
di GIANMARCO DI NAPOLI per il7 Magazine
Antonio Bargone, “Tonino per gli amici (pochi, in verità), classe 1947, laureato in Giurisprudenza, è stato un enfant prodige della politica brindisina. Arruolato nelle file del Partito Comunista, che negli anni Settanta cominciava a smarcarsi dall’etichetta di assemblea di braccianti agricoli cercando di individuare professionisti in grado di far compiere l’atteso salto di qualità, partendo dalle sezioni di periferia, era diventato – giovanissimo – consigliere comunale a Brindisi. Ma la sua ambiziosa ascesa era stata già puntellata dall’attività di avvocato della Cgil che aveva raggiunto il suo apice supportando centinaia di lavoratori nella complessa vertenza Saca, poi divenuta Fiat Aviazione Spa, quando gli stabilimenti brindisini vennero chiusi.
Già in quel periodo, a cavallo tra la fine degli Settanta e l’inizio degli Ottanta, fu aspra la sua contrapposizione con l’altro capo indiscusso del Pci, poi Pds, il mesagnese Carmine Dipietrangelo. I due non si sono mai sopportati pur facendo riferimento allo stesso leader politico nazionale: Massimo D’Alema. Dipietrangelo rimase in realtà nella segreteria della Cgil a Bari sino al 1985 riavvicinandosi a Brindisi solo quando Bargone prese l’aereo per Roma. A fare da pacere, quasi sempre invano, il buon Benito Piccigallo, anima antica di un Partito comunista che ormai non esisteva più, da nessun punto di vista.
Dipietrangelo rimase a presidiare il partito su scala provinciale e regionale per conto di D’Alema mentre Bargone aveva ben altre ambizioni. Nel 1987, a 40 anni, ottenne il suo primo seggio in Parlamento eletto nella circoscrizione Brindisi-Lecce-Taranto. Nel corso di quella stessa, travagliata, campagna elettorale accadde un fatto che non solo favorì la sua elezione ma che in qualche maniera gli cucì addosso un ruolo che si sarebbe portato addosso nel corso di tutta la sua esperienza parlamentare: quello del fustigatori dei corrotti. Accadde infatti che nella sua stessa circoscrizione, la numero 19 della Camera per Brindisi, Lecce e Taranto, fosse in corsa anche Rocco Trane, dieci anni più anziano di lui, da molti anni capo della segreteria particolare dell’ex ministro dei Trasporti, il socialista Claudio Signorile.
Il 6 giugno di quell’anno Trane venne arrestato dalla guardia di finanza nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla procura di Genova su un vasto giro di tangenti per appalti e lavori di opere pubbliche gestite dal ministero dei Trasporti. Bargone si ritrovò così deputato e investito di questa sorta di ruolo di “bonificatore” di una classe politica corrotta e tangentista.
E in queste vesti il deputato brindisino costruì la sua immagine, ancor prima che il ciclone Mani Pulite spazzasse via la Prima Repubblica. Pochi anni dopo infatti la sua strada si incrociò con quella di Luciano Violante, leader dell’ala più giustizialista del Pds. Nominato componente della Commissione parlamentare antimafia, le sue presenze nel palazzo di Giustizia di Brindisi cominciarono ad essere molto più frequenti e non nelle aule del Tribunale civile, dove aveva esercitato la sua professione di legale. Saliva sino al quinto piano, dove all’epoca era collocata la Procura della Repubblica, con i corridoi blindati dalle scorte dei poliziotti e dei carabinieri ai magistrati che si occupavano dei processi contro la Sacra corona unita. Bargone all’epoca veniva considerato una sorta di procuratore aggiunto, uno in grado – si diceva – persino di incidere sulle indagini contro la SCU. In quegli anni, i primi Novanta, la procura combatteva due durissime battaglie parallele: una appunto contro la Sacra corona unita, l’altra – sulla scia di quanto avveniva a Milano – contro la corruzione della politica. Nel primo caso i magistrati furono eroici e la quarta mafia smembrata al punto da non riprendersi mai più. Nel secondo, la versione brindisina di “Mani Pulite” fu caratterizzata da arresti clamorosi e molto spesso da altrettanto clamorose assoluzioni.
In un ambito e nell’altro l’influenza di Bargone veniva considerata determinante. La Sacra corona tentò di fermarlo. L’8 febbraio 1995, al presidente della Commissione antimafia Tiziana Parenti arrivò una lettera in cui il pentito della Scu Tonino Screti, definito il “cassiere della Sacra Corona Unita”, accusava Bargone di aver ricevuto il sostegno della Scu fin dal 1987. Nella lettera – un documento desecretato solo 10 anni dopo – Screti affermava che questa stessa denuncia era stata da lui presentata già alla Procura di Brindisi, a quella di Bari e al procuratore aggiunto della Dia Alberto Maritati. “Io stesso – scrisse Screti di Bargone – insieme ad altri esponenti della criminalità gli ho procacciato i voti”. Dopo questa lettera la commissione cominciò ad acquisire documenti per chiarire l’ attendibilità del pentito. Il giudice Maritati incontrò i responsabili della procura distrettuale di Lecce il 25 novembre 1994 e questi “manifestarono il convincimento che Screti non dovesse più essere considerato un collaboratore”. Anche nella sentenza di condanna del tribunale di Brindisi nell’ ottobre del 1993 vi era una valutazione negativa della sua collaborazione. Le sue dichiarazioni vennnero ritenute “palesemente finalizzate non a fornire un reale contributo all’ accertamento dei fatti, bensì dirette unicamente a neutralizzare l’ accusa di essere il cassiere della Sacra Corona Unita”.
Bargone nel frattempo continua la sua ascesa: è parlamentare per tre legislature consecutive e nel 1996, fa il suo ingresso in Senato con l’Ulivo. Per lui si spalancano anche le porte del governo: viene scelto per quattro volte sottosegretario ai Lavori pubblici: dal 1996 al 1998 per il primo governo Prodi (il suo ministro era l’ex magistrato Antonio Di Pietro che un altro illustre collaboratore di Bargone, l’ex sindaco di Fasano Nicola Latorre aveva presentato a D’Alema in una famosa cena a casa), nei due anni successivi in due governi presieduti da D’Alema e dal 2000 al 2001 nel governo Amato II.
In Parlamento è stato vicepresidente alla Commissione Giustizia nella sua prima legislatura, membro della Commissione Lavori pubblici nella seconda. Si è particolarmente impegnato nella riforma della legge quadro sui lavori pubblici, contribuendo personalmente nel 1994 alla realizzazione della riforma contenuta nella legge numero 109 e del relativo regolamento generale e successive modificazioni. In veste di sottosegretario, nel 2001 si è dedicato a varare il regolamento attuativo numero 554 e il decreto sulla qualificazione. Quest’ultimo, conosciuto appunto come decreto Bargone, ha costituito una vera e propria rivoluzione in questo settore, in quanto ha abolito l’albo nazionale dei costruttori e affidato la qualificazione a società private, sotto il controllo dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici. Un decreto Bargone per la vigilanza sui lavori pubblici, dunque.
Proprio per questo nel dicembre 1999 si parla di un presunto progetto per eliminarlo pianificato dalle Brigate Rosse. Viene messo sotto scorta per alcuni mesi.
La trasversalità di Bargone, comunista che stava simpatico anche a Berlusconi, si palesa anche nella sua vita privata quando intreccia una lunga relazione sentimentale con la giornalista Carmen Lasorella, all’epoca una dei mezzibusti più famosi d’Italia, conduttrice del Tg2 controllato dai socialisti craxiani, ossia quelli che aveva più combattuto durante la campagna giustizialista di “Mani Pulite”.
Nel marzo 2015 Bargone viene iscritto nel registro degli indagati in un’inchiesta su tangenti in cambio di appalti pubblici pilotati. Tra gli arrestati c’è anche Ercole Incalza, originario di Francavilla Fontana, ex capo della Struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, successivamente assolto in tutti i gradi di giudizio. Gli indagati della procura di Firenze sono una cinquantina. Bargone, numero uno dell’Autostrada tirrenica non si dimette: “Non c’è alcun motivo, non scherziamo. Primo perché il mio ruolo in Sat non c’entra in questa storia. E poi perché io non ho fatto assolutamente nulla, l’accusa che mi viene mossa è assurda”.
Una scelta diversa da quella che farà sei anni dopo, quando per lui scattano le manette per tangenti su opere pubbliche, proprio il sistema che aveva dichiarato di voler combattere per oltre 30 anni. “Il presidente Antonio Bargone ha rassegnato le proprie dimissioni, in seguito alla notifica dei provvedimenti giudiziari che lo riguardano. Il dottor Bargone ha ritenuto opportuno dimettersi dall’incarico in Sat per potersi difendere liberamente e tutelare l’azienda rispetto alle proprie vicende”, ha comunicato la SAT.
Ed è la fine della storia.