Raffaele e la sua bici: un destino atroce, anche per chi lo ha investito

Da quando aveva la sua bici Raffaele si sentiva libero. Non che le distanze a piedi lo spaventassero: già quando frequentava le elementari si muoveva qua e là per Carovigno, uno spirito inquieto con il sorriso stampato sul volto. Un sorriso disarmante che era il suo salvacondotto dopo ogni marachella, che lo aveva fatto diventare il compagno di classe più amato, anche se parlava solo in dialetto e non era esattamente il primo della classe. Ora quel sorriso è stampato sul manifesto azzurro su cui è scritto “E’ volato tra gli angeli a sole tredici primavere”, e accanto c’è l’immagine della Madonna del Belvedere, protettrice del paese, con il Bambino in braccio che stringe un uccellino che sta per prendere il volo. Avrebbe compiuto 14 anni il 17 luglio.
La morte di Raffaele Laghezza ha spento una luce che illuminava Carovigno perché quel volto era familiare a tutti. Ora che aveva la bici poi te lo ritrovavi ovunque: le distanze non lo spaventavano, né le salite ripide che ognuno qui impara da affrontare sin da piccolissimo perché la Città della ‘Nzegna si arrampica sino a 170 metri e sono tutti piccoli scalatori.
Martedì pomeriggio aveva deciso di andare a trovare una zia che vive in campagna tra Carovigno e San Vito: tre chilometri per andare e tre per tornare su una strada provinciale che è un unico rettilineo, una lingua d’asfalto che unisce i due paesi. Le macchine corrono veloci. Lo sanno bene gli immigrati che vivono proprio a metà strada, nel centro d’accoglienza ricavato accanto all’hotel Carbrun e che ogni giorno si spostano in bici per andare a lavorare nelle campagne.
Il 13 giugno 2015 un ragazzo malese di 28 anni era morto su quella strada mentre era in bici, travolto da un’auto. E il 19 ottobre dello scorso anno, scena identica. Stavolta sull’asfalto era rimasto un 22enne del Gambia, investito da un’auto condotta da un neopatentato.
Raffaele pedalava proprio sulla provinciale a poche centinaia di metri dal Carbrun, in direzione di casa. Erano le 6.30 del pomeriggio, il sole cominciava a calare ma aveva tutto il tempo di rientrare prima che facesse buio. Sulla canna della bici aveva agganciato una borraccia blu per dissetarsi durante quel piccolo viaggio. Il vento rendeva sopportabile il caldo.

Il destino.

La Renault Megane è diretta a Ostuni. La guida un uomo di 40 anni che ha una piccola attività commerciale per animali. Quando era bambino durante un viaggio in Calabria con i suoi genitori, lui e i suoi fratellini erano seduti dietro. Lo schianto fu terribile, papà a mamma morirono. I bambini furono affidati al Villaggio Sos di Ostuni e lì sono diventati adulti. Lui si è sposato, poco tempo fa ha avuto un altro lutto in casa.
Il destino è maledetto e fa incontrare Raffaele che pedala verso casa con la sua bici e quest’uomo divenuto orfano in una frazione di secondo a causa della strada. La Renault supera il Carbrun: all’orizzonte si vedono già i caseggiati della parte alta di Carovigno. Il ragazzino pedala proprio sulla linea che delimita la carreggiata, sul ciglio della strada. L’altro non lo vede. Il sole era basso, racconterà poi ai carabinieri.
Raffaele viene investito e vola, proprio come è scritto su quel manifesto. La bici si ferma nella vegetazione selvatica che fa da cornice a questa strada maledetta, bella e mortale. L’altro si ferma, con il parabrezza in frantumi, inchioda l’auto in mezzo alla strada e corre indietro. Il ragazzino non si accorto di nulla, è stato un attimo. Altri automobilisti si fermano, la scena spezza il cuore. Arriva l’ambulanza, a quelli del 118 generalmente è sufficiente un’occhiata per capire. Ma loro ci provano lo stesso a rianimarlo, prima sull’asfalto, poi sull’ambulanza che corre con un gemito disperato della sirena sino all’ospedale Perrino.
In viale Foggia, sulla strada per Torre Santa Sabina, ci sono le case minime, ci abita chi non ha grosse possibilità economiche, o proprio nulla. Raffaele viveva qui con i genitori Anna e Marco, e il fratello maggiore Cosimo. La notizia arriva qualche minuto dopo. Loro corrono in ospedale, passando davanti al luogo dell’incidente, vedono la bici piegata, i carabinieri. Capiscono tutto.
L’investitore è ancora lì sotto choc. Per lui un dramma improvviso che riapre una ferita mai rimarginata. I carabinieri della compagnia di San Vito dei Normanni lo sottopongono ai test: non ha né bevuto né assunto stupefacenti. Gli prendono il telefonino, dovranno controllare se al momento dell’impatto lo stava usando.
Raffaele era felice perché aveva riacquistato la libertà dopo tanti mesi di reclusione forzata in casa, lui che proprio fermo non ci sapeva stare. La settimana prossima avrebbe dovuto affrontare gli esami di terza media: frequentava la scuola media Cavallo.
“Non riuscivi a sgridarlo, quando lo richiamavi per qualcosa ti metteva davanti quel suo sorriso disarmante e diceva: beh mae’ che vuoi”: Elisa Catamerò è stata una delle sue insegnanti alla scuola elementare “Francesco Lanzillotti”. “In classe andava sempre in giro, la sedia per lui non era comoda, ma aveva un modo di fare unico. Era un bambino speciale. Quando qualcuno dei compagni veniva a scuola senza colazione, ci pensava lui a dividere la sua”.
Un giorno Raffaele fece spaventare tutti perché a casa non c’era e neanche in paese. Si misero a cercarlo, mentre attraverso whatsapp chiedevano l’aiuto di tutti. A sera si scoprì che era andato a trovare a piedi una famiglia che abitava a chilometri di distanza da casa. “Aveva un cuore grande”, ricorda ancora la sua maestra, “si avvicinava come un gattino che fa le fusa. Aveva bisogno di coccole”.
La casa di viale Foggia ha le persiane verdi e la porta ora è aperta: sul manifesto, sotto il volto sorridente di Raffaele c’è una frase tratta da una bellissima poesia di Henry Scott Holland dal titolo “La morte non è niente”. Dice: “Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo. Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace”.