di Gianmarco Di Napoli per IL7 Magazine
I frammenti delle lapidi sono sparsi in quello che quasi un secolo fa era il parco intorno alla villa, ma che all’epoca del Bronzo (XV secolo avanti Cristo) ospitava il primo insediamento umano brindisino, favorito dalle generose fonti di acqua dolce degli antichi canali che sarebbero stati chiamati Fiume Grande e Fiume Piccolo.
Ma quelle lapidi non hanno nulla a che vedere con i ritrovamenti di reperti preistorici che affioravano abbondantemente dalla collinetta che si affaccia sul Seno di Levante del porto di Brindisi. Raccontano storie più recenti, irrilevanti per gli archeologi, ma di grande valore umano per noi altri, perché incisi sui marmi spezzati ci sono i nomi dei nostri defunti, su lapidi che esaurito il tempo di permanenza consentito al camposanto sono state divelte e barbaramente scaricate in quell’angolo di litorale che sino a qualche anno fa era comodamente raggiungibile, a bordo di un furgone o di un camioncino, dal vicino cimitero comunale.
I pezzi di marmo con lettere e numeri di metallo ormai incupito sembrano tessere di un puzzle che non potrà mai essere più ricomposto eppure fa male al cuore vederli sbriciolati su quel terreno, alla pari di tonnellate di detriti di risulta di chissà quali palazzi, case, stanze da bagno, giardini costruiti o demoliti negli ultimi trent’anni e che sono stati ammonticchiati in chilometri quadrati di “area archeologica”.
Sì, siamo (o dovremmo essere) in una delle più antiche e preziose aree archeologiche della Puglia, Punta delle Terrare, che come spiega l’Enciclopedia Treccani prende il nome dai resti ceramici di superficie (terrare) recuperati abbondantemente in quest’area collocata al centro del porto naturale di Brindisi. Il nastro segnaletico biancorosso non delimita gli scavi, ma la zona posta sotto sequestro giudiziario, qualche settimana fa, dal nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza e dalla capitaneria di porto, su ordine della Procura: doveva infine arrivarci la magistratura per scoprire che l’area storica, posta sotto il controllo e la tutela della Soprintendenza ai Beni archeologici, ma di pertinenza dell’Autorità portuale, è stata seppellita da tonnellate di rifiuti, al punto che il livello del terreno, in alcuni tratti, supera i due metri.
LA STRADA. Per arrivare a Villa Monticelli, la “casa degli spiriti”, che dagli inizi del secolo scorso domina quella che fu la spiaggia di Sant’Apollinare, si imbocca ancora la stessa stradina di circa 200 metri, con un percorso a mezza luna, un tempo via d’accesso per le carrozze sino all’antico casale. Ma anche qui l’ingresso è sbarrato dal nastro rosso e bianco. Recentemente il tratturo era stato nuovamente tracciato su disposizione dell’Autorità portuale, ma il sopralluogo effettuato a dicembre dalla Capitaneria è servito a scoprire che il materiale utilizzato per creare il nuovo percorso era talmente scarso e non consono (la miscela di pietrisco e terra macinata in un mulino autorizzato contiene pezzi di materiale vario così evidenti che quasi ci si inciampa) che sono finiti sotto inchiesta l’ingegnere direttore dei lavori e il titolare della ditta che aveva ottenuto il piccolo appalto.
In realtà non si comprende quale utilità potesse avere spianare nuovamente quella strada, senza bonificare il parco archeologico che essa attraversa per giungere a ciò che resta della splendida Villa Monticelli, ridotta a un rudere che prima o poi scivolerà dal costone e collasserà sugli scogli sottostanti. Se non si interviene. Ma l’Authority ha pensato che bastasse dare una rinfrescata alla stradina, che per altro ha perso l’unica funzione reale ch purtroppo ha avuto dagli anni Settanta in poi: quella di essere percorsa da camioncini carichi di rifiuti, edili e non, comprese le lapidi rimosse dal cimitero, per abbandonarli in quella gigantesca discarica. Tutti sapevano e hanno fatto finta di nulla.
Punta delle Terrare, la spiaggia di Sant’Apollinare, villa Monticelli, da un paio d’anni non sono più raggiungibili: il piano di security del porto le ha inghiottite nel sistema di sicurezza blindato e militarizzato. L’area archeologica di 33 mila metri quadrati è inscatolata e non può essere raggiunta se non ottenendo speciali autorizzazioni. E la cosa potrebbe andar bene se essa fosse effettivamente tutelata. Ma in realtà di essa sembra non preoccuparsi nessuno.
La conferma arriva da quel nastro biancorosso e dal sequestro probatorio effettuato da guardia di finanza e capitaneria qualche settimana fa per reati ambientali (gestione non autorizzata di discarica) e urbanistici, in area sottoposta a vincolo archeologico, esecuzione di opere su beni culturali in assenza di autorizzazione e frode nelle pubbliche forniture, accumulo non autorizzato di rifiuti.
La Procura di Brindisi ha certificato che l’area archeologica è stata trasformata in discarica e che anche le poche opere per qualificarla sarebbero state realizzate senza rispettare le norme. Nessuno aveva sollevato il problema prima: né l’Autorità portuale – che una decina di anni fa aveva acquistato la villa dagli eredi della famiglia Monticelli – lasciandola deperire senza alcun tipo di intervento, né la Soprintendenza il cui compito sarebbe comunque quello di tutelare un patrimonio archeologico di valore assoluto.
LA VILLA. Eppure di Punta delle Terrare non esiste più nulla. Le tracce murarie portate alla luce dagli scavi compiuti negli anni Sessanta sono state sepolte da tonnellate di rifiuti. La folta vegetazione ha pietosamente ricoperto quella enorme discarica nascondendo chissà quante tonnellate di detriti. Avventurandosi tra le montagnole di mattoni, pietre, marmi, lapidi, ceramiche da bagno, schivando le improvvise insidie di alberi tagliati per fare legna, ci si avvicina con grandi difficoltà a Villa Monticelli, straordinariamente bella e sinistra, imponente e inquietante, traballante ma ancora solida come un monumento indistruttibile che domina l’ingresso del porto, sorvegliando ogni nave che attraversa il canale Pigonati, scrutata con curiosità da migliaia di viaggiatori.
Che si trattasse dello spirito della prima padrona di casa, precipitata misteriosamente dal tetto della villa sugli scogli dopo che il suo amante era stato ucciso dal marito geloso, e che i pescatori vedevano vagare sul tetto nelle notti di luna piena, o solo il giardiniere che per spaventare i ladri di conigli aveva preso ad affacciarsi con la candela dalle finestre della villa, qualsiasi leggenda possa essere considerata più credibile, in ogni caso persino gli eventuali spiriti potrebbero aver preferito abbandonare questa casa, ormai inabitabile anche per loro.
Eppure esiste un decreto del governo che risale al 19 agosto 1970, firmato dal segretario di Stato Pierluigi Romita, in cui si dispone che tutti gli immobili che fanno parte di Villa Monticelli “contenenti i resti archeologici di un villaggio protostorico, sono dichiarati d’importante interesse archeologico e sono quindi sottoposti, per l’intera loro estensione a tutela affidata alla sovrintendenza alle Antichità”. Il decreto specifica che esso avrà efficacia nei confronti di ogni successivo possessore o detentore a qualsiasi titolo”. Quasi mezzo secolo fa, il governo rilevava che “la zona sul promontorio di Punta delle Terrare riveste particolare interesse archeologico perché sono stati individuati i resti di un insediamento protostorico in seguito a una campagna di scavi eseguita dalla Soprintendenza tra il 1966 e il 1969”.
Nel 2009 l’Autorità portuale acquistò dagli eredi Monticelli l’intera struttura. ma, come riportato in una relazione della Corte dei Conti, sembra sia ancora pendente il procedimento per la demanializzazione, con trasferimento al demanio marittimo della Villa Monticelli e delle aree confinanti. Nonostante l’acquisto, infatti (all’epoca era presidente dell’Authority Giuseppe Giurgola) solamente nel 2014 l’ente ha avviato la procedura.
Resiste, orgogliosa, la scritta “Monticelli”, incastonata nella facciata e segnata da crepe alle quali sembra non voler cedere. Entrando, sulla sinistra, c’è la scala che porta al piano superiore, ormai del tutto collassata. Il piano terra appare ancora solido: mura ampie e spesse, quelle d’un tempo, grandi archi, soffitti a volta. Le scritte sui muri interni riportano a vandalismi ormai teneramente retrò: insulti alla Dc, falci e martelli, persino le scritte oscene appaiono ormai demodè. E il tizio che con la pittura rossa augurava la morte di De Mita evidentemente non ha avuto grandi capacità iettatorie.
Sul lato occidentale della casa non ci sono più le porte, ma ciò che manca trasforma quello spazio vuoto in un meraviglioso quadro: una visuale del porto incornicia il Monumento al Marinaio che solo da qui può essere visto con quella inclinazione Manca solo la ragazza che osserva in vestaglia il panorama del mare, quasi come nella «Muchacha a la ventana» di Dalì.
Sotto il balcone c’è la vista mozzafiato della mezza luna di Sant’Apollinare, la spiaggia che all’inizio degli anni Settanta venne dichiarata non balneabile a causa dell’inquinamento della Montecatini ma che è in assoluto il luogo più fotografato e amato dai brindisini per tutto il mezzo secolo precedente.
La sabbia presto lascerà il posto a una ignobile colata di cemento per creare nuove banchine, come se non fossero sufficienti quelle già esistenti, buona parte delle quali sono vuote. Contro la cementificazione e la cancellazione di Sant’Apollinare gli unici che oppongono ancora una fiera resistenza e continuano a combattere per salvare la spiaggia sono gli ambientalisti di “No al carbone”, protagonisti di una vera e propria crociata. Che però non trova alcun sostegno da parte della politica. Finora.
Se Sant’Apollinare dovesse diventare un’altra anonima banchina di cemento, Villa Monticelli non avrà più ragione d’esistere e con l’area archeologica trasformata in gigantesca discarica, parte della storia brindisina, sia quella ancestrale che quella recente, saranno cancellate con un solo colpo di spugna. E per sempre.
C’è chi sognava altro: Villa Monticelli trasformata in uno straordinario museo a picco sul mare, l’area archeologica con affaccio sul porto, il recupero di Sant’Apollinare. “Siamo stanchi di osservare recuperi e iniziative di valorizzazione anche in città a noi vicine (Bari, Lecce) e continuare invece a vedere il degrado, l’abbandono e la permissività di progetti che ledono il nostro patrimonio culturale, storico e paesaggistico. E si capisce il perché di una repentina e frettolosa chiusura dell’intera area all’interno della security: occhio non vede e cuore non duole”, scrivono i No al Carbone.
L’indagine della Procura apre uno spiraglio. L’area archeologica dovrà ora essere necessariamente bonificata. E ci vorranno mesi, se non anni, e tanto denaro. La Soprintendenza dovrà tornare a svolgere il suo ruolo di tutela e l’Autorità portuale assumersi le responsabilità di custodia di quel patrimonio.
Ma se a tutto ciò non dovesse aggiungersi una precisa volontà politica, se il prossimo sindaco non si farà carico di tentare di salvare Punta delle Terrare e Sant’Apollinare, esse finiranno per essere solo i nomi di una banchina di cemento e non i simboli preziosi di una brinsisinità perduta. E anche Villa Monticelli, estremo baluardo di quella storia, non potrà che seguire il destino dei suoi ultimi, impalpabili, abitanti. Scomparirà.