancia Delta di proprietà della suocera di Coluccello ma utilizzata da quest’ultimo. Poco dopo l’aveva gravemente danneggiata in un incidente, abbandonandola per strada.
Coluccello non aveva impiegato molto a scoprire il nome del ladro che per altro conosceva bene e così quello stesso pomeriggio si era presentato spalleggiato dal cognato Lonoce e con i nipoti Aldo ed Eupremio Carone. Avevano suonato al citofono, al civico 19 di via Tevere, ma da sopra si erano rifiutati di aprire. Così avevano sfondato con un calcio la vetrata del portone ed erano saliti sino al pianerottolo dei Carvone. Qui i fratelli Carone erano rimasti fuori dalla porta mentre Coluccello era entrato con Lonoce.
Sin qui la ricostruzione della Squadra Mobile e quella fornita dagli stessi indagati coincidono fuorché sul punto dello sfondamento del portone che i quattro giovani negano: secondo loro era già rotto.
Una volta in casa Coluccello e Lonoce, alla presenza della famiglia Carvone al completo, compresa la madre del ragazzo e la sorellina, avrebbero preteso il pagamento di una somma pari al valore dell’intera autovettura danneggiata. Secondo l’ordinanza d’arresto, minacciando in maniera esplicita di gravi ritorsioni i presenti. Per gli arrestati invece, durante l’interrogatorio di garanzia davanti al gip, si sarebbe trattato di una semplice discussione, conclusa per altro con l’impegno da parte del ragazzo di provvedere lui stesso a far rimettere a posto l’autovettura danneggiata. Questo sostengono gli indagati, tentando di ridimensionare l’impianto accusatorio.
Certa invece, perché confermata da tutti, la reazione rabbiosa del padre di Carvone: “Non dovevate fare questa cosa davanti a mia moglie e mia figlia”, avrebbe detto in sostanza mettendoli fuori dalla porta.
Si diceva, all’inizio, di una partita a scacchi inedita. In primo luogo perché mai – se non ci fosse stato il delitto – qualcuno avrebbe parlato di quella violenta irruzione in casa Carvone. La famiglia del ragazzo non si sarebbe certo mai presentata alla polizia per denunciare l’accaduto in quanto avrebbe dovuto anche ammettere che Giampiero aveva rubato un’auto. Quegli altri men che mai avrebbero denunciato il furto, ma tentato di risolvere la questione a modo loro. E comunque, semmai la polizia fosse venuta a conoscenza dell’episodio probabilmente sarebbe stato aperto un fascicolo per “esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose”.
Se non ci fosse scappato il morto.
Il «destino» invece ha voluto che davanti a quello stesso portone sfondato, nella notte successiva all’irruzione in casa, Giampiero venisse ucciso con un colpo di pistola alla nuca. Ed era inevitabile che una volta scoperta la storia dell’auto rubata e della spedizione in casa della vittima (confermate dal papà del morto), le indagini della Squadra mobile hanno virato immediatamente in quella direzione. Senza che allo stato però esista – per quel che è dato sapere – una prova spendibile che collochi i quattro arrestati, o almeno uno di loro, davanti a quel portone anche nel momento in cui Carvone è stato ucciso.
Intanto il sostituto procuratore Raffaele Casto, con la piena condivisione del gip, ha cristallizzato il primo episodio arrestando i quattro e ponendo le basi per costruire un impianto accusatorio con ulteriori elementi dei quali, probabilmente, dispone la polizia.
Gioca a scacchi anche la difesa. Gli avvocati Gianvito Lillo, Luca Leoci, Manuela Greco e Alessandro Gueli piuttosto che scegliere la linea consueta adottata in casi analoghi che è quella di tentare di ottenere immediatamente la scarcerazione degli arrestati, hanno richiesto copia degli atti processuali rimandando eventuali istanze. Perché la vera partita non è quella di difendersi dall’accusa del tentativo di estorsione, che probabilmente preoccupa marginalmente e in aula avrebbe buone possibilità di essere ridimensionata, ma il rischio di un coinvolgimento nell’omicidio. Un collegamento che nelle ordinanze di custodia cautelare viene ingegnosamente menzionato solo in maniera cronologica rispetto al raid in casa Carvone, ma senza che venga formalizzata alcuna accusa di partecipazione omicidio nei confronti dei quattro. Che per altro non sono stati neanche sottoposti a prova stub. Ma sui quattro aleggia questo sospetto, lo ha fatto intendere anche il capo della Mobile, Rita Sverdigliozzi.
Insomma il teorema è che, dopo l’irruzione in casa Carvone, i quattro (o qualcuno di loro) non soddisfatti delle risposte ricevute, abbiano deciso di punire il ragazzo aspettando che scendesse da casa la notte successiva. Un omicidio premeditato? O un delitto non pianificato ma scaturito nel corso di una nuova discussione? Un tentativo di ferimento fallito tragicamente? Qualunque siano le ipotesi a supporto della tesi, finora manca la dimostrazione. Probabilmente nascosta nelle pieghe di un’indagine cui la Squadra Mobile sta dedicando grandi energie sin dalla notte tra il 9 e il 10 settembre, quella del delitto.
Non si dà pace Piero Carvone, per la morte del figlio che non passa giorno di ricordare con foto e frasi strazianti su Facebook. Ma c’è un’altra famiglia che probabilmente sta vivendo con sentimenti contrastanti la vicenda, in particolare la parte che riguarda l’arresto di Giuseppe Lonoce. Si tratta dei genitori di Giorgia Zuccaro, la ragazza brindisina morta in un incidente stradale nella notte del 5 giugno 2011. Alla guida dell’auto in cui Giorgia, in via Cappuccini, perse la vita c’era il suo ragazzo, Giuseppe Lonoce appunto, che risultò positivo ai test sull’assunzione di sostanza stupefacente e alcolici. Lonoce venne condannato dal Tribunale di Brindisi a quattro anni e tre mesi di reclusione, ma la Corte d’Appello ribaltò la sentenza “mancando la prova certa che quella notte alla guida ci fosse il giovane” e dunque assolvendolo perché il fatto non sussiste. Una decisione confermata pochi mesi fa dalla Corte di Cassazione.
Ora, per un’altra auto e sullo sfondo della tragica morte di un altro ragazzo, Lonoce è tornato in carcere.