I mini cestisti del Senegal con le magliette dell’Oria: gemellaggio a 4.279 km

I palloni di basket a Louga semplicemente si sciolgono. Mentre scriviamo ci sono 40 gradi e per tutto l’anno la massima non scende mai sotto i 30, dominata dai venti del Sahara. Louga è in Senegal, fa meno di 90mila abitanti e si trova a 200 chilometri da Dakar, terminale del famoso rally che parte da Parigi e taglia in due il deserto.
A Louga c’è una società di pallacanestro che si chiama Real Basket Agn, ne fanno parte ragazzi di tutte le età, ci sono anche certi spilungoni che hanno le gambe tanto magre che sembrano trampoli. Non lo fanno per dieta, non sempre c’è da mangiare. Louga è una città povera, la maggior parte degli abitanti sono pastori seminomadi e agricoltori sedentari.
In Senegal il basket non è lo sport più popolare. Primo fra tutti è il “Laamb”, il wrestling africano, un combattimento corpo a corpo, a mani nude e sulla sabbia. I ragazzini sognano di diventare campioni e sfuggire alla povertà. Il secondo sport è il calcio, ma al terzo c’è il basket: la Nazionale, ha fatto meglio di qualsiasi altra nazione africana alla Coppa del Mondo 2014 di FIBA, dove ha raggiunto i playoff per la prima volta. L’Nba ha annunciato in Senegal il lancio di un’Accademia di Elite.
I ragazzi del Real Basket Agn Louga non hanno una divisa e spesso giocano a piedi scalzi, quasi sempre al tramonto perché il campetto brucia. Ma sono i palloni il vero problema: quelli di gomma si squagliano per il calore. E di pelle costano un patrimonio, anzi non esistono proprio.
Cheikh Oumar Ndiaye sulla spiaggia di Campomarino è per tutti semplicemente “Omar”. Un senegalese che spinge il suo carretto di cianfrusaglie, ogni estate, come centinaia di altri extracomunitari. Ma Omar è anche un giocatore di basket, ha consumato quel campetto in cemento bianco alla periferia di Louga, quando ne ha la possibilità allena i più piccoli, ma vive in Italia per lavorare e manda i soldi a casa, giù in Africa. Quando può spedisce anche abiti, piccoli elettrodomestici, con i container che viaggiano in nave sino al Senegal.
In spiaggia, a luglio, c’è anche Dario Benvenuto che prende il sole con la famiglia. Dario è il vice presidente factotum dell’Oria Basket, società che si occupa solo di pallacanestro giovanile. Un’ottantina di bambini che zompettano in palestra giocando a fare i campioni. Quando due appassionati di basket si incontrano, anche se uno arriva dall’Africa e vende chincaglierie sgobbando sulla spiaggia e l’altro in quel momento si gode le ferie a pochi chilometri da casa, alla seconda o terza frase si finisce a parlare di pallacanestro.
E così Omar racconta del suo paese, del campetto di Louga in cui centinaia di ragazzi sognano di diventare delle star e scappare via dalla città, dal destino nei campi o a pascolare bestie. Qualcuno è riuscito a procurarsi la maglietta farlocca dei Lakers, qualcun altro calza Nike troppo lunghe o strette da fare male. Ma non ci sono divise, né palloni, per non parlare delle scarpe.
Omar racconta a Dario che qualcuno da queste parti aveva promesso di aiutare il Louga, ma poi più niente.
Non sapevano, Omar e Dario, che quella mattina in spiaggia sarebbe nato uno dei gemellaggi più straordinari della storia dello sport brindisino: i pulcini dell’Oria Basket e quelli del Real Basket Louga, 4.279 chilometri di distanza in linea d’aria.
L’idea è subito piaciuto alla presidente Igea Epifani e a tutto lo staff dirigenziale. Hanno messo insieme un po’di completini verdi e bianchi del minibasket, un’altra serie di divise mai usate con i vecchi colori sociali, i quaderni forniti dalla Federazione, qualche pallone. Lo hanno fatto istintivamente, ispirandosi un po’ a quelli che sono stati gli insegnamenti di Titti Filotico, storico presidente della società e appassionato di basket, scomparso recentemente e del quale Igea Epifani ha raccolto il testimone.
La consegna del materiale è stata emozionante, con i bambini dell’Oria Basket tutti intorno ad Omar. Il ragazzo senegalese stavolta era vestito da giocatore di pallacanestro e ha dimostrato di avere pure buone doti per scendere anche lui in campo in un campionato italiano.
Ma doveva tornare in Senegal, la stagione di lavoro sulle spiagge pugliesi è finita. Può concedersi di rientrare a casa, dalla famiglia. Una parte del materiale donato se l’è messa in valigia e l’ha portata via in aereo, il resto è stato caricato su uno dei container che viaggiano in nave.
Sono trascorsi alcuni giorni e poi la foto è arrivata. I ragazzini di Louga con le magliette verdi dell’Oria Basket, per la prima volta tutti con la stessa divisa. E il loro coach che mostra orgoglioso la lavagnetta tecnica giunta dall’Italia per disegnare gli schemi. E poi i videomessaggi di ringraziamento che Dario ha ricevuto sul suo telefonino e che ha girato a una sua amica che parla il senegalese e vive a Milano per farseli tradurre: comprendere il “wolof”, una delle sei lingue nazionali senegalesi, non è semplice, ma la gioia espressa dagli occhi di quei bambini, quella è internazionale. Non ha bisogno di interpreti.
Non è finita qui. L’Oria Basket vuole organizzare un torneo benefico per poter acquistare e spedire anche le scarpe, perché giocare a piedi nudi o con le suole bucate a 40 gradi non è piacevole.
I pulcini oritani sono strafelici nel vedere i loro “fratellini” con le loro magliette, dall’altra parte del mondo. Se il minibasket serve soprattutto a formare lo spirito e l’educazione dei bambini, l’Oria Basket ha già vinto tutto.
E dall’altra parte del globo continuano ad arrivare messaggi sorridenti di ragazzini con le divise verdi: «Jërëjëf!» (Grazie).