Marcello Rollo, un amore viscerale per la sua città: sino all’ultimo

di GIANMARCO DI NAPOLI per il7 Magazine

L’ultima volta che “Labariù” era riecheggiato, forte che tremavano le pareti, era stato in via Sabaudia, nella storica sede del Club Amici: si festeggiava il mezzo secolo dell’associazione e Marcello Rollo, presidente da 40 anni, sembrava ancora quel ragazzino con i capelli arruffati e lo sguardo da sognatore che in quel club ci era entrato con i calzoncini corti e la voglia di cambiare il mondo. Brindava e sorrideva, e poi era stato il momento dell’inno e allora tutti a gridare a squarciagola. “Labariù” lo avevano ereditato dai fratelli maggiori, quelli che frequentavano il campo scuola dei Salesiani, a Manduria. E poi era diventato l’inno del Club, una colata di adrenalina nelle vene di un’amicizia indistruttibile.
Labariù questa volta lo urlano 100 metri più lontano, e l’eco copre una distanza che non è mai stata davvero reale, perché il Club Amici e la chiesa dei Salesiani hanno vissuto un legame simbiotico e l’oratorio è stata la loro piazza d’armi. Così quando, sul sagrato, il socio anziano Maurizio Campo lancia l’urlo che apre l’inno, il silenzio viene squarciato da quei suoni che ricordano l’Haka degli All Blacks, ma questa non è una danza di guerra, ma l’inno all’amicizia. E Marcello è lì.
La chiesa del Sacro Cuore è stata edificata dagli anni Trenta, voluta dalla contessa Grazia Balsamo, che la affidò alla Congregazione salesiana con l’onere di “provvedere all’educazione morale, religiosa e civile dei brindisini”. Fino agli anni Sessanta era una specie di cattedrale nel deserto: periferia estrema della città, lungo la nuova via Appia, a fare da santuario alle piccole case di proprietà di una comunità essenzialmente rurale e alle baraccopoli che spuntavano tra disperazione e fango dall’ospedale Braico sino al cinema Appia. No, il rione Cappuccini non era la Commenda, un quartiere disegnato a tavolino, con le case popolari costruite per ospitare chi viveva nei tuguri nel centro storico o i palazzi destinati agli impiegati. Ai Cappuccini le piccole case di proprietà erano state stravolte dall’arrivo della Montecatini, dalla trasformazione della comunità da rurale in industriale, dall’abbattimento degli stabilimenti vinicoli, alla chiusura delle attività artigiane.

Marcello, figlio del ferroviere Donato Rollo e orfano di mamma da bambino, aveva vissuto con sofferenza questo tentativo soffocato di crescita del quartiere, in cui nascevano solitudini e si alimentavano nuove forme di povertà. La vita dei ragazzi si divideva tra l’oratorio e il bar Lilly, alcuni la sera correvano in centro in cerca di comitive e di nuove conoscenze, ma altri sognavano di trasformare Brindisi partendo proprio da quel quartiere sgangherato. Nel 1966 nasce il Club in un locale di due stanze in via Settimio Severo, presidente Rino De Marco, futuro docente di matematica. Nel 1980 il testimone passa, in una sorta di transizione generazionale, ai ragazzini dell’oratorio che sono nel frattempo cresciuti. Marcello Rollo viene eletto presidente: ha 25 anni. Labariù torna a riecheggiare quando la sede del Club viene spostata in via Sabaudia, così vicina alla chiesa dei Salesiani che il pomeriggio si sentono le urla dei bambini che giocano felici nell’oratorio.
La scelta è quella di proseguire sulla scia delle mission che i soci fondatori avevano tracciato: aiuto alle famiglie degli indigenti, doposcuola gratuito nei locali dell’oratorio, la “Befana del bimbo povero”, istituita nel 1967 e che si interromperà solo nel 1991. Il tutto finanziato autotassandosi. La politica cominciava a interessarsi del Club, prima con la partecipazione alle cerimonie di consegna dei doni, poi con i dibattiti organizzati con le maggiori figure del territorio: i parlamentari Giulio Caiati (del quale il papà di Marcello era un fedelissimo sostenitore), Mario Marino Guadalupi, Carlo Scarascia Mugnozza. A Rollo però in questo momento la politica non interessa proprio, ha altri progetti in testa: vuole ridare fiato alle periferie, limitando l’emarginazione che i giovani respirano vivendo lontani dal centro della città. Un visionario. E gli Amici con lui.
Quale sistema migliore se non sfruttando lo sport “nazionale” dei brindisini, ossia il basket. Nacque così il “Torneo dei Rioni” di pallacanestro. I rioni della città furono riuniti in quattro squadre che ne comprendevano ognuna due: Cervo, Tancredi, Appia e Colonna. La genialata è che i talenti cittadini inespressi o semplici appassionati possono creare una squadra in cui invitare a giocare anche professionisti. Così ci sono epici tornei ai quali partecipano anche cestisti americani di serie A, giocati sulle mattonelle della palestra Galiano o nel vecchio palazzetto di via Ruta. Il torneo diventa così importante che ogni anno arrivano allenatori e osservatori di squadre professionistiche a cercare nuovi talenti.

Nel frattempo il Club Amici crea una discoteca di quartiere dal 1975 al 1985, una squadra di basket femminile dal 1976 al 1980, una maschile dal 1980 al 2001, una di tennistavolo dal 1973 al 1986 e una di calcio dal 1968 al 1993. Ma il capolavoro deve ancora arrivare. “Brindisi rimaneva una piccola, anche se bellissima, cittadina di frontiera, isolata e provinciale, lontana dal grande flusso di idee e di informazioni”, racconterà poi Rollo. Per combattere questo provincialismo e per valorizzare le risorse locali era necessario portare Brindisi sui palcoscenici nazionali. Nasce così l’idea del Premio Cervo, una scultura realizzata dall’artista latianese Carmelo Conte: si parte nel 1980 dal piccolo Sporting Club di San Pietro Vernotico per arrivare nel giro di pochi anni a spettacoli trasmessi dalla Rai e che portano a Brindisi i personaggi più importanti dell’epoca, dello sport, della cultura e dello spettacolo: da Sandro Ciotti a Piero Badaloni, dai fratelli Abbagnale a Pietro Mennea, da Agostina Belli a Lina Sastri, ai Mattia Bazar, sino a una Carmen Russo nel momento più esplosivo della sua carriera. A presentare, anche Pippo Baudo, affiancato dal nostro Antonio Celeste, perché la brindisinità va rispettata. Una manifestazione che si negli ultimi anni si apre al Mediterraneo, diventando un premio internazionale di Cultura.

Nel frattempo Marcello Rollo, con il sostegno del suo Club, decide di fare il grande passo e di tentare di trasferire quegli ideali nella politica. Si candida al Consiglio comunale nel 1990 con la Democrazia Cristiana: “In molti di noi era maturata la consapevolezza che il club aveva già dato il massimo sul piano sociale che la politica attiva sarebbe stato solo il passo successivo e necessario. Avevamo una visione romantica e ingenua della politica, una visione che ci avrebbe deluso presto, ma ricordo l’entusiasmo e le aspettative dell’inizio degli anni Novanta quando all’interno del Club decidemmo che io sarei stato candidato al Consiglio comunale con la Dc”, racconterà anni dopo. Ovviamente viene eletto, del resto il Club può contare su un bacino di voti invidiabile e di consensi ancora maggiore. Sarà consigliere comunale dal 1990 al 2001, assessore comunale dal 1992 al 1994, assessore provinciale dal 1995 al 2000, consigliere regionale pugliese per Forza Italia dal 2000 al 2014, assessore regionale al Turismo, Beni culturali e Sport dal 2002 al 2005, presidente del Consiglio d’amministrazione del Consorzio Area di sviluppo industriale di Brindisi dal 2011 al 2016. Aveva rinunciato per due volte alla candidatura alla Camera, prima con la Democrazia Cristiana e poi con Forza Italia, pur avendo buone possibilità di essere eletto: “Cosa ci vado a fare a Roma? Preferisco restare qui, a lavorare per la mia città”, aveva confidato.

Quindi negli ultimi anni prende in mano la Pro Loco, entità ormai impalpabile che persino in provincia dove un tempo aveva peso, è ridotta a mera comparsa, figurarsi a Brindisi. E invece la trasforma, sempre con l’aiuto dei suoi “fratelli” del Club, in un’entità viva che ha l’ambizione di rivestire un ruolo nel rilancio turistico della città.
A settembre aveva chiamato i suoi amici più cari e aveva confidato: “Sono pronto”. Voleva candidarsi a sindaco di Brindisi, lo aveva sempre desiderato. Il compimento di un percorso, la chiusura di una strada lunga e tortuosa compiuta con il suo Club, sua moglie Angela Saracino, i figli Antonio e Alessandro che ormai sono uomini. “Sono pronto”. Anche la malattia e l’illusione di averla sconfitta lo avevano determinato a compiere quel passo: sindaco di Brindisi, della sua città, partendo dai Cappuccini.
E invece Labariù ha un finale diverso stavolta, sul sagrato dei Salesiani: E-vvi-va-Mar-ce-llo, scandito forte, un lungo applauso. Poi il silenzio. La chiesa, la sua chiesa, colma di gente,
la sua gente. I suoi Amici.