di Doriana Calò per il7 Magazine
«Da quando è iniziata la pandemia non c’è stato un aumento evidente di pazienti in carico al Centro di Salute Mentale di Brindisi-San Vito dei Normanni”: Franco Colizzi. psichiatra, psicoterapeuta e direttore UOPC CSM di Brindisi-San Vito dei Normanni, analizza i dati sull’impatto del lockdown nell’assistenza psichiatrica dopo un’analisi pubblicata sulla rivista dell’ordine dei medici – attraverso la somministrazione di questionari sia ai pazienti presi in carico dal CSM e sia ai pazienti e operatori facenti parte di cinque strutture residenziali di Brindisi – che ha curato insieme alla figlia, Ivana Colizzi, psicologa-psicoterapeuta c/o “Città Solidale”di Latiano, nel periodo compreso tra il 15 di aprile e il 15 di maggio 2020.
Ma c’è stato un incremento del numero di persone che hanno richiesto consulenze piuttosto che aiuto durante questi anni di pandemia, lockdown e crisi economica/sociale?
Come scritto nell’introduzione dell’indagine: “Durante una crisi sanitaria o sociale prolungata, che ci coinvolga direttamente ma anche solo indirettamente, è normale che ci si senta tristi, stressati, confusi o spaventati […]Psichiatri e psicologi hanno sottolineato che la paura va riconosciuta come una emozione utile per prevenire ed evitare pericoli, a meno che non diventi sproporzionata rispetto ai rischi oggettivi in cui possiamo incorrere. Un aspetto importante del sovraccarico di stress è costituito certamente dalla cosiddetta infodemia, il flusso enorme ed inarrestabile di notizie su un fenomeno nuovo, mai affrontato in precedenza nell’esperienza dei cittadini, notizie molto spesso inattendibili o premature o addirittura del tutto false”.
Diversi esperti hanno dichiarato che ci si debba aspettare, in questi mesi, un aumento del carico assistenziale variabile da un quarto a un terzo dell’utenza complessiva dei servizi di salute mentale (in particolare per disturbi d’ansia e insonnia, per depressione, per disturbi paranoidi, per disturbi post-traumatici da stress).
Dottor Colizzi, dunque possiamo affermare che non ci sia stato un aumento della presa in carico da parte dei servizi durante e dopo i lockdown?
“Questo grande aumento della presa in carico, sinceramente, non c’è stato almeno finora. Anche perché quello che si pensa – e su questo sono d’accordo anch’io – è che c’è stato un aumento di disturbi d’ansia, insonnia, depressione, disturbi post-traumatici da stress e per questi disturbi molti non si rivolgono al CSM. Io personalmente ho visto due/tre casi gravi di depressione in soggetti che prima non ne soffrivano, altri con disturbi paranoidi – quindi persone diffidenti, sospettose, con la paura del contagio – e poi ho visto anche il personale sanitario (anestesisti, infermieri, psicologi) con disturbi post-traumatici da stress… ma non livelli di allarme o un forte incremento”
Com’è stato vissuto dai pazienti psichiatrici questo periodo di restrizioni, lockdown e distanziamento sociale?
“Questa è una cosa interessante perché in molti hanno pensato: “Eh chissà i pazienti psichiatrici, che confusione o quante crisi” e invece no, come abbiamo evidenziato nell’indagine l’81% dei casi – secondo gli operatori che li seguivano sia a domicilio che nelle strutture – hanno rispettato le disposizioni quali il distanziamento, i dispositivi di sicurezza (guanti e mascherine) infatti non abbiamo avuto grandi casi di contagio da Covid-19 tra i pazienti. Molti pazienti presi in carico dal CSM non si sono resi quasi conto del cambiamento, nel senso che già non uscivano prima, per altri invece è stato più impegnativo, soprattutto nel tempo libero. Chi veniva al CSM erano per lo più pazienti già in carico presso di noi che necessitavano di terapie iniettive di mantenimento effettuate periodicamente presso il servizio, si abbiamo avuto delle urgenze ma non in maniera eccessiva.”
Qual è stato l’impatto psicologico dell’epidemia sulle persone in generale?
“L’impatto è stato abbastanza importante e riconosciuto nella maggioranza della popolazione: Paura di ammalarsi e morire, evitare di avvicinarsi alle strutture sanitarie per paura di essere infettati durante le cure, paura di perdere mezzi di sussistenza, di non essere in grado di lavorare durante l’isolamento e di essere licenziati dal lavoro, sentirsi impotenti nel proteggere i propri cari e la paura di perdere i propri cari a causa del virus, paura di separarsi dalle persone care e dai caregiver a causa del regime di quarantena.
I disturbi psichiatrici più frequenti sono stati e lo sono tutt’ora: attacchi di panico, abuso di alcol e sostanze psicoattive, forte preoccupazione. Quando la preoccupazione si trasforma in ruminazione continua e diventa invasiva nella mente, è controproducente e può comportare effetti dannosi in rapporto alla sua durata. Può instaurarsi dapprima ansia acuta e poi un’ansia generalizzata, spesso ad espressione somatica (con una notevole varietà di sintomi fisici). L’ansia a sua volta può accompagnarsi ad insonnia, creandosi un circolo vizioso che li alimenta entrambi Sono molto frequenti difficoltà di concentrazione, irritabilità e anche aggressività relazionale, depressione (con pessimismo, assenza di infuturazione, idee di colpa o rovina e perfino suicidarie)
È stata menzionata la depressione tra i disturbi psichiatrici dovuti all’epidemia da Covid-19, cos’è nello specifico?
“In termini psicologici è uno stato mentale dovuto, generalmente alla perdita di qualcosa. Quindi quando c’è un cambiamento nella nostra vita che viviamo come una cosa negativa rispetto a un prima o rispetto a un dopo – quando non percepiamo bene il futuro, non vediamo davanti a noi qualcosa di positivo, siamo pessimisti, che ci aspettano addirittura sciagure – questa situazione mentale la possiamo chiamare depressione del tono dell’umore. Dobbiamo pensare a una tristezza, che tutti possiamo vivere normalmente, però più profonda a tal punto da pensare di non poter farcela più, di non poter più uscire da un tunnel di dolore mentale così forte delle volte da voler immaginare che è meglio morire.
Quindi tornando al Covid nel momento in cui pensiamo di aver perso qualcosa come la salute, le relazioni sociali, il lavoro in alcuni casi, le persone vicine ( in caso di morte da Covid) si insinua l’insonnia, il tono dell’umore cala e diventa per quasi tutta la giornata cupo, negativo, oltrepassa la linea che non bisognerebbe varcare, lì si parla di depressione reattiva perché c’è una reazione a quello che sta succedendo. Tutti questi cambiamenti forti che ci sono stati, in alcune fasce di popolazione più debole, ha portato ansia o depressione”.
Quanti, secondo lei, sono ricorsi ad assumere antidepressivi piuttosto che ansiolitici in questo periodo? Perché da una classifica stilata dal “Sole24Ore” Brindisi si troverebbe al quinto posto come minor consumo di antidepressivi
“Come ho già spiegato prima, non c’è stato un forte incremento del numero della presa in carico da parte del CSM. Si abbiamo avuto qualche quota in più e quindi sono stati prescritti farmaci antidepressivi in casi gravi, ma è una quota tutto sommato non grande. Io credo che molti abbiano avuto paura nel recarsi presso il CSM per via del contagio e della fobia, quindi cosa è accaduto a chi soffriva di ansia o depressione? Noi non siamo ancora in grado di dare dei numeri. È molto facile che si siano rivolti al medico curante, visto che ormai anche loro sono in grado di prescriverli e siccome sono molto conosciuti, molti medici – più o meno – hanno imparato cosa sono e come vanno somministrati. Detto questo io non prenderei molto sul serio quella tabella, a maggior ragione visto che non ci sono parametri con la quale confrontarla prima della pandemia.”
I bambini e gli adolescenti, quali strascichi si porteranno dietro a causa del Covid?
“I ragazzi effettivamente si pongono delle domande del tipo:”domani che succede? Torneremo alla normalità? Continueremo con la didattica in presenza?” non hanno la certezza, come anche noi adulti, di quando finirà tutto questo, la paura del futuro o il fatto che stanno perdendo delle opportunità di studio, di conoscenza… hanno perso – diciamo – due anni di scuola che non gli verranno più ridati. I bambini, se hanno perso due anni di contatto con gli altri, sono persi ormai,certo non si è consapevoli perché piccoli, però non sappiamo quali conseguenze avranno col tempo. Purtroppo tutto questo è da vedere e valutare tra un po’ di tempo”.
Cosa si sente di consigliare?
“Un consiglio che mi preme fare è di usare il meno possibile i farmaci – quando non necessari -, perché questa cosa la dobbiamo affrontare ancora collettivamente, ragionando, scambiando le esperienze, con la condivisione e quindi cercando di farsi un’idea una ragione di quello che sta accadendo, puntando a capire se possiamo imparare qualcosa, perché altrimenti è triste. Alla fine anche dalle tragedie si può imparare, dobbiamo essere più prudenti, che non siamo onnipotenti, dobbiamo essere meno superbi e presuntuosi, l’unica via non è chiudersi, ma condividere e affrontare, qualsiasi evento negativo che la vita ci presenta – in questo caso l’epidemia, ma potrebbe essere qualsiasi cosa – insieme agli altri. Ad esempio una cosa che ha fatto bene in questo periodo – forse perché io sto nel mondo del volontariato da più di 20 anni – è stata la possibilità di poter aiutare l’altro (portare la spesa, andare a comprare le medicine per qualcuno, ecc..) infatti una cosa sbagliata in tutto questo è quando viene detto distanziamento sociale, per me è sbagliato perché è il contrario serve il contatto sociale, diverso è il distanziamento fisico per una questione di prudenza, quello sì.
Quindi cerchiamo di essere più vicini socialmente all’altro”.