di GIANMARCO DI NAPOLI
La notizia della morte di Mattia Passante arriva mentre ognuno di noi cerca di trovare la frase più a effetto per salutare il 2020, lamentandosi per le mascherine che tolgono il fiato, le limitazioni alla libertà, il vaccino che chissà quando arriva o che magari non abbiamo proprio intenzione di farci. Aveva solo 26 anni, Mattia, e da un anno e mezzo lottava come un leone contro un tumore al cervello. Anzi, più che lottava, ringhiava contro questa malattia, la irrideva. E la raccontava sui social nel “Diario di Bordeaux” in cui descriveva quella sfida ad armi impari che però lui sperava di vincere.
E aveva il coraggio di affrontarla, senza vergogna mostrando le sue foto su Instagram, nella sua pagina in cui c’è scritto “Mattia Passante – laurea in Giurisprudenza, teatro, cucina, tumore al cervello ma niente di serio.
Il suo ultimo post lo aveva pubblicato a novembre: “Comunque voglio rendervi partecipi dalla ultima risonanza che ho fatto, un aumento del mio tumore e c’è un edema. Quindi non uscirei con il mio Diario di Bordeaux pt. 9, era in programma per domani. Anche perché per una nota ci ho messo una vita a scriverla.. ahahah”.
Mattia sognava di recitare in teatro e per questo, dopo la laurea in Giurisprudenza e mentre combatteva la sua battaglia, aveva deciso di ricominciare con l’Università, al Dams a Lecce: si era iscritto a settembre, poco prima che il suo male si ripresentasse ancora più devastante. Il diario on line non era solo un modo per trovare la forza di combattere ma soprattutto un tentativo di trasmettere coraggio a chi si trovava ad affrontare un dramma simile al suo: “L’approccio positivo con cui sto vivendo il cancro non è scontato. E se potessi essere utile anche a una sola persona, ne sarei felicissimo”, diceva e sorrideva. Perché Mattia sorrideva sempre, anche quando registrava i suoi videomessaggi con enorme difficoltà. “Voglio dire come stanno le cose, come si può combattere insieme senza paura e senza vergogna”: è guardava fisso nella telecamera, come se parlasse a tutti e anche a se stesso.all’
La sua vita era cambiata all’improvviso nel maggio 2019: all’improvviso aveva difficoltà a parlare, a concentrarsi. I medici avevano pensato inizialmente a un esaurimento nervoso, perché negli ultimi due anni aveva fatto di tutto: la laurea in Giurisprudenza a Perugia, un programma per l’emittente dell’Università, Radiophonica, e poi corsi di teatro, di dizione e di mimo, tanto sport e le selezioni per entrare in Accademia teatrale. Mattia non stava fermo un attimo.
E invece poi la diagnosi fu feroce: glioblastoma di quarto grado, con una massa di 5 centimetri. Subito il ricovero e l’intervento, il 22 giugno 2019. Un mese a letto, senza riuscire neanche a parlare, una gamba e un braccio paralizzati. Poi la lunga riabilitazione e le terapie di chemio e radio. Aveva recuperato l’uso della gamba, non completamente il movimento della mano, ma riusciva di nuovo a parlare. E non mollava.
Ad aiutarlo , la famiglia e la fidanzata Ludovica, oltre ai sanitari del reparto di Neurochirurgia di Brindisi e il primario Francesco Romeo.
“Non nascondo che è dura. Ci sono momenti di sconforto pieno, piango tanto. Quando ho saputo dell’aspettativa di vita per la mia patologia, da 1 a 5 anni, è stato terribile. Ma poi ho capito che sono solo stime, e la psicologa mi ha spinto a vivere, a non posticipare nulla”, aveva raccontato in un’intervista qualche mese fa.
“Non mi riconosco ma mi riconoscerò – si legge nell’ultimo post –. Per fortuna mi è rimasto il sorriso”. “Uno scalino alla volta – recita un altro –. Non importa quanto sarà lunga la salita: ci sarà sempre una discesa”.
A novembre però i nuovi esami clinici sono spietati: il tumore si è riformato, in tempi rapidissimi. Mattia non si dà per vinto, scrive ancora su Instagram, poi il silenzio.
La notizia della sua morte è arrivata nelle ultime ore dell’anno e ha sconvolto i suoi amici ma anche le centinaia di persone che seguivano il suo Diario di Bordeaux.
I funerali si sono svolti nel pomeriggio di Capodanno a Brindisi, in forma privata. La famiglia ha deciso di rispettare le sue volontà. Quando le norme lo consentiranno si terrà una funzione pubblica alla quale potranno partecipare i suoi amici. Mattia ha scelto di essere cremato. E se avesse avuto il tempo di scriverlo, avrebbe chiuso sicuramente con una risata.
Aveva scelto di chiamarlo «Diario di Bordeaux» perché voleva scrivere una sorta di diario di bordo della sua malattia e perché quello era il suo colore preferito: su Instagram Mattia Passante aveva raccontato con coraggio e ironia il suo calvario. Ecco quel racconto, interrotto solo poche settimane fa con un ultimo post.
di MATTIA PASSANTE
L’anno scorso, in questo periodo, a Perugia, mi accorsi di avere problemi a parlare. Avevo difficoltà a pronunciare le parole, non riuscivo a leggere, non potevo esprimere i miei pensieri.
L’unica cosa che mi chiedevo era: cosa mi sta succedendo?
Proprio ora che mi stavo preparando alle ammissioni delle varie Accademie Teatrali, proprio ora che avevo finito un corso di dizione stupendo, proprio ora che facevo un programma radio sul Teatro, proprio ora che avevo appena finito una esperienza laboratoriale bellissima e istruttiva, proprio ora che avevo lasciato il lavoro per dedicarmi solo al Teatro, proprio ora che Ludo era lontana.
Cosa mi sta succedendo?
Non riuscivo a capire, non riuscivo a darmi pace. Piangevo. Piangevo al telefono con i miei, piangevo al telefono con Ludovica, piangevo in camera, piangevo nel mio parco segreto.
Piangevo quando, a fatica, riuscivo a spiegarmi.
Cosa mi sta succedendo?
È angosciante quando hai tanto da dire, da spiegare e non puoi.
Non sapevo, neanche lontanamente, cosa fosse a impedirmi di parlare.
Cosa mi sta succedendo?
Successe che mio padre si ruppe la gamba e ne approfittai per scendere a Brindisi, per dare una mano a mia madre e per cambiare aria. Mi scusai con i miei datori di lavoro e presi il primo treno.
Era sabato 8 giugno.
Ne approfittai che per fare alcune visite perché continuavo con le difficoltà lessicali. Per il medico curante era un possibile esaurimento nervoso perché quell’anno, effettivamente, avevo fatto tantissimo.
Prenotazione urgente con il neurologo: rispondevo a tutte le stimolazioni, stessa diagnosi. “Sarà un esaurimento nervoso, ma facciamo una TAC per sicurezza”, disse.
Era l’11 giugno.
Non arrivai a farla, una Donna con gli occhi azzurri mi salvò.
Era il 17 giugno.
IL RICOVERO
Giovedì 15 giugno.
Ludovica tornó una settimana prima dall’Erasmus perché la mia situazione non le piaceva e casualmente, tre giorni prima, aveva sostenuto l’esame di Neurologia. Continuavo ad avere problemi con parole. Qualcosa non quadrava.
Erano i giorni della Brindisi-Corfù.
Domenica 16 giugno.
Andammo a vedere le partenze dalla Diga, perché partecipava anche il padre ( il mio secondo Angelo dagli occhi azzurri ). Sole cocente, sbandavo, ero stanco.
Pranzai a casa, mi rifiutavo di andare al pronto soccorso, poi mi videro così e decisero che l’indomani mi avrebbero fatto una TAC e Risonanza privatamente, non potevo aspettare, anche questa volta non arriva a farla.
Andai da Ludo la sera e mi addormentai ovunque, era strano: io così pieno di vitalità, sparita.
Lunedì 17 giugno.
Mi feci una doccia verso le 11, sbandando, ancora con i capelli bagnati (bella sensazione di avere i capelli, AAAAH), mi accasciai sul letto e riuscì solo a scrivere a Ludo: “Mi sento male, non riesco a venire da te”.
Ludo si precipitò, avvisò i miei e chiamò il mio amico Marco, mi portarono tutti e tre ( mi padre non si poteva muovere) al pronto soccorso.
Se non fosse stato per lei, forse non starei raccontando la mia storia.
Avevo sonnolenza, vedevo doppio, non mi reggevo in piedi.. e appena arrivai nella sala d’attesa del pronto soccorso, vomitai. Avevo tutti i sintomi di una ipertensione endocranica (SI, L’HO DETTO PER FARMI IL FIGO, OK? va bene, l’ho cercato prima su Google.. e l’ho chiesta a Ludo.. “liquido nel cervello” sembra brutto).
TAC e ricovero di urgenza.
Dormì fino alle 18, con una mano stretta a mia madre e l’altra a Ludo.
Le donne della mia vita.
Non potevo sapere che c’erano altri due Angeli nella mia stanza di ospedale.
Fui l’unico a non sapere l’esito della TAC, me la nascosero fino a mercoledì, il giorno della Risonanza.
Mercoledì 19 giugno.
Intanto era tornato il secondo Angelo dagli occhi azzurri e mi accompagnò alla risonanza. La feci.
Mi disse, con un tatto e una dolcezza infinita: “Abbiamo trovato una piccola massa, niente di grave ma dobbiamo rimuoverla.. l’intervento è sabato, non ti preoccupare”. Quando mi disse questo, quando vidi mia madre, mio padre, Ludo.. provai una sensazione strana, particolare. –
Non avevo paura. Non so perché, era inspiegabile.
IO, NON AVEVO PAURA. “Ma come?”, direste voi, “ti hanno diagnosticato un cancro al cervello, ti sottoporranno ad un operazione delicatissima , ti tagghianu puru li capiddi e non hai paura?”. No.
IO NON AVEVO PAURA.
L’INTERVENTO
Dopo la risonanza si iniziò a spargere la voce della mia situazione, inizialmente solo con la mia famiglia e gli amici più stretti.
Non ricordo con precisione chi mi venne a trovare durante i giorni del pre-intervento, ma ricordo, come richiami di una infanzia passata, sporadici episodi che sono rimasti indelebili nella mia mente:
1. Quando le mie cugine, Valentina e Stefania, vennero dal Veneto e piangendo mi dissero di essere forte, che tutto sarebbe passato.
2. Quando il mio amico Checco entrò nella camera di ospedale, con la sua straripante allegria, con un vassoio ricolmo di rustici e intonando “tanti auguri a te”. Li mangiammo nella sala d’attesa di Neurochirurgia (dove ero ricoverato), offrendoli a chiunque.
3. Quando il venerdì 21 giugno, arrivò mio fratello da Roma. Gli tennero nascosta la gravità della situazione fino a quando non entrò in macchina per venire in ospedale. Era sera, entrò con il permesso delle infermiere e in lacrime, mi strinse e lo strinsi nell’abbraccio più meraviglioso del mondo.. che solo chi è del tuo stesso sangue può comprendere appieno.
Il 22 Giugno, il giorno dell’intervento, mi svegliarono alle 5 e gli infermieri (vi parlerò di loro) mi prepararono con la vestaglietta verde, le calze e la cuffietta.
C’era mia madre, mio padre, mio fratello, mia nonna, i miei zii e … ebbi la sorpresa più bella, proprio 2 minuti prima che mi portassero in sala operatoria.
Entrarono con Ludo i miei più cari amici del nuoto, vennero da Milano e Bologna e si fecero tutta la notte in macchina per essere presenti e riuscirmi a salutare prima che entrassi in sala.
Non posso descrivere le emozioni che provai.. i miei amici, i primi. Gli amici con i quali ho condiviso tutto, che conosco da più di 20 anni, erano lì. Per me. Per infondermi forza. E con una “SENZA PAURA!” (motto creato da mio padre che ripetevamo ad ogni competizione di nuoto) entrai nell’ ascensore che mi diresse verso la sala operatoria.
Nella barella, prima di entrare, tutti i medici sorridevano, chiacchieravano.
“Come ti chiami?”, mi disse l’ anestesista con un ampio sorriso. “Mattia”, dissi. “Bene Mattia, ti dobbiamo addormentare per un po’, inizia a contare..”
1, 2, 3, 4, 5 .. e caddi in un sonno profondo.
Non potevo immaginare che quei numeri, settimane dopo, furono le prime parole che riuscì a pronunciare.
Ps. Questo nella foto è un bignè, ne prendo sempre uno nei momenti importanti (dare un esame, ecc), come per suggellare la fine di un avvenimento e l’inizio di un altro.
Per fortuna la mia vita è costellata di bignè, con mille ripieni diversi a seconda di quanto è importante l’evento.
In questo caso, ad un anno dall’intervento, festeggio la Vita.
IL RISVEGLIO
Mi svegliai.. e già questo mi era sembrato un bel traguardo ahah
Vedevo poche persone intorno a me. Mani e piedi legati al letto. Perché ero legato? Perché ero in quella stanza?
Ero intontito, non capivo dove fossi.
Mi accorsi di avere un tubo su per la gola.
Ecco, ero intubato ed ero in terapia intensiva.
Mi iniziai ad agitare, provai a chiamare l’infermiera ma emettevo solo gemiti. Mi sentivo impotente su me stesso. Io che avevo sempre il controllo.
Nell’agitazione mi sfilai la cannula. Non riuscivo a respirare. Emanavo rantoli. Cercavo di chiamare la dottoressa che era lì, a due metri da me, non ci riuscivo. Finché i rantoli si fecero più forti.
Ricordo poco dei giorni in terapia intensiva, stetti dal sabato al martedì.
Mi ritornano mente solo tre avvenimenti: la libertà quando mi stubarono; il viso di mia madre e mio fratello nella consueta visita di mezz’ora al giorno e la canzone di Hércules cantata dalla Donna della mia vita, mi fece sorridere anche in quella occasione.
Bilancio dell’operazione:
1. 95% del tumore asportato con annessa cicatrice in testa da Bad Boys 🤘🏼
2. Gamba destra paralizzata
3. Braccio destro paralizzato
4. Afasia (perdita della capacità di comporre o comprendere il linguaggio, dovuta a lesioni alle aree del cervello deputate alla sua elaborazione)
5. Pelato
P.s. Ho aggiunto il punto 5 perché il 4 nella smorfia napoletana è la bara e ci manca solo quistu ahahah
IL POST-INTERVENTO
Allora, ricapitolando, non riuscivo a parlare, il braccio e la gamba destra erano paralizzati. BENISSIMO.
Stetti un mese in ospedale, a Brindisi.
Orde di parenti e amici.. tanti, tantissimi. Per la prima volta mi resi conto di quanto ci tenessero a me. Amici da tutta Italia che mi davano forza, mi davano coraggio. Chi con la loro presenza, chi con un messaggio e chi con dei video.
Più tra tutti: la mia amica Angelica che stette un mese tutti i giorni in ospedale e mi puliva gli occhiali; Alessia che è stata una sorpresa e una piacevole amicizia ritrovata (saiii tu) e Giorgio che dopo anni di silenzi, si è precipitato a sorreggermi, facendomi sorpassare rancori e delusioni.. spolverando una vecchia amicizia che sotto chili di polvere si è rivelata più forte di prima.
È vero che un solo gesto vale più di mille parole e voi tre ne siete la dimostrazione.
Oltre le sorprese però ci sono state anche molte delusioni. Chi era scontato che ci fosse e invece, non ci è stato.
In quei giorni di ospedale, oltre ad amici e parenti, ho ricevuto l’affetto di altre persone.
In primis, il Primario che mi ha operato, di una professionalità e di una delicatezza infinita. Non finirò mai di ringraziarlo, oltre per avermi salvato la vita lasciandomi i minori danni possibili, per l’affetto che vedevo nei suoi occhiolini nel giro-visite.
Salvatore, il fisioterapista, con la tenacia che lo contraddistingue, mi ha fatto muovere un dito e un muscolo alla volta fino a farmi riscoprire il piacere di stare in piedi tra le sue braccia, quando ero ancora paralizzato. Non solo, mi ha fatto pronunciare le prime parole. Erano solo dei numeri, è vero, ma a me sembravano il primo scalino per una ripresa, il primo piccolo passo per una vetta che devo ancora raggiungere.
Le infermiere, gli infermieri, gli OSS e capisala del Reparto di Neurochirurgia che non leggeranno mai questo post ma siete stati la mia salvezza. Mi avete trattato come un figlio, altri come un fratello. Con una scusa mi venivano sempre a trovare, mi chiedevano se fosse tutto ok e potevo rispondere in solo modo, che è il mio preferito: un sorriso e un “👍🏼”.
Non vi ringrazierò mai abbastanza per le carezze che mi avete dato.
E dulcis in fundo, la simpatica signora delle pulizie, semplice quanto delicata e simpatica, che mi parlava per ore e io potevo solo annuire e ridere.
Chissà se si ricorda ancora di me :))
Non mi ricordo quasi nessuno dei vostri nomi, ma quando passerà questo maledetto Covid mi presenterò in quel reparto, li imparerò e vi dimostrerò quanto, con professionalità e affetto, avete fatto per me.
LA RIABILITAZIONE
Mi spostarono, in barella, in un Centro di Riabilitazione.
La prima cosa che dissi (male), non appena arrivato in stanza, fu “sedia a rotelle”. Volevo muovermi da quel dannatissimo letto. Arrivò due giorni dopo ma non avevo contato che per scendere dal letto e per salire avevo la necessità di chiedere agli Oss una mano. Erano sotto-organico e non sempre erano disponibili perché dovevano gestire tanti pazienti quindi dovevo aspettare. Aspettare, il quel letto, mi sembrava uno tortura. Dovevo avere pazienza.
Avete capito che la mia storia è fatta di Angeli, di coincidenze e di belle persone.
In questo Centro Di Riabilitazione questi erano i miei fisioterapisti: Domenichina, Antonella, Domenica e Luigi.
Ogni giorno non vedevo l’ora di andare in palestra. Era una gioia per me fare quelle due ore, perché mi faceva tante risate e anche qualche pianto.. a volte piangevamo insieme. Fu bellissimo.
Intanto, grazie a loro, mi sentivo più forte. Avevo ogni giorno più forza nelle gambe. La pazienza mi stava ripagando, come sempre nella mia Vita. Con l’impegno, la costanza e la pazienza si può abbattere qualsiasi muro.
Ci fu un evento scatenante nella mia ripresa. Stando sempre steso, allettato non riuscivo ad andare in bagno e avevo bisogno di un “aiuto”. Successe che l’aiuto me lo diedero in un cambio turno e aspettai, aspettai, aspettai. Fu la cosa più umiliante della mia Vita, fino ad ora.
Provai l’impotenza di non poter fare anche un gesto così semplice, come camminare per andare in bagno.
Piansi, piansi ma non per me.. perché pensavo alle persone che erano costrette irreversibilmente nel letto.
Decisi che sarebbe stata l’ultima volta.
Mi svegliai. Erano le due di notte. In ospedale ero solito andare a dormire prestissimo. Sentivo un leggero stimolo.. era l’ora.
Contro ogni buon senso avvicinai la sedia a rotelle, misi i freni e piano piano mi sedetti. Il prima step era fatto.
Mi avvicinai al bagno ( quanto è difficile con un solo braccio, le prime volte giravo in tondo ahah) , entrai e dopo vari tentativi riuscì a sedermi sulla tazza.
Fu una sensazione bellissima, non l’atto in sè (anche se fu molto appagante, devo dire ahah ) ma perché RIUSCIVO AD ALZARMI IN PIEDI. NON ERO PIÙ COMPLETAMENTE PARALIZZATO.
Da allora a tutti gli amici e ai parenti che venivano al Centro raccontavo la storia e
facevo vedere come stavo in piedi. Mi alzavo e risedevo, mi alzavo e risedevo.
Ero orgoglioso e felice di un atto che diamo per scontato ma per me, non lo era 🙂
LA RADIOTERAPIA E LA CHEMIOTERAPIA
Ero circondato da muri allegri, tutti disegnati che si scontravano con la sala d’attesa piene di angoscia e paura.
In questa sala si racchiudono tutti i tipi tumori e c’era un odore acre, per tutto il piano. Capii, a miei spese, che era l’odore che ci accomuna tutti noi.
“Passante?” , “Si, sono qui” “Entra e aspettami qui”, mi disse una radiologa con un sorriso rassicurante.
Vedevo macchina strane, non le avevo mai viste in vita mia.
“Allora, stendiamoci qui. Perfetto. Ti metterò un panno umido, brucerà un po’, e ci permetterà di creare una maschera con dei fori .. che ti attaccherà il tumore in punti specifici! Domani iniziamo”
Erano 6 settimane da 15 minuti di Radio, coadiuvato dalla 6 settimane di Chemio.
Quei 15 minuti all’inizio non mi pesavano e anche Chemio in pillole.. finché non é iniziata la stanchezza.
Per uno come me che frizzava energia, solare e positivo ora ero perennemente stanco. Apatico.
Una stanchezza strana, mi veniva da dentro e non c’è modo di batterla.
Tra un ciuffo di capelli che perdevo, un nuovo limite che scoprivo di avere.. ho imparato a gestire anche questa stanchezza.
“Uno scalino alla volta”, mi dicevo, “ non importa quando sarà lungo la salita.. ci sarà sempre un discesa “, questo me lo ha insegnato Perugia, con le sue salite.
Una volto scrissi, in un momento di sconforto :
“ Dissimulo di essere in forze
ma, nei miei silenzi, sospiro stanchezza “.
Ho importato a dire NO al mio corpo, “basta così” ma lui è abituato a spingere, spingere, spingere.. gli ho fatto un bel discorso: “ ora mi aiuti a cacciare quel corpo estraneo e poi ti prometto che riprenderemo tutto alla normalità di cui ci hanno privato” “come di dici? Cannaruto! Se ci riesci, prendiamo i bignè con crema chantilly e nutella da Ravone, ooook?? “
LA TRASFORMAZIONE
Non pensavo che una delle conseguenze del cortisone fosse l’ingrassamento. O meglio, lo sapevo, ma non so con che diritto mi immaginavo che a me non sarebbe successo.
Proprio io che ho fatto 15 anni di nuoto, palestra, mauy thai ( solo 3 mesi, però faceva figo scriverlo ahaha).
Proprio io che avevo una ligia cultura del corpo.
Mi sono visto trasformare. Tutto ad un tratto, senza neanche accorgermene.
Prima 5 kg, 10 kg e poi 15 kg.
Ero arrivato dai 75 kg ai 90 kg.
Mi sembrava assurdo.
Decisi che non sarai andato oltre.
Il cortisone è così, non fa effetto subito. Ti illude. “Forse a me non capita, forse forse” E SBEM. Ti presenta il conto ed è già troppo tardi. E poi lo sai qual è il bello? Che ci mette tanto tempo per smaltirlo.
La faccia gonfia, senza capelli, le smagliature sulle gambe, sull’addome, sulle braccia, sui polpacci. Non mi riconoscevo più.
Non mi riconosco più.
Quando mi guardo allo specchio spero che sia solo un brutto sogno, di quelli che sembrano realtà , ti svegli ed è tutto normale. Ma non lo è.
Mi guardo allo specchio e non mi riconosco più. Mi sento rovinato, brutto.
Non mi riconosco ma mi riconoscerò, magari con qualche kg in più, con qualche smagliatura e pelato, che comunque ha il suo fascino.
Per fortuna, mi è rimasto il sorriso.. un po’ storto a dx, però mi è rimasto. 🙂
L’ultimo post
Comunque voglio rendervi partecipe dalla ultima risonanza che ho fatto, un aumento del mio tumore e c’è un edema. Quindi non uscirei con il mio Diario di Bordeaux pt. 9, era in programma per domani.
Anche perché per una nota ci ho messo una vita a scriverla.. ahahah.
MATTIA PASSANTE